mercoledì 25 marzo 2015

Dammi tempu cà ti perciu



L'articolo. Il sinologo David Shambaugh ha scritto che Pechino è vicina al collasso, con il Partito stretto tra guerre interne e paranoie securitarie. Ma si tratta di «allarmi» lanciati di frequente: i punti  deboli evidenziati dai «catastrofisti», per altri, sono gli aspetti vincenti

di Simone Pieranni il manifesto 25.3.15


L'analisi. Il Pcc sta cercando di unire Confucio a Deng Xiaoping e Mao Zedong L’ideologia dominante all’interno del Pcc si rifà sempre più a dottrine prime messe al bando, come il confucianesimo

di Maurizio Scarpari  il manifesto 25.3.15



di Simone Pieranni il manifesto 25.3.15

La sfida cinese per la leadership globale

Geopolitica. La strategia di trattati commerciali, acquisizioni e rafforzamento militare

di Adriana Castagnoli Il Sole 25.3.15

La Cina sta seguendo una precisa strategia espansiva basata su acquisizioni, nuove strutture finanziarie, trattati di commercio, graduale ma robusto rafforzamento militare. È la geostrategia di una superpotenza che sta cambiando il mondo con effetti non prevedibili sul rapporto di Pechino con l’Europa e della Ue con Washington. La crescente competizione fra Stati Uniti e Cina per stabilire chi scriverà le regole economiche del XXI secolo è emersa nella vicenda dell’Asian Infrastructure Investment Bank disegnata per proiettare il potere cinese nella regione asiatica . Il che consente a Pechino di eludere le istituzioni finanziarie esistenti come l'Asian Development Bank nella quale è preminente l'influenza di Tokyo. L’AIIB è funzionale all'ambizioso disegno di Pechino di creare una nuova generazione di istituzioni finanziarie ed economiche per affermare la propria influenza in Asia e in altre parti del mondo. Come la banca per lo sviluppo dei BRICS di cui la Cina è leader insieme alla Russia. In questo scenario geostrategico globale si capisce pertanto l'irritazione di Washington nei confronti di Londra che, a dispetto della special relationship, ha aderito rapidamente al disegno di Pechino, seguita da Germania, Francia e Italia .
Ma questo non è che uno degli effetti della nuova sfida per la leadership globale.
La Cina ha aderito alla World Trade Organization nel 2001, ma le sue grandi imprese di stato mostravano già che la sfida in settori strategici come aerospaziale, energia, acciaio, farmaceutica, automobili e minerali sarebbe stata di portata assai più ampia di quanto ritenevano certi policy makers occidentali. Sino al 2012 gli investimenti esteri cinesi sono stati diretti soprattutto verso i paesi in via di sviluppo e per accaparrarsi riserve di commodities. Fino ad allora, l’impatto sui mercati più ricchi è stato trascurabile anche perché nei settori high-tech erano le multinazionali estere a investire in Cina. Le autorità di Pechino hanno riconosciuto che la Cina ha ancora bisogno della tecnologia occidentale innanzitutto per uno per sviluppo ecosostenibile.
Tuttavia la grande recessione ha avuto pesanti effetti negativi sull’industria in Europa. Con le aziende del Vecchio Continente in affanno una più aggressiva politica estera d’investimenti cinesi era prevista sin dal 2012 con le decisioni del 18° congresso del partito comunista cinese. In questa strategia di superpotenza in competizione con gli Usa rientrano anche gli accordi con la Russia per le forniture energetiche e l’adattamento della tecnologia occidentale nella costruzione di numerosi reattori nucleari.
Con investimenti nel settore della difesa che crescono a un ritmo di oltre il 10% all’anno, la Cina è divenuto il secondo paese al mondo per entità della spesa militare nel 2008. Il budget della difesa è più di tre volte quello di altri big spender come Francia e Giappone, e quattro volte quello dell’India. Per quanto ancora lontana dall’entità delle spese militari americane, è ormai l’unico paese in grado di competere con Washington su questo piano. Tanto più se si considera che Pechino nasconde parte dei suoi investimenti per l’esercito in ricerca, sviluppo, sussidi alle industrie per la difesa, importazione di armi. Che sono stimati dagli esperti in un altro 35-50% del totale delle spese per la difesa. Oggi la Cina è divenuta il 3° esportatore mondiale di armi, anche se la sua quota è al momento minuscola rispetto a Russia e Usa che insieme controllano oltre 58% del mercato. Un esercito moderno è centrale nella campagna di riscatto nazionalistico in cui è impegnata la Cina dagli anni ’90.
Gli Stati Uniti, per parte loro, stanno cercando di forgiare l’architettura economica dell’Asia con il TTP, e Washington discute separatamente il TTIP con la UE. L’obiettivo per gli USA è stabilire regole per il commercio globale, alti livelli di protezione dei diritti di proprietà intellettuale, normative di tutela ambientale. Tutti campi nei quali Cina e Usa hanno sensibilità , interessi e approcci diversi.
Il punto è che vi è un’importante interdipendenza economica fra Washington e Pechino che delimita, almeno sulla carta, i confini della competizione fra le due superpotenze. La Cina costituisce un modello di sviluppo e di modernizzazione che, ad oggi, può indebolire gli sforzi americani per promuovere la democrazia, i diritti umani e il libero commercio innanzitutto nelle regioni in via di sviluppo come l’Africa e l’America Latina. Tuttavia un’Europa economicamente e politicamente debole, senza un suo sistema di difesa e alla ricerca di capitali e d’investimenti può essere vulnerabile in molti modi. E indebolire anche il suo alleato americano.

Partecipazioni statali e la discesa di Pechino
Chem China ha in atto una trasformazione necessaria insieme alle altre aziende pubbliche cinesi: ridurre il peso dello Stato e massimizzare il valore di attività e acquisizioni.

di Rita Fatiguso Il Sole 25.3.15

PECHINO Non c’è soltanto l’internazionalizzazione (Go Global) a ispirare le mosse dei colossi statali cinesi come China chemical che attraverso Camfin si è lanciata nel controllo di Pirelli. Un caso davvero esemplare, quello di Chem China, è ormai da un decennio uno dei big cinesi a controllo statale, intorno al ventesimo posto nella lista dei produttori mondiali di chimica, è attiva in 140 Paesi nella produzione di materie plastiche, tecnopolimeri, poliuretani, gomme e pneumatici. Vale, in euro, 36 miliardi, e dà lavoro a 140mila persone, negli ultimi anni in mezzo mondo ha fatto shopping ovunque e in Europa dalla Francia, alla Svezia e ora in Italia, ma non ha smesso i panni della Soe, State owned enterprises, Società a controllo statale.
Perfino una realtà come quella guidata da un manager illuminato come Ren Jianxin è controllata dallo Stato al 70% e, quindi, anche China Chem ha di fronte una serie di sfide durissime. È in atto, nei prossimi anni, una trasformazione necessaria per le aziende pubbliche cinesi, con l’obiettivo di ridurre la componente della mano statale e, soprattutto, di aumentare la produttività per gli azionisti e massimizzare il valore delle attività e delle acquisizioni. A metà 2014 il ministero delle Finanze ha dettato le regole per gli assetti finanziari delle Soe, dando il la a questa rivoluzione che non risparmierà nessuno, Soe quotate e non quotate. Che siano quotate come nel caso di China Chem oppure no, il solo passaggio dal 70 al 50% del controllo potrà liberare risorse a partire da 18 trilioni di yuan e se la quota scendesse a 30 fino a 36 trilioni. Se solo lo Stato riducesse la sua parte si arriverebbe a 20-40 trilioni di yuan.
In Cina questi dinosauri aziendali sono circa 156mila (dati 2013), di cui 52mila a livello centrale, 104mila locali. Gli asset di tutte le Soe sono pari 104.1 trilioni di yuan, in crescita rispetto all’anno precedente del 16.3, mentre quelle locali sono pari a 55.5 trilioni in aumento del 20.4 nel 2013 rispetto all’anno precedente.
I profitti totali hanno raggiunto 1.7 trilioni (più 4.6 quelli totali), 886.87 miliardi di yuan a livello locale (sopra del 6.7 dall’anno precedente).
Oggi lo Stato cinese ha ancora una presenza esorbitante oltre il 70 per cento rispetto al limite di altri Paesi. Perché utilizza gli utili delle Soe per garantire un minimo di welfare e operazioni di finanziamento. Probabilmente il controllo in China national petroleum corporation, Cnpc, è anche anche superiore rispetto a quelle società che non sono listate. Il meccanismo è tale, però, che così un mare di risorse resta inutilizzato e non va a beneficio di nessuno. Spesso queste società non riescono a gestire le acquisizioni fatte all’estero in maniera efficiente.
Il volto di queste società dunque è destinato a cambiare e anche quello delle societaà acquisite in questi anni, evidentemente.
I dettagli finanziari dell’operazione Pirelli diffusi dalla stessa China Chem dicono che la newco pagherà la partecipazione in Pirelli al prezzo di 15 euro per azione, per un valore di quasi 1,9 miliardi di euro; quindi lancerà l’Opa sul 100% del gruppo, allo stesso prezzo, per un controvalore di 7,13 miliardi di euro. Se l’offerta avrà successo, Chem China potrebbe ottenere fino al 69% di Pirelli. Il riassetto delle attività prevede che Pirelli Truck, la divisione pneumatici per veicoli industriali, si fonda con Aeolus Tyre di ChemChina, dando vita al quarto produttore mondiale di coperture per veicoli pesanti. Pirelli Tyre (pneus per auto e moto) potrebbe invece essere quotata in Borsa in un prossimo futuro. Ma cosa succederà quando China Chem & co. dovranno mollare gli ormeggi abbassando il livello di partecipazione dello Stato? Lo scenario non è affatto chiaro.

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