Facile e scontata, inutile e sbagliata [SGA].
Maria Adriana Giusti: Arte di regime, Giunti, Firenze, pagine 252, € 49,00
Risvolto
Il Novecento è stato percorso dalle più tragiche guerre della storia
dell'umanità. In particolare, il ventennio intercorso fra le due guerre
mondiali ha vissuto crudeli dittature: fascismo, nazismo, stalinismo.
L'oppressione tirannica esercitata dal potere ha contribuito a
trasformare l'arte dell'epoca in uno strumento di glorificazione
personale e di persuasione dei popoli sottomessi. Questo libro
ripercorre quel tragico periodo con una eccezionale documentazione
visiva, accompagnata da testi che permettono di comprendere ogni aspetto
dell'arte sviluppatasi nei tre paesi protagonisti di quelle dittature:
l'Italia di Mussolini, la Germania di Hitler e l'Unione Sovietica di
Stalin. E' appunto in questi paesi che si sviluppano le più raffinate e
allo stesso tempo violente tecniche di asservimento delle arti e
dell'architettura agli interessi e ai fini dei dittatori e del loro
culto della personalità.
Ciascun paese mostra modi specifici di
gestire la propaganda. Tutti si servono di campagne propagandistiche di
massa mai viste prima. Ma se l'arte, come già accaduto nel passato, è
elemento di apporto fondamentale alla politica e all'immagine del
potere, stavolta i regimi dittatoriali possono avvalersi di nuovi e
inediti mezzi artistici: non solo pittura, architettura, scultura, ma
anche fotografia e cinema.
Oltre 250 pagine di immagini stupefacenti
immergeranno il lettore in questo secolo e lo riporteranno in un
periodo che ha pagato la modernizzazione dell'Occidente con le più
drammatiche violenze fisiche e intellettuali che la storia dell'uomo
abbia mai sperimentato.
Regimi Totalitarismi uniti dall'arte
Tra la Germania nazista, l'Italia fascista e la Russia sovietica vi erano delle affinità estetiche Predominarono il realismo e il monumentalismo classicheggiante
di Emilio Gentile Il Sole Domenica 11.1.15
Scriveva a metà degli anni Cinquanta lo storico tedesco dell'arte Werner
Hoftmann: «Il totalitarismo è una denominazione comune sotto cui
vengono a trovarsi in stretta vicinanza forme apparentemente opposte,
come il bolscevismo della fase leninista-stalinista, il fascismo di
Mussolini e il nazionalsocialismo di Hitler. La più evidente e
sorprendente dimostrazione di questo loro intimo accordo, diretto contro
la libertà umana, è proprio il fatto che quelle tre forme produssero la
stessa concezione artistica. Lo stile artistico ufficiale dei Paesi
totalitari è ovunque il medesimo».
Si era allora nella Guerra fredda, e il termine «totalitarismo» era
usato soprattutto nella polemica anticomunista per identificare la
Russia sovietica con la Germania nazista. Gli studiosi che non
condividevano quella polemica o militavano nel comunismo, negavano
qualsiasi affinità fra i due regimi, e taluni arrivarono fino a proporre
la messa al bando del termine «totalitarismo» perché privo di validità
storica e scientifica. Qualcosa di analogo avveniva nella storia
dell'arte, dove tuttavia era più difficile negare le affinità estetiche
fra i tre regimi, dove predominò il realismo e il monumentalismo
classicheggiante per rappresentare la loro visione del mondo.
Solo dopo il 1990, con la fine del comunismo in Europa, la storiografia è
tornata a riflettere sul totalitarismo con atteggiamento scientifico,
considerandolo un fenomeno costituito dai regimi partito unico, senza
per questo identificarli quasi fossero tronchi di uno stesso albero, ma
esaminandoli piuttosto come alberi diversi, che crescendo in una
particolare situazione avevano assunto caratteristiche simili.
È tuttavia significativo che la storia dell'arte sia stato il campo dove
la riflessione comparativa fra i regimi totalitari si è avviata con
maggior impegno, con l'organizzazione di mostre che illustravano la loro
produzione estetica, come la mostra «Kunst und Diktatur 1922-1956»,
organizzata dalla Künstlerhaus di Vienna dal 28 marzo al 15 agosto 1994,
e «Art and Power. Europe under the dictators 1930-1945», organizzata a
Londra dalla Hayward Gallery dal 26 ottobre 1995 al 21 gennaio 1996,
successivamente trasferita a Barcellona e a Berlino.
Queste mostre erano state precedute dalla pubblicazione di un importante
studio comparativo sulla produzione estetica dei regimi totalitari, il
libro dello storico dell'arte russo Igor Golomostock, L'arte totalitaria
nell'Urss di Stalin, nella Germania di Hitler, nell'Italia di Mussolini
e nella Cina di Mao (Leonardo, Milano 1990). Da allora si è sviluppato
un nutrito filone di studi comparativi sull'arte totalitaria, nel quale
si colloca il volume sull'arte di regime di Maria Adriana Giusti,
docente al Politecnico di Torino e professore onorario della Xi'an
Jiaotong University in Cina.
Senza apportare interpretazioni originali, e nonostante qualche svista
(a pagina 16: Giuseppe Bottai non era ministro della Cultura ma
dell'Educazione nazionale dal 1936), il volume offre un ricco apparato
di immagini, purtroppo non collocate secondo una successione
cronologica, che avrebbe consentito di percepire le variazioni di stile
nelle diverse fasi dei tre regimi.
Per ciascun regime, le immagini sono divise in sezioni – arte, grafica,
architettura – precedute da un'introduzione. Viene così efficacemente
documentata la molteplicità delle espressioni artistiche totalitarie,
dalla grafica e dal manifesto, alla pittura e alla scultura, al cinema, e
soprattutto all'architettura e al progetto urbano che, scrive Giusti,
«incidono profondamente sulla trasformazione degli spazi come
espressioni multi-scala della visione totalitaria del regime... Le
trasformazioni delle capitali, Roma, Berlino e Mosca sono al centro
della strategia di affermazione del potere totalitario». Attraverso
visioni oscillanti «tra la mitologia del progresso nelle avanguardie e
l'antimodernismo nell'ortodossia della cultura di Stato», «filtra la
sostanza utopica del sogno totalitario che proietta l'arte ben oltre la
ricerca di efficacia realistica o di intenti persuasivi e mediatici».
Nella scelta dello stile estetico dei tre regimi, accomunati dalla
concezione dell'arte come strumento di propaganda per diffondere fra le
masse la propria ideologia, decisivo fu il ruolo dei loro dittatori,
diversissimi per temperamento, formazione, cultura, e per
l'atteggiamento verso la creatività artistica. Dei tre, l'unico che
aveva ambizioni artistiche era Hitler, aspirante architetto mancato e
mediocre pittore di paesaggi negli anni giovanili, e tuttavia convinto
di essere un architetto geniale, con una concezione dell'arte
condizionata da un convenzionale realismo ottocentesco e dall'ossessiva
ideologia razzista.
Il capo nazista intervenne «pesantemente sulle attività artistiche,
bandendo il modernismo internazionale e avvalendosi di un unico
architetto e di un unico stile», mentre Stalin, che non aveva pretese
artistiche ma si considerava comunque un «ingegnere di anime», impose il
realismo socialista «come sintesi di cultura e potere, giungendo però
al connubio tra costruttivismo e tradizionalismo». Quanto al duce,
Giusti lo definisce «più ambiguo nelle scelte, volte a esaltare
tensioni, movimento, inarrestabilità degli impulsi, confidando
nell'eloquenza dell'architettura come sintesi di tutte le arti e nella
cinematografia come migliore arma di persuasione». Ma più che di
ambiguità, si può parlare di eclettismo per un politico simpatizzante,
fin da giovane, per le avanguardie moderniste, che sentiva affini al suo
temperamento e al dinamismo fascista.
Osservando le espressioni estetiche dei tre regimi, dove si staglia
ossessiva la figura del dittatore e prevalgono le scene di vita
quotidiana animate dal corale entusiasmo di collettività operose e
gioiose, non si ha tuttavia l'impressione di una piatta uniformità. Pur
nella prevalente retorica del realismo, del gigantismo e del
monumentalismo, la creatività individuale è riuscita a farsi strada, a
emergere.
Siamo di fronte a una «contraddizione irrisolvibile» tra la libertà
creativa e il condizionamento ideologico, come afferma Giusti; oppure
siamo di fronte al fatto tutt'altro che contraddittorio, e molto più
rattristante: e cioè, che la creatività artistica – anche quella di un
grande artista – non è affatto incompatibile con l'adesione convinta al
sogno totalitario di dominio e di manipolazione dell'uomo?
Nessun commento:
Posta un commento