A
tutto ciò si aggiunga un rilievo, che potrà apparire (e forse può anche
essere effettivamente) marginale, ma che tuttavia non può essere
taciuto. Il nome di Zygmunt Bauman è diventato famoso, ben al di là dei
limiti della comunità scientifica, per l’accostamento alla principale
«scoperta» a lui abitualmente attribuita, compendiata nell’aggettivo
«liquida», col quale in un fortunato libro uscito in inglese nel 2000
(Modernità liquida , Laterza) il sociologo polacco alludeva alla società
odierna.
Come spesso accade (il che non significa che debba
obbligatoriamente continuare a verificarsi), quell’espressione,
originariamente coniata per indicare le caratteristiche di una società
le cui strutture si scompongono e ricompongono rapidamente e in maniera
fluida e volatile, si è trasformata in uno slogan orecchiabile,
applicabile alle realtà più diverse — dalla politica alla filosofia,
fino allo sport e alla cucina. Con effetti caricaturali, e talora
irresistibilmente comici, facilmente immaginabili. E con la conseguenza,
molto meno divertente, di inchiodare lo stesso Bauman alla vacua
ripetitività di una formuletta. Questo nuovo testo rende giustizia ad
uno studioso le cui tesi, come quelle di qualunque altro, sono
certamente criticabili e forse in parte inaccettabili, ma che tuttavia
non può essere ridotto al raggio angusto di un aggettivo di successo.
Ciò
detto e doverosamente riconosciuto, si deve anche notare che il libro
mantiene solo in parte le impegnative promesse formulate nella
prefazione, soprattutto per quanto riguarda la prospettazione di quella
che viene definita come «postdemocrazia».
Assai puntuale, e immune da
ogni indebita sacralizzazione, la decostruzione delle trasformazioni
subìte dalla nozione di democrazia, fra Pericle e Alexis de Tocqueville
(per indicare «estremi» non solo in senso cronologico). Pienamente
condivisibile anche il giudizio complessivo, ricalcato sulla troppo
spesso dimenticata affermazione di Jean-Jacques Rousseau (che pure è
stato uno dei «padri» della democrazia moderna): «Secondo il preciso
significato della parola si può dire che non è mai esistita una
democrazia, e non esisterà mai».
Dichiarazione — questa — che
potrebbe essere altresì accompagnata da un autore trascurato da Bauman e
Bordoni, vale a dire Platone, il quale rileva che, più che una vera e
propria forma di governo, la democrazia è «un supermercato delle
costituzioni», in cui sono esposte disordinatamente tutte le forme di
governo.
Il punto vero, tuttavia, sempre sintomaticamente eluso dai
detrattori della democrazia, e non risolto da Bauman e Bordoni, è un
altro, e riguarda appunto la delineazione di una possibile alternativa.
Restituendo al termine «crisi» — costantemente ricorrente nel testo — la
sua originaria accezione medica, si potrebbe dire che gli autori
sembrano orientati semplicemente a prendere atto del decesso del
paziente chiamato democrazia. Una certificazione di morte che potrebbe
forse essere evitata, se si applicasse alla nozione di democrazia ciò
che un famoso penalista replicò a chi gli faceva notare la totale
infondatezza della nozione di pena. E si potrebbe dunque concludere che
sì — è vero — la democrazia fa acqua da tutte le parti. Ma, almeno
finora, in oltre tremila anni di civiltà occidentale, nessuno (neppure
Bauman e Bordoni) è riuscito ad inventare nulla di meglio.
Interregno, lo spazio liquido dell’esistenza
Saggi. «Stato di crisi» di Carlo Bordoni e Zygmunt Bauman, per Einaudi. L’impoverimento e le disuguaglianze sociali hanno evidenziato l’implosione di un modello economico. ’Ue è il laboratorio dove sperimentare, in più occasioni, le varie politiche legate all’austerity
Benedetto Vecchi, 31.3.2015
Un dialogo dove uno dei partecipanti incalza l’altro, il quale si sottrae e spinge la discussione su altri binari. E quando la parola torna al primo, quest’ultimo non può che riprendere il bandolo della matassa e cercare di ritessere le fila di una discussione che corre il rischio annullarsi in una serie di monologhi. La forma del dialogo per affrontare un tema è antica, la si trova nella filosofia greca, ma anche in testi sacri, compreso il vecchio testamento. La sua efficacia dipende dal tema prescelto e dalla volontà dei protagonisti del dialogo di misurarsi con punti di vista che non sempre coincidono. Nel caso di Stato di crisi (Einaudi, pp. 198, euro 18) è però evidente che Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni sono più che disponibili a misurarsi con le tesi che vengono espresse.
Carlo Bordoni è un sociologo che studia da tempo la «demassificazione» delle società contemporanee. Ha delineato la deriva culturale verso un individualismo proprietario, sottolineando i tratti di nichilismo, narcisismo che emergono quando una moltitudine – una sommatoria generica di singoli di singoli, per Bordoni — prende il posto delle classi sociali. Zygmunt Bauman è invece il teorico della modernità liquida.
In questo libro svolge il ruolo del saggio studioso che, alla luce della sua esperienza, è poco incline a fare proprie suggestioni teoriche che il sistema dei media porta alla ribalta. Misura le parole, quasi volesse suggerire al suo interlocutore che la crisi, il tema attorno al quale ruota il loro dialogo, costringa a misurarsi proprio con la modernità, i suoi punti di forza, ma anche i vicoli ciechi che l’hanno caratterizzata. Segnala, infatti, che in nome delle promesse degli esordi — libertà, benessere per tutti — sono state erette prigioni e costruiti campi di lavoro. E che per rendere operativa almeno una di quelle promesse, il benessere della nazione, sono stati individuati dei nemici e pianificato il loro sterminio. Per questo invita più volte a dotarsi di bussole che orientino con chiarezza la marcia da intraprendere nell’interregno che separa il presente e un futuro che in molti vedono negato dalle politiche del neoliberalismo e che altri temono come la peste, perché convinti che non potrà che peggiorare le loro condizioni di vita. A tale richiesta di cautela programmatica Bordoni aderisce, ma più volte mette nero su bianco che — rispetto le sfide poste dalla situazione di crisi economica — vanno immaginate anche risposte politiche.
Legittimità perduta
Il titolo del libro in questione chiarisce tuttavia quale sia il timore di Carlo Bordoni. Lo Stato di crisi attorno al quale discutono i due studiosi non si riferisce solo alla crisi che dal 2007 in poi ha gettato nel panico e nel lastrico milioni di persone. L’impoverimento, la disoccupazione di massa, l’aumento esponenziale delle disuguaglianze sociali hanno reso evidente l’implosione di un modello economico e sociale che era stato imposto perché il precedente mostrava evidenti segni di logoramento; per questo si è imposta la convinzione che ha avuto la capacità di costruire un forte e niente affatto effimero consenso, di rimuovere, con le buone ma anche con le cattive, i vincoli posti dal cosiddetto regime di accumulazione capitalistica fordista.
Sono ormai passati trent’anni da quando alcuni leader politici (Margaret Thatcher e Ronald Reagan) e un nutrito gruppo di economisti invitavano con voce suadente a lasciare liberi gli spiriti animali del mercato perché — così facendo — tutto sarebbe andato per il meglio. Le cose non sono andate per niente bene, ma l’idea che il libero mercato fosse il miglior modo di pensare e di far funzionare l’economia è stata egemone.
Non è sempre convincente la generalizzazione che i due autori fanno, specialmente quando mettono in secondo piano il fatto che il neoliberismo ha modificato a favore delle imprese, e del capitale, i rapporti di forza. Le posizioni di Bauman e Bordoni colgono però il segno quando sottolineano che, con la crisi, il neoliberismo, ha perso consenso e legittimità, anche se non si capisce con chiarezza quale sia il modo di produrre che possa far ripartire la locomotiva dell’economia mondiale.
Il neoliberismo, infatti, ha costituito una discontinuità rispetto al passato. Difficile riproporre un ritorno al welfare state su base nazionale, viste le interdipendenze che caratterizzano l’economia mondiale. Un modo per sbrogliare la matassa potrebbe partire però dall’analisi di come ha colpito la crisi. Sono cresciute le disuguaglianze nel capitalismo europeo e statunitense; i diritti di cittadinanza sono diventati merci da acquistare sul mercato dei servizi sociali; la precarietà è diventata l’alfa e l’omega nei rapporti di lavoro.
Cose note, meno evidente è invece il fatto che sono state definite vie d’uscita dalla crisi del neoliberismo all’interno dello stessa regime di accumulazione. L’Unione europea è, da questo punto di vista, un laboratorio sociale e politico di uscita dalla crisi attraverso le politiche di austerity.
Ad altre latitudini, sono operative soluzioni che, sempre in nome del libero mercato, vedono lo stato svolgere, attraverso un governo gestito con mano ferma di un partito comunista, una duttile e comunque evidente funzione pianificatrice. Non è tuttavia questo che i due autori vogliono indagare.
Un futuro da ricreare
Il libro oscilla dalla volontà di offrire una fotografia non sfocata della realtà contemporanea e l’ambizione di costruire una vera e propria capacità interpretativa dello stato di crisi, appunto, che nelle pagine di questo libro ha molto a che fare con la crisi della modernità.
E se Bauman preferisce, come è noto, parlare di modernità liquida, Bordoni avanza il sospetto che più di fine della modernità si debba parlare di una sorta di venir meno di un intera costellazione culturale, politica e economica basata sul l’idea di progresso, dove il futuro non poteva essere che migliore del passato.
Elemento centrale della sua riflessione è appunto la «demassificazione» delle società contemporanee: prospettiva analitica che il sociologo polacco inquadra però come un elemento proprio della modernità, che al sempre messo al centro il singolo, che poteva certo attendere per conseguire i suoi obiettivi, ma era consapevole che tutti gli sforzi erano finalizzati alla sua felicità. La parola chiave, magica del libro è dunque interregno, cioè di una transizione da un modo di produzione all’altro. Quel che però è assente dal libro che la crisi, cioè lo stare proprio in un interregno, è una condizione non congiunturale, ma stabile del capitalismo contemporaneo. In altri termini, l’interregno sarà la realtà «stabile» della vita associata. E che in questo interregno si definiranno politiche sociali e economiche per gestire una realtà che ha sì messo in quarantena l’idea di progresso, ma senza rinunciare a definire le regole bronzee del capitalismo nella produzione della ricchezza.
C’è sempre un però da mettere in campo: che la crisi, così come vivere nell’interregno, diventi una possibilità per affermare quel rendere realtà un binomio che ha accompagnato la modernità: cioè quella possibilità di vivere insieme, ma da liberi e eguali.
1 commento:
Buongiorno e complimenti per la recenzione. Sono d'accordo con lei quando afferma che la parola "liquidità" viene utilizzata spesso erroneamente. A questo proposito, la stessa "democrazia liquida" viene associata proprio a Bauman mentre, in realtà, l'etimologia a mio avviso è da ricercarsi più nel software LiquidFeedback, utilizzato (e sviluppato, in parte) dal Partito Pirata tedesco a partire dal 2010. La piattaforma, attraverso la delega dinamica (proxy-voting) consente di crare delle "sacche" di voto in tempo reale che possono mutare in ogni momento, da qui la liquidità del processo decisionale.
Cordiali saluti.
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