giovedì 26 marzo 2015
Il Landini contro Tachipirinas. La borghesia nazionale e l'Imbroglione Giovane affondano il coltello nelle nostre contraddizioni e incertezze
Le contraddizioni della piazza di Landini tra Atene e il caso Pirelli
di Lina Palmerini Il Sole 26.3.15
Gli
slogan con cui Landini prepara la piazza di sabato sembrano del tutto
fuori tempo. Parlano delle politiche di “destra” del Governo, mettono
all’indice la vicinanza con Confindustria, continuano, insomma, a
riflettere su confini nazionali che nazionali non sono più. Sembra di
riascoltare Sergio Cofferati al Circo Massimo ma, nel 2002, un senso
c’era. Oggi, tra il caso Grecia-Europa e il caso Pirelli-Cina, sentir
parlare come si parlava 13 anni fa è disorientante.
È come se si
volesse ignorare la lezione di Atene, come se non si volesse vedere la
fatica di Tsipras, eroe dell’anti-austerity, alle prese con la dura
legge di chi ha debiti. Ce li ha la Grecia e pure l’Italia. Cofferati
poteva fare opposizione al Governo Berlusconi sull’articolo 18 senza
entrare nelle contraddizione della sinistra sociale di oggi che per
essere conseguente e concludente dovrebbe dire due no: uno al Jobs Act e
l’altro alla permanenza nell’area euro perché quella riforma del lavoro
nasce tra Bruxelles e Francoforte, non a Roma. Quelle politiche di
destra che la piazza di Landini metterà all’indice saranno forse le
stesse che dovrà accettare Tsipras impegnato in una dura trattativa dopo
il “no” all’uscita dalla moneta unica. La Grecia ha bisogno di 7,2
miliardi entro l’8 aprile, chiede i soldi all’Europa e le condizioni di
Bruxelles sono un dettagliato piano di riforme tra cui dovrebbe esserci
anche quella delle pensioni.
Dunque, la sfida che ha davanti la
sinistra, sociale o politica che sia, è di scegliere se restare
nell’euro e seguirne le regole - come deve fare perfino il leader di
Syriza - oppure proporre l’uscita dalla moneta unica. Cioè la stessa
soluzione di Matteo Salvini e Marine Le Pen, peraltro battuta
dall’europeista Sarkozy alle elezioni amministrative di domenica scorsa.
E forse anche per questo che la piazza di sabato sarà più vuota del
solito di esponenti di sinistra del Pd. Il quiz del “chi andrà” tra le
bandiere Cgil è sempre stato un grande classico giornalistico, una conta
tra chi nel partito era più o meno vicino al sindacato, ma questa volta
le assenze sono illustri a cominciare da Pierluigi Bersani e Guglielmo
Epifani, i due ultimi leader del Pd, entrambi della minoranza del
partito. Ed Epifani è stato anche leader della Cgil ma sabato non sarà
tra Landini e Camusso. Insomma, molti si tengono lontani da quel corteo
per mantenere uno spazio politico autonomo a sinistra ma anche perché
vedono quali contraddizioni si trascina una manifestazione che ragiona
entro confini che non ci sono più. Non ci sono più politicamente ed
economicamente. Il caso dell’acquisizione della Pirelli da parte del
colosso cinese non è il primo né sarà l’ultimo di una serie di
cambiamenti strutturali del tessuto industriale nazionale che hanno
sguarnito il Paese di grandi aziende tutte italiane. E allora ha senso
ancora organizzare una piazza che se la prende con Renzi e Confindustria
quando le decisioni si muovono lungo un asse che può andare da
Bruxelles a Pechino? Siamo sicuri che si tutelano così i lavoratori che
hanno o avranno una proprietà cinese, americana, francese o indiana?
Rifugiarsi entro i confini nazionali, rivendicare una sovranità sociale e
politica, protestare contro chi ha portato il Paese alla realtà di oggi
non è più così credibile. Davanti agli occhi di tutti c’è Tsipras che
l’altroieri ha visto la Merkel a Berlino e la prossima settimana è
atteso a Bruxelles per presentare la lista dettagliata delle riforme. Se
non ce la fa lui ce la può fare Landini?
Coalizione sociale, con un altro sindacatoDemocrazia.
Per evitare il fallimento, non basterà affiancarsi come una sorta di
"terzo settore" alla sfera politica e a quella delle rappresentanze
lasciandone intatti poteri e dispositivi di perpetuazionedi Marco Bascetta il manifesto 26.3.15
Italicum, lunedì resa dei conti nel Pd
In Direzione si voterà, Renzi prova a mettere la minoranza con le spalle al muro
I suoi non escludono il ricorso alla fiducia. D’Attorre: vogliamo un’intesa generale
di Carlo Bertini La Stampa 26.3.15
La
resa dei conti si consumerà lunedì in Direzione, con un voto da cui
potrebbero dipendere i destini della legislatura. Se il premier e la
minoranza Pd non troveranno un’intesa sulla legge elettorale la
situazione potrebbe precipitare. Lo scontro tra Matteo Renzi e i
bersanian-dalemiani si consuma nell’arco di un pomeriggio, esplode
quando il pasdaran Alfredo D’Attorre chiede la convocazione di un tavolo
di confronto per siglare «un’intesa quadro» nel merito su riforme
costituzionali e legge elettorale. Iniziativa formale, che non coinvolge
l’ala più dialogante, quella che fa capo a Roberto Speranza, che alla
stessa ora ha riunito i suoi per fare il punto, un summit senza i toni
da ultimatum che non garbano affatto ai giovani di Area Riformista, che
però nel merito chiedono le stesse cose.
La sfida e l’arma finale
Il
premier allora lancia la sfida, convoca per lunedì la Direzione,
mettendo all’ordine del giorno riforme e Italicum. Un vertice del
parlamentino Dem che finirà con una «conta» a maggioranza e quella che
uscirà sarà la linea che poi il partito dovrà adottare in Parlamento.
Insomma un annuncio che suona come un colpo che mette con le spalle al
muro i dissidenti. Che chiedono in sostanza una modifica sul tema delle
preferenze, diminuendo il peso delle liste bloccate, finora negata dal
premier anche in virtù di un’altra serie di modifiche concordate nel
percorso parlamentare di questi mesi.
E il secondo colpo non è minore
del primo: Renzi decide di rompere gli indugi e fa sapere, tramite il
vicecapogruppo Ettore Rosato che oggi il Pd chiederà un’accelerazione
del voto alla Camera, che fino a ieri si pensava sarebbe stato rinviato a
dopo le regionali per non acuire le tensioni interne proprio durante la
campagna elettorale. «Non ci sono ragioni per non esaminarla subito»,
ha spiegato Rosato. Proprio mentre i renziani della segreteria non
escludevano neppure l’arma finale, il ricorso ad un voto di fiducia
sulla legge elettorale. «La materia istituzionale non si risolve con un
voto in Direzione, su questi temi è sempre stato riconosciuto un margine
di autonomia ai gruppi parlamentari», è la reazione di D’Attorre dopo
un breve consulto con Pippo Civati e Gianni Cuperlo.
La carta ministero
La
questione è di prima grandezza, perfino i più realisti cominciano a
dubitare che possa risolversi senza traumi. «Vediamo quanti sono davvero
pronti allo strappo in aula, però potrebbero essere più del previsto»,
ragionava preoccupato ieri alla Camera uno dei dirigenti del gruppo Pd.
«Tocca a Renzi tenere il partito unito, bisogna fare delle modifiche, ma
noi diciamo che il premier può star tranquillo - non sereno - che
quelle modifiche concordate si approvano al Senato senza cambiamenti»,
spiega Nico Stumpo, uomo forte della corrente Area Riformista. Che ieri
si è trovata pure a a fare i conti con le voci di una possibile offerta
al capogruppo Speranza del ruolo di ministro delle Infrastrutture.
Un’ipotesi anticipata da Repubblica che preoccupa non poco l’interessato
e i suoi «compagni» di cordata che sospettano una volontà di blandire
la minoranza per assicurarsi i voti in aula all’Italicum. Bersani taglia
corto. «Non è un argomento all’ordine del giorno, in quel ministero
deve andare il più bravo». [CAR. BER.]
Renzi va alla conta con la sinistra pd: Italicum subito, è come gli 80 euroIn Aula prima delle Regionali. I renziani: chi rema contro si fa fuori, anche dall’esecutivodi Marco Galluzzo Corriere 26.3.15
ROMA
Oggi il Pd chiederà la calendarizzazione della legge elettorale alla
Camera prima delle Regionali, dunque fra qualche settimana. È questa la
risposta di Renzi alla minoranza del suo partito, che ancora ieri
preannunciava una lettera per chiedere cambiamenti, cabine di regia fra
Camera e Senato sulle riforme: il premier sembra aver sciolto i dubbi e
deciso di accelerare; niente modifiche in vista al testo finora
approvato, almeno non quelle che la minoranza chiede a gran voce,
provvedimento vigente già prima delle prossime Amministrative.
La
risposta di Renzi è corredata dalla convocazione della direzione del Pd
per lunedì prossimo: si discuterà appunto di legge elettorale e di
riforme. Per una sorta di verifica e di resa dei conti: «Per me la legge
elettorale ha lo stesso valore degli 80 euro e ho intenzione di
mantenere le promesse».
La minoranza fa dell’ironia, visti i rapporti
di forza in direzione, e si aspetta «un richiamo disciplinare».
Richiamo che i renziani a Montecitorio, a mo’ di avvertimento, lanciano
già in queste ore a tutte le componenti del partito; il concetto che
circola, più o meno, veicolato ovviamente dallo stesso premier, è
questo: «Chi rema contro si fa fuori da solo, anche dal governo». E a
questo proposito tornano anche le voci di un rimpasto dopo le Regionali.
Già
lunedì invece Renzi, potrebbe in qualche modo compensare
l’accelerazione con una discussione sulla composizione delle liste:
quanti saranno i posti che verranno concessi agli argomenti che in
queste settimane sono stati portati avanti da Gianni Cuperlo Pippo
Civati? Uno schema su cui si ragione è quello del 70% dei posti indicati
dai renziani, ma ovviamente la discussione è aperta.
Accelerazione
in vista anche sulla Rai: sembra confermato il Consiglio dei ministri,
domani, che dovrebbe avere in agenda proprio la riforma della tv
pubblica, più volte annunciata, con l’introduzione di un amministratore
delegato di nomina governativa, con poteri più ampi di quelli che oggi
sono appannaggio del direttore generale. Sempre in Consiglio potrebbe
essere varato un altro decreto della presidenza del Consiglio sull’Ilva,
primo passo per la costituzione di un fondo che dovrebbe rilevare quote
della società siderurgica. Non è previsto invece che venga discusso
alcun pezzo della delega fiscale: si pensava che potessero arrivare dei
decreti considerati in qualche modo minori, come quello sul catasto o
sulla fatturazione elettronica, sembra che slittino ancora.
Passerà
invece ancora qualche giorno per verificare il testo della la riforma
della scuola. Approvata 15 giorni fa, presentata da Renzi subito dopo,
la riforma è stata inviata al Quirinale, che ne deve autorizzare la
presentazione alle Camere, solo l’altro ieri sera. È possibile che
l’istruttoria degli uffici del Colle almeno sino a domani, non è detto
dunque che questa settimana il testo arrivi alla settima commissione di
Montecitorio, dove il disegno di legge dovrebbe iniziare il suo iter.
Ieri
Matteo Renzi ha ricevuto a Palazzo Chigi il segretario del partito
socialista portoghese, Antonio Costa, che è anche sindaco di Lisbona. Ha
anche deciso che domenica prossima sarà presente a Tunisi, alla marcia
della pace cui parteciperanno anche altri leader e capi di Stato e di
governo europei, fra cui Hollande. La marcia, sul modello di quella che
seguì all’attentato contro di Parigi contro i giornalisti di Charlie
Hebdo , è stata organizzata dal governo tunisino in omaggio alle vittime
dell’attentato terroristico contro i turisti del museo Bardo.
Continuano
ad attendere il premier, ma finora senza esisto, al ministero delle
Infrastrutture. Né ieri né l’altroieri, quando sembrava che dovesse fare
un passaggio (aveva preavvertito gli uffici), Renzi ha ancora messo
piede nel ministero di cui ha preso l’interim per un periodo non
brevissimo, almeno un paio di settimane. La sensazione è che Renzi sia
ancora alla ricerca di un nome di peso e un pensierino sembra sia andato
anche verso Mauro Moretti, ex Fs, oggi ad di Fin-meccanica.
Il premier prova a sparigliare accelerandodi Marcello Sorgi La Stampa 26.3.15
Ha
colto tutti di sorpresa l’improvvisa accelerata di Renzi sulla riforma
elettorale. Convocando per lunedì la direzione, nella quale ha
agevolmente i numeri per ribadire la sua decisione di far sì che il
prossimo alla Camera sia il passaggio definitivo della nuova legge
elettorale, Renzi non solo prova a stanare una volta e per tutte la
minoranza interna del Pd, che al contrario punta a modificare l’Italicum
in modo da poterlo rispedire al Senato, dove a questo punto non ci
sarebbe più una maggioranza in grado di approvarlo. Ma anche a far
capire che sulla legge elettorale si gioca il destino della legislatura.
Dibattito
e voto sull’Italicum alla Camera arriverebbero a Montecitorio a questo
punto prima delle elezioni regionali, non ancora fissate ma in fase di
slittamento verso il 7 giugno dal 31 maggio, data in cui si troverebbero
a coincidere con un ponte di quattro giorni a rischio astensione. La
conclusione della campagna elettorale avrebbe sullo sfondo la madre di
tutte le battaglie.
Circolano spiegazioni opposte dei motivi che
avrebbero spinto Renzi alla svolta. Secondo alcuni esponenti della
minoranza pesano i dubbi del premier sul risultato elettorale: in
Veneto, malgrado le divisioni del centrodestra, Zaia parte favorito; la
Liguria è a rischio per l’entrata in campo di un secondo candidato di
centrosinistra; la Campania è incerta per il pasticciato esito delle
primarie vinte dal candidato condannato De Luca. Un quattro a tre nei
confronti del centrodestra non sarebbe un gran successo, dicono le voci
di dentro bersaniane, mentre i renziani sostengono il contrario: dopo la
prova di difficoltà fornita la settimana scorsa dall’assemblea delle
diverse componenti dell’opposizione interna, sarebbero proprio i leader
della minoranza a temere uno sfarinamento sull’Italicum.
Sia come
sia, lo scontro sulla legge elettorale si annuncia comunque insidioso:
sugli inevitabili scrutini a voto segreto sui singoli articoli ed
emendamenti, pende il rischio di una saldatura tra i franchi tiratori
della maggioranza e dell’opposizione irrobustita da Forza Italia.
Inoltre occorrerà vedere come si schiereranno, sul punto dell’anticipo
del calendario parlamentare la presidente della Camera Boldrini, che ha
espresso la sua contrarietà alla condotta decisionista del governo; e
sull’ipotesi, non esclusa, che Renzi possa mettere la fiducia
sull’Italicum, il presidente della Repubblica Mattarella, al suo debutto
su questo campo, dopo che Napolitano, a fine mandato, sulla resistenza
della minoranza Pd aveva fatto intendere di non essere d’accordo.Il premier blinda la legge elettorale“Sono divisi, il momento è ora voglio chiudere i primi di maggio”di Francesco Bei e Giovanna Casadio Repubblica 27.3.15
ROMA
«All’inizio di maggio dobbiamo chiudere. Questa è la partita decisiva,
inutile aspettare, abbiamo discusso fin troppo». La svolta di Renzi
sull’Italicum matura nel weekend, dopo l’assemblea delle sinistre dem
all’Acquario Romano. Un’accelerazione imposta dal terreno di scontro -
proprio la nuova legge elettorale - scelto da Bersani e Cuperlo per
tentare l’ultimo “affondo” contro il governo. «Sono divisi, il momento è
ora», ha spiegato il premier ai suoi.
Bruciare i tempi, arrivare
all’obiettivo prima delle regionali. Per non giocare una campagna
elettorale tutta in difesa: questa è la strategia elaborata a Palazzo
Chigi. Non è un caso che già lunedì scorso, a sorpresa, alla Luiss
School of government, Renzi abbia dedicato gran parte del suo intervento
a magnificare i benefici di una legge elettorale «che, scommetto, ci
copieranno in tutta Europa». Un inno alla «democrazia decidente» contro
la «vetocrazia » che ha trasformato il paese in una palude. Il punto
fermo per Renzi è che il compromesso raggiunto è il massimo possibile e
dunque «la legge a Montecitorio sarà blindata», anche per evitare un
altro pericolosissimo passaggio al Senato. La convocazione della
direzione del Pd lunedì prossimo, che ha spiazzato le minoranze, servirà
proprio a questo e si concluderà con un voto. Un modo per mettere le
minoranze con le spalle al muro. Il premiersegretario gioca d’anticipo:
«È il momento della decisione, non possiamo più buttare la palla in
tribuna. L’Italicum è già stato cambiato moltissimo ».
A favore
dell’accelerazione gioca anche il calendario delle prossime settimane
alla Camera. «Non ci sono decreti in scadenza - sottolinea il vice
capogruppo dem a Montecitorio, Ettore Rosato - la situazione è meno
calda e quindi si apre una finestra favorevole. Staremo qui tutti i
giorni a parlare di scuola, concorrenza e divorzio breve, c’è lo spazio
per approvare subito e definitivamente l’Italicum ». Certo non mancano
le incognite, legate soprattutto a probabili imboscate nei voti segreti.
Ma Renzi osserva con attenzione anche la deflagraziovo. ne in corso in
Forza Italia, dove ormai convivono sotto lo stesso tetto tre partiti
diversi: berlusconiani, fittiani e verdiniani. E proprio su questi
ultimi - almeno una ventina e tutti legati al patto del Nazareno - il
capo del Pd punta come truppe di rinforzo per surrogare i dissidenti
della sinistra dem. Per condurre in porto questa operazione
delicatissima il premier deve però poter contare su un capogruppo di
assoluta affidabilità. Finora Roberto Speranza, benché leader di “Area
riformista”, principale corrente d’opposizione, si è mostrato
collaboratila Ma una parte dei renziani non si fida e spinge il premier a
promuoverlo al governo così da sostituirlo con un fedelissimo. La
minoranza non ne vuole sentir parlare e se la prende con il fronte
soprannominato ironicamente “avanti Bo.Bo.Lo” (Boschi, Bonifazi, Lotti)
che spingerebbe Renzi sulla linea dura. C’è tuttavia una parte della
stessa maggioranza del Pd che vorrebbe tenere Speranza al suo posto: con
un leader ingessato nel ruolo istituzionale di capogruppo, per i
bersaniani sarebbe infatti più difficile organizzare imboscate
parlamentari contro l’Italicum. Le minoranze d’altra parte sono del
tutto divise tra chi vuole il “coordinamento” delle sinistre dem o un
“conclave” per porre un aut aut e convincere Renzi ad aprire a modifiche
sulle riforme e chi mostra massima cautela. Nico Stumpo, portavoce di
“Area riformista”, che si è riunita ieri, dà l’altolà a qualsiasi
ipotesi di coordinamento: «Non ne abbiamo bisogno, dobbiamo discutere di
modifiche nel merito e ciascuno presenti le sue».
Intrecciata a
quella delle riforme si gioca la partita del rimpasto. Resta in piedi
l’ipotesi di un coinvolgimento al governo di un esponente “dialogante”
della sinistra interna. Roberto Speranza ma anche Anna Finocchiaro,
presidente della commissione affari costituzionali a Palazzo Madama. E
se fosse proprio lei il sostituto di Lupi? Il sospetto è venuto a molti
di quelli che ieri l’hanno ascoltata in aula elencare “l’abecedario”
delle norme anti corruzione sugli appalti pubblici.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento