martedì 17 febbraio 2015

Fare previsioni in economia politica

Risultati immagini per Buchanan: Previsioni malcorMark Buchanan: Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le scienze naturali sull'economia, Malcor D’
Risvolto
Riuscire a prevedere le intemperie finanziarie, così come ormai riusciamo a fare con gli uragani e le tempeste, forse resterà solo un sogno; tuttavia le teorie scientifiche adoperate per le previsioni in campo meteorologico e per la prevenzione dei terremoti in geologia, se applicate all'analisi del sistema economico, possono offrire un riparo dalle turbolenze che ciclicamente si abbattono sul sistema capitalistico odierno. Il crollo finanziario del 2008 non ha minato soltanto le fondamenta del sistema economico mondiale, ma ha anche sancito la crisi del pensiero economico finora dominante. I concetti di stabilità ed efficienza dei mercati sono stati disattesi dagli effetti di quegli stessi meccanismi che avrebbero dovuto garantirne l'attuazione. Derivati, leva finanziaria, hedge funds, scambi ad alta frequenza, contrariamente a quanto previsto dalla teoria economica dell'equilibrio, hanno invece contribuito, nel momento della crisi, ad amplificare i risultati negativi dei crolli di borsa. Nel raccontare la storia economica di questi ultimi anni, Mark Buchanan trasmette un nuovo modo di pensare che potrebbe rivoluzionare le scelte di politica economica. Prefazione di Paolo Sylos Labini. 


Buchanan, l’economia stregata dalla fisica 
Saggi. Previsioni, il libro di Mark Buchanan, pubblicato dalla casa editrice siciliana Malcor D’, applica alla finanza i metodi matematici affinati nello studio di solidi, fluidi e gas e riporta sotto controllo il mercato 

Andrea Capocci, 17.2.2015 

Mar­cello Cini, uno dei fon­da­tori di que­sto gior­nale, soste­neva di essersi dedi­cato alla fisica dopo aver sco­perto di essere «più inte­res­sato alle cose che alle per­sone». Era una mezza verità, smen­tita da un impe­gno poli­tico durato un’esistenza. Del resto, come lui sono stati nume­rosi i fisici che hanno affian­cato la mili­tanza, quasi sem­pre a sini­stra, alla ricerca teo­rica. La Guerra Fredda li aveva col­lo­cati in prima linea per le loro com­pe­tenze su atomi e satel­liti e molti di loro non ave­vano accet­tato pas­si­va­mente que­sto ruolo, da una parte all’altra del Muro. 
Con il crollo del socia­li­smo reale, il ruolo stra­te­gico della Big Science è poi decli­nato. I mer­cati finan­ziari, più che le armi nucleari, hanno ridi­se­gnano gli equi­li­bri glo­bali. A molti, prima che scop­piasse la bolla, la finanza è parsa uno stru­mento effi­cace di rego­la­zione eco­no­mica. Qual­che eco­no­mi­sta di scuola key­ne­siana non era d’accordo, ma era tenuto ai mar­gini e amman­sito da rico­no­sci­menti pre­sti­giosi quanto inno­cui – molti premi Nobel recenti sono andati a eco­no­mi­sti lon­tani dal main­stream. 
Chi invece si trovò in trin­cea come ai bei tempi, e con idee radi­cal­mente diverse da quelle domi­nanti, furono ancora loro, i fisici. Alla fine degli anni ’90, ban­che e fondi di inve­sti­mento ini­zia­rono ad assu­mere in massa gio­vani pro­ve­nienti dai dipar­ti­menti di fisica, privi di for­ma­zione eco­no­mica ma abi­tuati a simu­lare sistemi com­plessi al com­pu­ter. L’interesse fu ricam­biato: i mer­cati finan­ziari si erano ormai digi­ta­liz­zati e for­ni­vano milioni di dati in tempo reale: una pale­stra per­fetta per appli­care alla finanza i metodi mate­ma­tici affi­nati nello stu­dio di solidi, fluidi e gas. Così nac­que una nuova scienza ibrida, l’«econofisica» i cui primi vent’anni sono ora rac­con­tati da Mark Bucha­nan in Pre­vi­sioni, tra­dotto da Irene Bar­bera per la casa edi­trice sici­liana Mal­cor D’. 
In que­sti due decenni i dogmi dell’economia neo­clas­sica sono stati pas­sati al setac­cio dai fisici, prima ancora che fosse la crisi finan­zia­ria a dichia­rarne il fal­li­mento. Il primo pila­stro a cadere è stato quello dell’«efficienza dei mer­cati». I modelli in uso tra gli eco­no­mi­sti pre­ve­dono infatti che il prezzo delle merci e delle azioni si aggiu­sti istan­ta­nea­mente al loro valore reale (l’utilità di un bene o il gua­da­gno atteso da un titolo di borsa). Lo spa­zio per le spe­cu­la­zioni a breve ter­mine, dun­que, sarebbe resi­duale e le flut­tua­zioni degli indici di borsa dovreb­bero risul­tare impre­ve­di­bili ma limitate. 
Non è così: i crash sono molto più fre­quenti di quanto pre­veda la teo­ria, le borse non sono affatto impre­ve­di­bili e spa­zio per gli spe­cu­la­tori ce n’è, eccome. A par­tire da que­ste osser­va­zioni empi­ri­che, gran parte della ricerca degli eco­no­fi­sici si è con­cen­trata intorno ai fat­tori che impe­di­scono ai mer­cati di essere dav­vero effi­cienti. Primo fra tutti la «razio­na­lità limi­tata» degli attori reali dei mer­cati (oggi sono spesso algo­ritmi infor­ma­tici) che non sem­pre fanno la cosa giu­sta al momento giu­sto. Inol­tre, chec­ché ne dicano gli eco­no­mi­sti, ven­di­tori e com­pra­tori non seguono stra­te­gie indi­pen­denti ma spesso si imi­tano, lascian­dosi con­ta­giare da ondate di panico o di eufo­ria ingiustificate. 
Bucha­nan illu­stra i modelli e le teo­rie nate per spie­gare i feno­meni appa­ren­te­mente ano­mali della finanza glo­bale e anche le solu­zioni tec­ni­che che potreb­bero porvi rime­dio, a par­tire dalla Tobin Tax: una pic­cola impo­sta sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie che, se ben tarata, potrebbe fre­nare le impen­nate e i crolli dei mer­cati deter­mi­nati dalle stra­te­gie pura­mente speculative. 
Inol­tre, come spiega Ales­sio Ema­nuele Biondo nella post­fa­zione, Pre­vi­sioni fa «i nomi e i cognomi» di chi ha soste­nuto «la comoda visione equi­li­bri­sta (magari avvolta da amma­liante for­ma­li­smo, quan­tun­que inu­tile)». Da Mil­ton Fried­man a Gary Bec­ker, Bucha­nan evi­den­zia «le falle dell’impostazione miope delle scuole domi­nanti nel pen­siero eco­no­mico (…). Gli stru­menti di ana­lisi utili stu­diare gli indi­vi­dui, igno­rando le pro­prietà emer­genti della loro inte­ra­zione, sono ina­de­guati a livello macroeconomico». 
Nel suo ridu­zio­ni­smo la teo­ria eco­no­mia domi­nante, quella neo­clas­sica, ha ten­tato di imi­tare pro­prio la fisica, ela­bo­rando pre­vi­sioni a par­tire da un «modello stan­dard» sem­plice e appa­ren­te­mente inat­tac­ca­bile (quello della razio­na­lità dell’homo oeco­no­mi­cus). Era un ten­ta­tivo tar­divo, per­ché negli stessi anni la fisica invece ha sco­perto le leggi sta­ti­sti­che che gover­nano i sistemi com­plessi. Alla fine, i ruoli si sono inver­titi del tutto. I mer­cati si sono tra­sfor­mate in mac­chine fuori con­trollo. E a ripor­tare un po’ di uma­nità nell’economia ci hanno pen­sato i fisici, gli spe­cia­li­sti delle «cose».

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