domenica 15 febbraio 2015

Johnny Riotta: anche Malcolm X difendeva la superiorità della civiltà occidentale e per questo fu ucciso da Isis

Risultati immagini per Malcolm XMalcolm X, la tragedia oltre il santino della storia
Moriva cinquant’anni fa il simbolo del Black Power Ormai scettico sulla Nazione dell’Islam fu ucciso a New York da alcuni suoi ex compagnidi Gianni Riotta La Stampa 15.2.15
Le figure storiche del Novecento, prima di essere narrate dai libri degli studiosi, sono tatuate nella coscienza popolare dai mass media in cliché indelebili. Kennedy presidente televisivo e Don Giovanni. Il reverendo King e Giovanni XXIII pastori buoni. Guevara Don Chisciotte dei poveri. Aldo Moro vittima impotente delle Br. Mao Grande Rivoluzionario. Tutti fissati nell’oleografia da stampa di Warhol, e inutilmente la Storia si sgola a precisare di Kennedy leader prudente e maturo, King infine solitario e amareggiato, della raffinatezza teologica e diplomatica di Roncalli, la violenza sprezzante di Guevara, l’etica di Moro, i 40 milioni di vittime delle follie maoiste.

Il cliché
È destino cui non sfugge Malcolm Little, celebrato leader afroamericano poi noto come Malcolm X o El Hajji Malik El-Shabazz, di cui ricorrono quest’anno il mezzo secolo dalla morte, fu ucciso da militanti della sua ex organizzazione Nazione Islam il 21 febbraio 1965 durante un comizio a New York, e i 90 anni della nascita, il 19 maggio 1925. Come i Kennedy, Guevara e King, anche Malcolm X muore giovane, 39 anni.
Piccolo gangster
Il Malcolm X dei poster è consacrato prima nell’Autobiografia redatta da Alex Haley (Einaudi), considerata dalla rivista Time «uno dei libri cruciali del XX secolo», poi dal film agiografico di Spike Lee. Un piccolo gangster di periferia, che si stira i capelli rossicci, eredità di un antenato scozzese, finisce in galera, tra droghe e prostitute, per scoprire l’ordine religioso dei musulmani e convertirsi alla Nazione dell’Islam di Elija Muhammad, diventando il leader nero radicale più temuto dai bianchi e controllato dall’Fbi. Macho, capace di riformarsi in carcere studiando come Gramsci e Mandela, il Malcolm X dei mass media è simbolo irriducibile del Black Power, il potere nero che darà poi paternità alle Pantere Nere 1968, e all’orgoglio del rap, con i loghi, musiche, mode e culture di identità afroamericana del XXI secolo, dal filosofo Cornel West alla narrativa di Morrison e Pinckney.
In realtà, come per i suoi compagni di viaggio nel secolo che lo storico Hobsbawm definì «breve», ma che è il più lungo della Storia, mutando il mondo da agricolo, coloniale e patriarcale in digitale, globale e «personal», Malcolm X non è il santino della propaganda, ma un ben più tragico personaggio, la cui eredità arriva fino a noi non per il Bianco-Nero delle foto sui rotocalchi, ma le contraddizioni, le incertezze, i passi indietro che ne rendono viva l’opera.
Fatalismo
Dettando a Haley le sue vicende giovanili ad Harlem, dopo la morte violenta del padre e la crisi nervosa della madre, Malcolm X esagera le esperienze criminali, offusca i giorni della prostituzione maschile e da lenone, drammatizzando il passaggio da teppista di quartiere a leader politico. La nuova biografia, opera nel 2011 dello storico afroamericano della Columbia University Manning Marable, Malcolm X, Tutte le verità oltre la leggenda (Donzelli), ritrae finalmente un uomo sofferente, il cui orgoglio confina con la depressione che lo rende quasi impotente negli ultimi giorni, quando nulla fa per difendersi dai killer che sa lo braccano, morendo con fatalismo (impedisce i controlli all’ingresso della sala dove morirà). La maschera da duro, musulmano nazionalista che considera i bianchi «diavoli», retore cinico che commenta nel 1963 «Chi la fa l’aspetti» l’assassinio del presidente Kennedy, muta, dopo il pellegrinaggio da sunnita alla Mecca del 1964, fino al punto di pronunciare una schietta autocritica che anticipa il dibattito odierno tra Islam, democrazia e modernità: «In passato… ho condannato… tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore, perché adesso so che alcuni bianchi sono davvero sinceri e… capaci di essere fraterni con un nero. Il vero Islam mi ha mostrato che una condanna di tutti i bianchi è tanto sbagliata quanto la condanna di tutti i neri da parte dei bianchi. Da quando alla Mecca ho trovato la verità, ho accolto fra i miei più cari amici uomini di tutti i tipi - cristiani, ebrei, buddhisti, indù, agnostici, e persino atei! Ho amici che si chiamano capitalisti, socialisti, e comunisti! Alcuni sono moderati, conservatori, estremisti - alcuni sono addirittura degli “Zio Tom”! Oggi i miei amici sono neri, marroni, rossi, gialli e bianchi!». 
L’incontro con King
«Zio Tom», dall’eroe del romanzo di Harriett Beecher Stowe, era l’insulto che i neri radicali lanciavano ai moderati, non comprendendo la stoica forza che per generazioni di afroamericani accompagnava la difesa delle famiglie dalla violenza razzista. In una sola occasione, nel 1964, King e Malcolm X si incontrano a Washington e le loro strade stanno convergendo, King dubbioso del presidente Johnson che teme troppo cauto, Malcolm persuaso che l’estremismo della Nazione Islam non produrrà progressi per le minoranze. Malcolm X è ucciso l’anno dopo, King nel 1968, attentati in cui l’Fbi è sospettato, almeno, di non aver agito con efficienza.
Quando le Poste americane stampano un francobollo con l’immagine pensosa di Malcolm X, nel 1999, il cerchio sembra chiudersi, il ribelle che odiava i bianchi è onorato perfino con un ritratto nel McDonald’s di Harlem. Invece, a partire dal saggio di Marable, dobbiamo ripensare da zero l’uomo che, senza l’odio fanatico dei killer suoi ex compagni, potrebbe essere, a 89 anni, ancor vivo tra noi, come King, che ne avrebbe 86. Possiamo solo immaginare dove contraddizioni, ideali, esperienze e maturità li avrebbero condotti, ma dobbiamo loro il rispetto di guardare all’intero arco di un percorso, senza ridurli a controfigure di cartapesta delle buone intenzioni correnti.

La lezione sprecata di Malcom X il leader che sognava la rivolta dei neri
Ucciso ad Harlem era “l’antagonista” del reverendo King Ma cinquant’anni dopo la questione razziale resta ancora all’ordine del giorno negli Stati Uniti
di Federico Rampini Repubblica 21.2.15
NEW YORK «SE SUCCEDE un reato in quartiere nero arrivano 20 auto della polizia. Il dispiegamento di forze crea risentimento. I neri si sentono in uno Stato di polizia». Chi parla non è un ragazzo afroamericano in una delle recenti proteste dopo le uccisioni di Michael Brown a Ferguson e di Eric Garner a New York (neri, disarmati, uccisi da agenti bianchi). Quelle sono parole pronunciate da Malcom X, il grande leader afroamericano assassinato 50 anni fa. Una figura controversa, di cui oggi l’America riscopre una sorprendente attualità: sia la sua visione dei diritti umani calpestati nei quartieri neri, sia la sua dissociazione dall’Islam più fanatico e violento. Nell’America di Barack Obama, quella di Malcom X è stata a lungo una storia tabù: il primo presidente afroamericano ha potuto costruire il suo successo elettorale solo prendendo le distanze da qualsiasi forma di radicalismo. Guai a identificarsi con lo stereotipo del “nero arrabbiato”, che coagula diffidenza e ostracismo tra gli elettori bianchi, anche democratici. Tra “l’antagonista” Malcom e il profeta della non violenza Martin Luther King, Obama ha sempre scelto il secondo come riferimento storico, etico e politico.
Malcom X però fu una personalità molto più complessa di quanto si crede, aperto al compromesso con l’ala moderata del movimento per i diritti civili. A riscoprire la sua vera storia sta dando un contributo “Selma”, uno dei film candidati all’Oscar. Il Washington Post gli dedica un ampio reportage storico. “Selma” ricostruisce una vicenda dove il protagonista è l’altro grande leader afroamericano degli anni Sessanta, il reverendo King. Nel marzo del 1965 da Selma a Montgomery, in Alabama, si svolsero delle marce per i diritti civili, dapprima represse con violenza dalla polizia locale. Furono un capitolo chiave nella battaglia pacifista di King, che spinse il presidente Lyndon Johnson a far passare il Voting Rights Act: fino a quel momento negli Stati del Sud i neri di fatto non riuscivano ad esercitare i loro diritti di voto.
In “Selma” fa una breve apparizione anche Malcom X. Pochi minuti, quanto basta a sfatare tra il pubblico di massa una leggenda negativa che gli era rimasta incollata addosso. Il film descrive, in modo storicamente accurato, la visita di Malcom X a Selma nei giorni in cui King è in carcere. Malcom incontra la moglie del pastore, Coretta King. Lei è tesa, diffidente, ricorda che in passato Malcom ha definito suo marito “uno zio Tom” cioè un nero collaborazionista e subalterno ai bianchi. Il Malcom che Coretta si trova di fronte quel giorno, usa un linguaggio molto diverso, per nulla ostile: «Signora King, la prego di dire a suo marito che volevo visitarlo in carcere ma non ci riuscirò ora. Non sono venuto a Selma per rendere più difficile la sua missione. Penso solo che i bianchi devono capire che esiste un’alternativa, e allora forse saranno più disponibili ad ascoltare suo marito». L’alternativa a cui allude, è una forma di lotta più dura, che risponda colpo su colpo alle aggressioni della polizia. In quel breve dialogo Malcom allude a una divisione dei ruoli: lui e King hanno lo stesso obiettivo, le differenze sono solo di ordine tattico, e possono aiutarsi a vicenda.
La storia di quell’avvicinamento tra Mal- com e l’ala non violenta, ha un epilogo tragico poco tempo dopo. E’ il 21 febbraio 1965, quando Malcom X sale sul palcoscenico dell’Audubon Ballroom, storico teatro nel quartiere di Harlem a New York. Non fa in tempo a prendere la parola, e viene crivellato di colpi. Muore poco prima di compiere i 40 anni; oggi sarebbe sulla soglia dei 90. Molti gli avevano sconsigliato di entrare in quella sala. Da tempo Malcom X, pur sorvegliatissimo dall’Fbi, era oggetto di minacce di morte. Ce l’avevano con lui proprio per quella sua apertura a King, l’ala dura del movimento non gli perdonava il suo dialogo con i non violenti. Di più: la sua condanna a morte, probabilmente Malcom X l’aveva siglata uscendo dalla Nation of Islam, organizzazione radicale musulmana. Le indagini sull’assassinio di Malcom X sono inquinate da ogni sorta di interferenze, all’epoca vengono arrestati tre uomini, di cui due saranno rimessi in libertà negli anni Ottanta e non hanno mai smesso di proclamarsi innocenti. Uno storico afroamericano, Manning Marable, ha dedicato la sua vita a delucidare i misteri di quella esecuzione di 50 anni fa. Probabilmente furono cinque i sicari, tutti legati alla Nation of Islam e a personaggi come Elijah Muhammad, Louis Farrakhan. La chiave della tragedia è proprio il rapporto con la religione musulmana. Malcom Little, come si chiamava alla nascita, si converte all’Islam mentre è in prigione, nei primi anni Cinquanta, e sconta diverse condanne per rapina. Dal 1952 in poi diventa uno dei leader più influenti della Nation of Islam e contribuisce a farne un’organizzazione di massa con oltre mezzo milione di seguaci. Poi un lungo viaggio in Africa e in Medio Oriente, incluso il pellegrinaggio dello Hajj alla Mecca, lo spinge a un ripensamento. Si converte all’Islam sunnita, ne abbraccia la versione maggioritaria e moderata. Fino a sconfessare quello che lui stesso definisce «il razzismo nero-musulmano». Pur continuando a legittimare «l’autodifesa dei neri» in caso di aggressione da parte delle forze di polizia.

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