domenica 1 marzo 2015

La crisi liquida della democrazia liquida

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Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni: Stato di crisi, Einaudi

Risvolto
Oggi la crisi è al centro del dibattito pubblico. Nel tentativo di analizzarne le cause e ipotizzarne le conseguenze sul lungo periodo, siamo portati a paragonarla alla Grande Depressione. Ma c'è una differenza cruciale che distingue il malessere attuale dalla crisi degli anni Trenta: non abbiamo piú fiducia nella capacità dello Stato di risolvere la situazione e individuare una via d'uscita. Nel mondo sempre piú globalizzato, agli Stati nazionali è stato sottratto gran parte del potere di agire. E, poiché molti dei problemi da fronteggiare nascono a livello sovranazionale, l'entità delle forze a disposizione degli stati-nazione non è sufficiente per venirne a capo. Questo divorzio tra potere e politica produce un nuovo tipo di paralisi: indebolisce l'attività d'intervento e riduce la fiducia collettiva nella capacità dei governi di mantenere le loro promesse. L'impotenza degli esecutivi accresce il cinismo e il sospetto dei cittadini, innescando una triplice crisi: della democrazia rappresentativa, della fiducia nella politica e della sovranità dello Stato.
Sulle tracce della postdemocrazia L’ultima scommessa di Bauman
di Umberto Curi Corriere 25.2.15
Il libro di Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni Stato di crisi (Einaudi) merita indubbiamente una particolare attenzione, per una pluralità di motivi diversi. Per la formula, anzitutto. Un «colloquio» fra due studiosi, fra loro in sintonia su molti aspetti, ma anche talora dissonanti, e non su punti di secondaria importanza. Col risultato di immergere il lettore in un dialogo autentico e intellettualmente vivace, proteso all’approfondimento di questioni di grande importanza, senza alcuna concessione alla vuota ritualità del confronto accademico. Notevole è poi la scelta di uno stile improntato ad una limpidezza davvero esemplare. Pur affrontando temi di rilevante complessità, gli autori riescono ad evitare la Scilla del tecnicismo impenetrabile, senza essere risucchiati nella Cariddi delle banalizzazioni giornalistiche.

Infine, esercita una forte suggestione anche il disegno complessivo del testo, poiché delinea un percorso che conduce gradualmente dalla lucida presa d’atto di una condizione generalizzata di crisi — dello Stato, della modernità, della democrazia — fino alla prospettazione di un «nuovo ordine globale», come suona il titolo del paragrafo conclusivo.
A tutto ciò si aggiunga un rilievo, che potrà apparire (e forse può anche essere effettivamente) marginale, ma che tuttavia non può essere taciuto. Il nome di Zygmunt Bauman è diventato famoso, ben al di là dei limiti della comunità scientifica, per l’accostamento alla principale «scoperta» a lui abitualmente attribuita, compendiata nell’aggettivo «liquida», col quale in un fortunato libro uscito in inglese nel 2000 (Modernità liquida , Laterza) il sociologo polacco alludeva alla società odierna.
Come spesso accade (il che non significa che debba obbligatoriamente continuare a verificarsi), quell’espressione, originariamente coniata per indicare le caratteristiche di una società le cui strutture si scompongono e ricompongono rapidamente e in maniera fluida e volatile, si è trasformata in uno slogan orecchiabile, applicabile alle realtà più diverse — dalla politica alla filosofia, fino allo sport e alla cucina. Con effetti caricaturali, e talora irresistibilmente comici, facilmente immaginabili. E con la conseguenza, molto meno divertente, di inchiodare lo stesso Bauman alla vacua ripetitività di una formuletta. Questo nuovo testo rende giustizia ad uno studioso le cui tesi, come quelle di qualunque altro, sono certamente criticabili e forse in parte inaccettabili, ma che tuttavia non può essere ridotto al raggio angusto di un aggettivo di successo.
Ciò detto e doverosamente riconosciuto, si deve anche notare che il libro mantiene solo in parte le impegnative promesse formulate nella prefazione, soprattutto per quanto riguarda la prospettazione di quella che viene definita come «postdemocrazia».
Assai puntuale, e immune da ogni indebita sacralizzazione, la decostruzione delle trasformazioni subìte dalla nozione di democrazia, fra Pericle e Alexis de Tocqueville (per indicare «estremi» non solo in senso cronologico). Pienamente condivisibile anche il giudizio complessivo, ricalcato sulla troppo spesso dimenticata affermazione di Jean-Jacques Rousseau (che pure è stato uno dei «padri» della democrazia moderna): «Secondo il preciso significato della parola si può dire che non è mai esistita una democrazia, e non esisterà mai».
Dichiarazione — questa — che potrebbe essere altresì accompagnata da un autore trascurato da Bauman e Bordoni, vale a dire Platone, il quale rileva che, più che una vera e propria forma di governo, la democrazia è «un supermercato delle costituzioni», in cui sono esposte disordinatamente tutte le forme di governo.
Il punto vero, tuttavia, sempre sintomaticamente eluso dai detrattori della democrazia, e non risolto da Bauman e Bordoni, è un altro, e riguarda appunto la delineazione di una possibile alternativa. Restituendo al termine «crisi» — costantemente ricorrente nel testo — la sua originaria accezione medica, si potrebbe dire che gli autori sembrano orientati semplicemente a prendere atto del decesso del paziente chiamato democrazia. Una certificazione di morte che potrebbe forse essere evitata, se si applicasse alla nozione di democrazia ciò che un famoso penalista replicò a chi gli faceva notare la totale infondatezza della nozione di pena. E si potrebbe dunque concludere che sì — è vero — la democrazia fa acqua da tutte le parti. Ma, almeno finora, in oltre tremila anni di civiltà occidentale, nessuno (neppure Bauman e Bordoni) è riuscito ad inventare nulla di meglio.

Interregno, lo spazio liquido dell’esistenza 
Saggi. «Stato di crisi» di Carlo Bordoni e Zygmunt Bauman, per Einaudi. L’impoverimento e le disuguaglianze sociali hanno evidenziato l’implosione di un modello economico. ’Ue è il laboratorio dove sperimentare, in più occasioni, le varie politiche legate all’austerity
Benedetto Vecchi, 31.3.2015 
Un dia­logo dove uno dei par­te­ci­panti incalza l’altro, il quale si sot­trae e spinge la discus­sione su altri binari. E quando la parola torna al primo, quest’ultimo non può che ripren­dere il ban­dolo della matassa e cer­care di rites­sere le fila di una discus­sione che corre il rischio annul­larsi in una serie di mono­lo­ghi. La forma del dia­logo per affron­tare un tema è antica, la si trova nella filo­so­fia greca, ma anche in testi sacri, com­preso il vec­chio testa­mento. La sua effi­ca­cia dipende dal tema pre­scelto e dalla volontà dei pro­ta­go­ni­sti del dia­logo di misu­rarsi con punti di vista che non sem­pre coin­ci­dono. Nel caso di Stato di crisi (Einaudi, pp. 198, euro 18) è però evi­dente che Zyg­munt Bau­man e Carlo Bor­doni sono più che dispo­ni­bili a misu­rarsi con le tesi che ven­gono espresse.
Carlo Bor­doni è un socio­logo che stu­dia da tempo la «demas­si­fi­ca­zione» delle società con­tem­po­ra­nee. Ha deli­neato la deriva cul­tu­rale verso un indi­vi­dua­li­smo pro­prie­ta­rio, sot­to­li­neando i tratti di nichi­li­smo, nar­ci­si­smo che emer­gono quando una mol­ti­tu­dine – una som­ma­to­ria gene­rica di sin­goli di sin­goli, per Bor­doni — prende il posto delle classi sociali. Zyg­munt Bau­man è invece il teo­rico della moder­nità liquida.
In que­sto libro svolge il ruolo del sag­gio stu­dioso che, alla luce della sua espe­rienza, è poco incline a fare pro­prie sug­ge­stioni teo­ri­che che il sistema dei media porta alla ribalta. Misura le parole, quasi volesse sug­ge­rire al suo inter­lo­cu­tore che la crisi, il tema attorno al quale ruota il loro dia­logo, costringa a misu­rarsi pro­prio con la moder­nità, i suoi punti di forza, ma anche i vicoli cie­chi che l’hanno carat­te­riz­zata. Segnala, infatti, che in nome delle pro­messe degli esordi — libertà, benes­sere per tutti — sono state erette pri­gioni e costruiti campi di lavoro. E che per ren­dere ope­ra­tiva almeno una di quelle pro­messe, il benes­sere della nazione, sono stati indi­vi­duati dei nemici e pia­ni­fi­cato il loro ster­mi­nio. Per que­sto invita più volte a dotarsi di bus­sole che orien­tino con chia­rezza la mar­cia da intra­pren­dere nell’interregno che separa il pre­sente e un futuro che in molti vedono negato dalle poli­ti­che del neo­li­be­ra­li­smo e che altri temono come la peste, per­ché con­vinti che non potrà che peg­gio­rare le loro con­di­zioni di vita. A tale richie­sta di cau­tela pro­gram­ma­tica Bor­doni ade­ri­sce, ma più volte mette nero su bianco che — rispetto le sfide poste dalla situa­zione di crisi eco­no­mica — vanno imma­gi­nate anche rispo­ste politiche. 

Legit­ti­mità perduta
Il titolo del libro in que­stione chia­ri­sce tut­ta­via quale sia il timore di Carlo Bor­doni. Lo Stato di crisi attorno al quale discu­tono i due stu­diosi non si rife­ri­sce solo alla crisi che dal 2007 in poi ha get­tato nel panico e nel lastrico milioni di per­sone. L’impoverimento, la disoc­cu­pa­zione di massa, l’aumento espo­nen­ziale delle disu­gua­glianze sociali hanno reso evi­dente l’implosione di un modello eco­no­mico e sociale che era stato impo­sto per­ché il pre­ce­dente mostrava evi­denti segni di logo­ra­mento; per que­sto si è impo­sta la con­vin­zione che ha avuto la capa­cità di costruire un forte e niente affatto effi­mero con­senso, di rimuo­vere, con le buone ma anche con le cat­tive, i vin­coli posti dal cosid­detto regime di accu­mu­la­zione capi­ta­li­stica fordista.
Sono ormai pas­sati trent’anni da quando alcuni lea­der poli­tici (Mar­ga­ret That­cher e Ronald Rea­gan) e un nutrito gruppo di eco­no­mi­sti invi­ta­vano con voce sua­dente a lasciare liberi gli spi­riti ani­mali del mer­cato per­ché — così facendo — tutto sarebbe andato per il meglio. Le cose non sono andate per niente bene, ma l’idea che il libero mer­cato fosse il miglior modo di pen­sare e di far fun­zio­nare l’economia è stata egemone.
Non è sem­pre con­vin­cente la gene­ra­liz­za­zione che i due autori fanno, spe­cial­mente quando met­tono in secondo piano il fatto che il neo­li­be­ri­smo ha modi­fi­cato a favore delle imprese, e del capi­tale, i rap­porti di forza. Le posi­zioni di Bau­man e Bor­doni col­gono però il segno quando sot­to­li­neano che, con la crisi, il neo­li­be­ri­smo, ha perso con­senso e legit­ti­mità, anche se non si capi­sce con chia­rezza quale sia il modo di pro­durre che possa far ripar­tire la loco­mo­tiva dell’economia mondiale. 
Il neo­li­be­ri­smo, infatti, ha costi­tuito una discon­ti­nuità rispetto al pas­sato. Dif­fi­cile ripro­porre un ritorno al wel­fare state su base nazio­nale, viste le inter­di­pen­denze che carat­te­riz­zano l’economia mon­diale. Un modo per sbro­gliare la matassa potrebbe par­tire però dall’analisi di come ha col­pito la crisi. Sono cre­sciute le disu­gua­glianze nel capi­ta­li­smo euro­peo e sta­tu­ni­tense; i diritti di cit­ta­di­nanza sono diven­tati merci da acqui­stare sul mer­cato dei ser­vizi sociali; la pre­ca­rietà è diven­tata l’alfa e l’omega nei rap­porti di lavoro.
Cose note, meno evi­dente è invece il fatto che sono state defi­nite vie d’uscita dalla crisi del neo­li­be­ri­smo all’interno dello stessa regime di accu­mu­la­zione. L’Unione euro­pea è, da que­sto punto di vista, un labo­ra­to­rio sociale e poli­tico di uscita dalla crisi attra­verso le poli­ti­che di auste­rity.
Ad altre lati­tu­dini, sono ope­ra­tive solu­zioni che, sem­pre in nome del libero mer­cato, vedono lo stato svol­gere, attra­verso un governo gestito con mano ferma di un par­tito comu­ni­sta, una dut­tile e comun­que evi­dente fun­zione pia­ni­fi­ca­trice. Non è tut­ta­via que­sto che i due autori vogliono indagare. 

Un futuro da ricreare
Il libro oscilla dalla volontà di offrire una foto­gra­fia non sfo­cata della realtà con­tem­po­ra­nea e l’ambizione di costruire una vera e pro­pria capa­cità inter­pre­ta­tiva dello stato di crisi, appunto, che nelle pagine di que­sto libro ha molto a che fare con la crisi della modernità. 
E se Bau­man pre­fe­ri­sce, come è noto, par­lare di moder­nità liquida, Bor­doni avanza il sospetto che più di fine della moder­nità si debba par­lare di una sorta di venir meno di un intera costel­la­zione cul­tu­rale, poli­tica e eco­no­mica basata sul l’idea di pro­gresso, dove il futuro non poteva essere che migliore del pas­sato.
Ele­mento cen­trale della sua rifles­sione è appunto la «demas­si­fi­ca­zione» delle società con­tem­po­ra­nee: pro­spet­tiva ana­li­tica che il socio­logo polacco inqua­dra però come un ele­mento pro­prio della moder­nità, che al sem­pre messo al cen­tro il sin­golo, che poteva certo atten­dere per con­se­guire i suoi obiet­tivi, ma era con­sa­pe­vole che tutti gli sforzi erano fina­liz­zati alla sua feli­cità. La parola chiave, magica del libro è dun­que inter­re­gno, cioè di una tran­si­zione da un modo di pro­du­zione all’altro. Quel che però è assente dal libro che la crisi, cioè lo stare pro­prio in un inter­re­gno, è una con­di­zione non con­giun­tu­rale, ma sta­bile del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo. In altri ter­mini, l’interregno sarà la realtà «sta­bile» della vita asso­ciata. E che in que­sto inter­re­gno si defi­ni­ranno poli­ti­che sociali e eco­no­mi­che per gestire una realtà che ha sì messo in qua­ran­tena l’idea di pro­gresso, ma senza rinun­ciare a defi­nire le regole bron­zee del capi­ta­li­smo nella pro­du­zione della ricchezza. 

C’è sem­pre un però da met­tere in campo: che la crisi, così come vivere nell’interregno, diventi una pos­si­bi­lità per affer­mare quel ren­dere realtà un bino­mio che ha accom­pa­gnato la moder­nità: cioè quella pos­si­bi­lità di vivere insieme, ma da liberi e eguali.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Buongiorno e complimenti per la recenzione. Sono d'accordo con lei quando afferma che la parola "liquidità" viene utilizzata spesso erroneamente. A questo proposito, la stessa "democrazia liquida" viene associata proprio a Bauman mentre, in realtà, l'etimologia a mio avviso è da ricercarsi più nel software LiquidFeedback, utilizzato (e sviluppato, in parte) dal Partito Pirata tedesco a partire dal 2010. La piattaforma, attraverso la delega dinamica (proxy-voting) consente di crare delle "sacche" di voto in tempo reale che possono mutare in ogni momento, da qui la liquidità del processo decisionale.
Cordiali saluti.