giovedì 19 febbraio 2015

La questione palestinese è la chiave di volta della pace in Medio Oriente: Ilan Pappé

Intanto il PD dice sì al bantustan... [SGA].

Ilan Pappé: «Se si risolve la questione palestinese, il Medio Oriente cambierà faccia» 
Israele/Palestina. Intervista allo storico israeliano Ilan Pappé: «L'Isis pesca adepti tra i marginalizzati dell'Occidente. Non è una questione religiosa, ma socio-economica. E Tel Aviv lo sfrutta per avere supporto dall'Europa» 

Chiara Cruciati, il Manifesto ROMA, 17.2.2015


Alla fine Ilan Pappé ha par­lato. Sca­val­cando la can­cel­la­zione della con­fe­renza «Europa e Medio Oriente oltre gli iden­ti­ta­ri­smi», che avrebbe dovuto essere ospi­tata dall’Università di Roma Tre, il pro­fes­sore dell’Università di Exter, uno dei più noti sto­rici israe­liani, ha incon­trato il pub­blico romano lunedì al Cen­tro Con­gressi Fren­tani su ini­zia­tiva di AssoPace. 
Lo abbiamo incon­trato e discusso con lui del con­cetto di iden­tità e del suo uti­lizzo da parte occi­den­tale e israeliana. 

L’avanzata dello Stato Isla­mico viene stru­men­ta­liz­zata in Occi­dente per dare fon­da­mento al cosid­detto scon­tro di civiltà, in chiave neo-colonialista. Israele, Stato nato come bastione occi­den­tale in Medio Oriente, otterrà mag­giore sup­porto a sca­pito delle aspi­ra­zioni palestinesi? 

Asso­lu­ta­mente sì. Lo Stato Isla­mico è la miglior cosa che potesse capi­tare a Israele. Con il calif­fato si risol­leva la voce di coloro per i quali esi­ste un solo Stato illu­mi­nato in Medio Oriente, Israele, baluardo con­tro l’avanzata dell’estremismo isla­mico. Spero che in Occi­dente la gente non cada in un trucco tanto meschino: non si tratta affatto di uno scon­tro di civiltà, ma di giu­sti­zia sociale e modelli demo­cra­tici di inte­gra­zione. Basta guar­dare a come l’Isis attira gio­vani musul­mani euro­pei andando a pescare tra i gruppi più oppressi e mar­gi­na­liz­zati. Non stiamo par­lando di una que­stione cul­tu­rale e reli­giosa, ma sociale ed eco­no­mica: se in Europa si assi­stesse ad una tra­sfor­ma­zione demo­cra­tica, se si impe­disse a ideo­lo­gie raz­zi­ste e pra­ti­che capi­ta­li­ste di deter­mi­nare l’esistenza della gente, gruppi come l’Isis non tro­ve­reb­bero spa­zio. L’Isis non ha ter­reno fer­tile dove la gente si sente inte­grata, dove è uguale a livello sociale e economico. 

Per que­sto è neces­sa­ria un’analisi appro­fon­dita dell’imperialismo occi­den­tale e del movi­mento sio­ni­sta per com­bat­tere le sim­pa­tie che musul­mani euro­pei accor­dano a gruppi radi­cali. Se sei un mar­gi­na­liz­zato o un escluso trovi nell’identità musul­mana lo stru­mento per miglio­rare la tua esi­stenza. La stra­grande mag­gio­ranza degli oppressi non rea­gi­sce così, ma alcuni indi­vi­dui optano per la vio­lenza, in ogni caso minima rispetto a quella dell’oppressore. Così si allarga lo Stato Isla­mico, que­sto mostro che l’Occidente ha fab­bri­cato, novello Frank­en­stein che si ribella al suo creatore. 

La pro­lun­gata occu­pa­zione della Pale­stina e di un sim­bolo reli­gioso e iden­ti­ta­rio come Geru­sa­lemme rap­pre­senta un mezzo di radi­ca­mento di gruppi come lo Stato Isla­mico? Che ruolo ha nella pro­pa­ganda isla­mi­sta la Palestina? 

Se il con­flitto israelo-palestinese venisse risolto in modo giu­sto, il Medio Oriente cam­bie­rebbe fac­cia. L’occupazione della Pale­stina è una delle prin­ci­pali giu­sti­fi­ca­zioni per chi ha sim­pa­tie isla­mi­ste, per­ché è il sim­bolo del dop­pio stan­dard che l’Occidente applica a chi viola i diritti umani fon­da­men­tali. Un cam­bia­mento dell’approccio euro­peo verso il popolo pale­sti­nese intac­che­rebbe il potere della pro­pa­ganda isla­mi­sta. Senza Pale­stina la giu­sti­fi­ca­zione dell’esistenza dell’Isis non sarebbe tanto forte. 

Il pre­mier israe­liano Neta­nyahu ha messo sul tavolo 46 milioni di dol­lari per spin­gere ebrei di Fran­cia, Dani­marca e Ucraina a immi­grare in Israele, sfrut­tando i recenti attac­chi e la guerra a Kiev. Un nuovo video per la cam­pa­gna elet­to­rale del Likud usa la minac­cia Isis per acca­par­rarsi voti. Un chiaro uti­lizzo dell’identità in con­tra­sto per raf­for­zarsi all’interno? 

Neta­nyahu è un cinico, sfrutta tali eventi in chiave elet­to­rale per costrin­gere la sua opi­nione pub­blica a foca­liz­zare l’attenzione sul nemico esterno, invece che sulle que­stioni eco­no­mi­che e sociali. È ovvio che il mes­sag­gio non è diretto agli ebrei euro­pei, ma all’interno, ai cit­ta­dini israe­liani. Pur­troppo può fun­zio­nare: Neta­nyahu ha deluso buona parte del suo elet­to­rato sto­rico, ma è pro­ba­bil­mente l’unico in grado di gui­dare una coa­li­zione com­po­sta di tanti par­ti­tini. Forse non subito, ma poco dopo le ele­zioni sarà scelto di nuovo come premier. 

Il sio­ni­smo, da prima la nascita di Israele, punta sull’identità ebraica per can­cel­lare quella pale­sti­nese ma anche per tenere insieme una società fram­men­tata. Quali sono oggi le carat­te­ri­sti­che della società israeliana? 

Ciò che è cam­biato rispetto al pas­sato è che le carat­te­ri­sti­che più pro­fonde della società israe­liana, che prima erano meno palesi, oggi sono uscite allo sco­perto: raz­zi­smo e pola­riz­za­zione eco­no­mica e sociale sono cre­sciuti come mai prima. Il gap socio-economico è il ter­reno migliore per ideo­lo­gie estre­mi­ste. I gruppi più mar­gi­na­liz­zati, in par­ti­co­lare gli ebrei ori­gi­nari del Medio Oriente e dell’Africa, sono più facil­mente reclu­ta­bili dalla destra. Ed infatti cuore del dibat­tito elet­to­rale non è la que­stione sociale e eco­no­mica, ma lo scon­tro tra iden­tità. La società è più raz­zi­sta, più estre­mi­sta, priva di soli­da­rietà interna anche verso altri ebrei, fon­data sull’odio verso il diverso. È un veleno per le future generazioni. 

Lei ha defi­nito l’ultimo attacco con­tro Gaza «geno­ci­dio incre­men­tale». Per­ché Israele col­pi­sce Gaza, enclave impo­ve­rita, terra che Israele non vuole annet­tere? Volontà di spez­zare la resi­stenza o mero stru­mento di cac­cia al con­senso tra­mite la paura? 

Se la gente di Gaza accet­tasse di vivere in un ghetto, Israele la dimen­ti­che­rebbe. Ma Gaza resi­ste e quando Israele decide che è tempo di rea­gire a tale resi­stenza mette in campo la forza mili­tare, che in un’enclave come la Stri­scia signi­fica geno­ci­dio. In secondo luogo, c’è l’immenso busi­ness dell’industria mili­tare, con Gaza a fare da labo­ra­to­rio per le armi da ven­dere fuori. Terzo, la con­vin­zione dell’esercito israe­liano per cui il mondo arabo non prende sul serio la mac­china da guerra di Tel Aviv: attac­cando Gaza Israele manda un mes­sag­gio a Iran, Siria, Hezbollah. 

Qual era l’obiettivo dell’attacco israe­liano a Hez­bol­lah nel sud della Siria il 18 gen­naio? Aprire un nuovo fronte o inviare, appunto, un mes­sag­gio all’asse sciita, che sta – con l’esercito di Dama­sco, pasda­ran e Hez­bol­lah – avan­zando a sud e con l’Iran che intrec­cia nuove rela­zioni con Hamas? 

Il governo ha cam­mi­nato lungo quella linea rossa, sot­ti­lis­sima, che separa la guerra dalla non guerra. Ha finto di voler attac­care, sapendo benis­simo di non volerlo fare. Neta­nyahu punta sulla paura della guerra, non sulla guerra: la prima fa pren­dere voti, la seconda no. Israele non ha il potere di sra­di­care Hez­bol­lah dal Libano, intende solo alzare la ten­sione, togliere l’attenzione dal prezzo delle case, del latte, della vita. 

Pare che l’Università di Roma Tre abbia annul­lato l’incontro di lunedì die­tro pre­sunte pres­sioni della comu­nità ebraica. La cen­sura è lo stru­mento di chi teme il con­fronto: per­ché si ha paura di par­lare della que­stione israelo-palestinese? 

Sospet­tiamo che ci sia stata una pres­sione, sep­pure non abbiamo prove dirette. In Europa ci si sente ancora respon­sa­bili dell’Olocausto e i pale­sti­nesi ne pagano il prezzo. Il sio­ni­smo ha offerto all’Europa la migliore solu­zione: invece di aprire una discus­sione sin­cera sulla que­stione ebraica, si è pre­fe­rito pun­tare sul pro­getto sio­ni­sta e la colo­niz­za­zione della Pale­stina. Inol­tre la lobby ebraica è potente: non si parla di Pale­stina per timore di per­dere aiuti eco­no­mici o poli­tici.
C’è però un ele­mento posi­tivo: la società civile ita­liana e euro­pea ha modi­fi­cato l’approccio alla que­stione, distan­zian­dosi dalle élite poli­ti­che. Molti sanno cosa accade in Pale­stina e sosten­gono la sua causa per­ché si tratta di una causa sem­plice: lotta al colo­nia­li­smo e difesa dei diritti umani. 

Un approc­cio che manca invece all’interno di buona parte della sini­stra ita­liana e europea. 

La sini­stra in Fran­cia, Ita­lia e Ger­ma­nia è sio­ni­sta per­ché non intende affron­tare – sep­pur ne abbia il dovere – la que­stione ebraica. Avendo paura di farlo, pre­fe­ri­sce nascon­dersi sotto l’ala con­for­te­vole del sio­ni­smo, ergerlo a solu­zione negando i diritti del popolo pale­sti­nese, per loro sacri­fi­ca­bili. È vero anche che la sini­stra si sco­pre raz­zi­sta quando affronta cul­ture non euro­pee, per cui è meglio l’ebraismo del mondo arabo o dell’Islam. Eppure oggi cen­trale non è il giu­dai­smo, ma l’islamofobia, ovvero la paura di popoli che l’Europa ha oppresso e colo­niz­zato per secoli. Affron­tare tale dibat­tito, all’interno di un con­te­sto di sano mul­ti­cul­tu­ra­li­smo, non è un pro­cesso facile ma va fatto. Ed invece no, si con­ti­nua sul sen­tiero del colo­nia­li­smo. Con altri mezzi.


Scoppia il caso nel Pd Stato di Palestina, il voto alla Camera slitta
Una mozione di Sel-Psi chiede il riconoscimento. Il Pd verso il sì. Contrarie Fi e Lega
La Stampa 19.2.15

Mozione pro Palestina. Israele critica il Pd
di D. Mart. Corriere 19.2.15
I dem spingono sul riconoscimento dello Stato. La freddezza del governo, poi il dibattito salta Dura l’ambasciata in Italia: un atto prematuro che allontanerebbe le possibilità di pace
RoMA Alla fine non se ne fa niente, almeno per ora. Le mozioni sul riconoscimento dello Stato palestinese e quelle sulla politica estera (dall’Ucraina alla Libia), in calendario per oggi alle 14 alla Camera, slittano in avanti a data da destinarsi.
Il dibattito, chiesto mesi fa da Sel e M5S, si sarebbe potuto tenere oggi solo se alla conferenza dei capigruppo si fosse raggiunta l’unanimità: invece non c’è stato un voto omogeneo capace di aprire in Aula una finestra di 4-5 ore dedicata alla Palestina e alla politica estera, come era stato chiesto (non proprio a gran voce) dal Pd e ovviamente da Sel. Forza Italia, Lega e M5S non hanno concesso la deroga e così, visto anche l’atteggiamento tiepido di Ncd, la questione si è risolta con un rinvio sine die che, a questo punto, non dispiace neanche a Palazzo Chigi: il governo infatti per tutto il semestre europeo (luglio-dicembre) aveva già congelato il dibattito parlamentare sul riconoscimento della Palestina.
Il rinvio è arrivato al termine di una giornata nervosa, fuori e dentro il Parlamento. Da Palazzo Chigi è stato un continuo di inviti alla prudenza e alla «contestualizzazione» del dibattito sul riconoscimento dello Stato palestinese. I destinatari del messaggio erano soprattutto i deputati dem dopo che i vertici del gruppo del Pd avevano annunciato di voler preparare e votare una mozione. «Leggerò la mozione del Pd ma no a iniziative unilaterali», ha detto il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici.
Pressioni sul governo, poi, si sono concretizzate quando l’ambasciata di Israele ha diffuso un comunicato dai toni netti: «È chiaro che qualsiasi riconoscimento prematuro non farebbe altro che incoraggiare i palestinesi a non ritornare ai negoziati... L’instabilità in Medio Oriente e nella regione del Mediterraneo è già abbastanza grande ed è giunta a lambire anche l’Italia e l’Europa. Pertanto Israele certamente non accetterà la creazione di un’ulteriore entità terroristica in Medio Oriente». L’ambasciata israeliana, comunque, ha preso molto sul serio l’ipotesi di un voto del Parlamento seppure su una mozione dai toni più blandi: «Qualora davvero si votasse, auspichiamo che i deputati si pronuncino in favore del sostegno al processo di pace fra Israele e palestinesi, basato sul principio di due Stati...».
E quando si è riunito il gruppo del Pd con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è stato chiaro che sbrogliare la matassa non sarebbe stato facile. Ha introdotto il responsabile Esteri, Enzo Amendola, e poi nel dibattito ci sono state posizioni più sensibili al riconoscimento netto dello Stato palestinese (Fossati, Bruno Bossio, Scanu) e altre storicamente più legate al contesto «due Stati» sancito dagli accordi di Oslo (Fiano, Verini, Sereni, Zampa).
Alla fine Gentiloni avrebbe ricordato che un voto del Parlamento è certo importante ma, come è successo in altri Paesi Ue, non innesca necessariamente un atto conseguente del governo.
Sul fronte palestinese, da Ramallah si è fatto sentire Nemer Hammad, consigliere politico del presidente Abu Mazen e profondo conoscitore dell’Italia che, riferendosi al Pd, ha parlato di «segnale importante per riaprire il processo di pace con il prossimo governo israeliano e favorire la soluzione dei due Stati». Hammad si è poi rivolto a «Casini e agli amici di Forza Italia perché seguano la stessa strada». Ma il capogruppo Renato Brunetta (FI) ha scaricato su Renzi la responsabilità del rinvio: «Il caos nel governo ha fatto saltare il dibattito sulla politica estera». Per Arturo Scotto (Sel) lo slittamento «è un bel regalo dell’ostruzionismo del M5S».

Laura Puppato, senatrice Pd “Paralizzati dalla Shoah ma ora basta tergiversare su un popolo che soffre”
intervista di Giovanna Casadio Repubblica 19.2.15
ROMA «La mozione del Pd arriva tardi, abbiamo sempre avuto il timore di mettere il dito nella piaga». Laura Puppato, senatrice dem, un anno fa “congelò” una mozione per il riconoscimento dello Stato palestinese, che era sul punto di presentare in Senato, per evitare tensioni nel partito. Ora chiede che i Dem vadano avanti spediti e senza compromessi.
Puppato, la mozione sul riconoscimento dello Stato della Palestina davvero divide il Pd?
«Il fatto che si decida intanto è un punto importante. Ho notato molta resistenza e difficoltà ad esprimere chiaramente una linea su questo per le mille e più ragioni, anche per il senso antico di colpa nei confronti degli ebrei che però non può consentire di ignorare angherie e barbarie israeliane. Non c’è confronto nella proporzione di armamenti e forze messe in campo. Possibile che non ci si renda conto della tragedia impari vissuta da quel popolo palestinese che si è visto espropriato di tutto?».
Lei è filopalestinese e poco disposta alle ragioni degli israeliani?
«Amo gli israeliani e gli ebrei, ho amici ebrei. Ma penso non si possa più diluire nel tempo l’attesa che lo Stato palestinese debba esistere come Stato, come paese e non solo come terreno rinchiuso tra due fuochi, come lembo di terra strappato a un altro lembo di territorio. Ho incontrato con Giorgio Tonini circa un anno fa la consigliera d’ambasciata palestinese Mai Alkaila. A luglio ho presentato in aula la “cartolina” della Palestina così com’è, con un territorio ridotto al 12% rispetto a quello che era nel 1947 dopo il piano di ripartizione delle Nazioni Unite. C’è stata l’interrogazione con un gruppo di 24 senatori dem, sempre in luglio. Per timore di mettere il dito in una piaga che non si è risanata in Europa e che ha visto la tragedia immane della Shoah, non si può però essere afoni».
Dentro il Pd è necessario mediare. Si fa fatica ad elaborare la mozione?
«Posso crederlo. Tuttavia l’Italia deve premere più di chiunque sull’Europa perché si faccia portavoce di un’esigenza di pace, di restituzione di giustizia».
Non crede che in questo momento il riconoscimento dello Stato palestinese sia benzina sul fuoco che infiamma la regione?
«No, è vero il contrario. Davanti all’Is, alla follia estremista che usa la religione come strumento di morte, tutti i fondamentalismi religiosi, dovunque si annidino, devono essere fermati».
La mozione dem va votata con Sel e i 5Stelle o con Ncd e Fi?
«Più si allarga e meglio è, ma la cosa importante è che si prema perché l’Europa sia finalmente incisiva. Dovremmo quindi votarla con tutti quelli che ci stanno».
E il testo deve essere formulato in modo che si chieda il riconoscimento subito?
«L’importante è chiedere che ci sia lo Stato palestinese o che si vada in tempi rapidi verso lo Stato palestinese. A me interessa questo, che la smettiamo di chiudere gli occhi».

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