domenica 8 marzo 2015

Lucio Caracciolo sulla complessità del potere di Putin in Russia, mentre continua la campagna di guerra della stampa italiana


Democratura  Oligarchia e populismo la “terza via” di Putin

Illiberale, funestato dai delitti politici, privo di equilibrio tra poteri. Eppure il regime russo non è la semplice tirannia di un uomo solo Perché le sue radici affondano nella storia
LUCIO CARACCIOLO Repubblica 7 3 2015

LA Russia non può essere una democrazia perché se lo fosse non esisterebbe. Un impero multietnico grande quasi sessanta volte l’Italia con una popolazione pari appena alla somma di italiani e tedeschi, concentrata per i tre quarti nelle province europee, con l’immensa Siberia quasi disabitata a ridosso dell’iperpopolato colosso cinese, può esistere solo se retto dal centro con mano di ferro. Applicarvi un sistema liberaldemocratico di matrice occidentale significherebbe scatenarvi dispute geopolitiche e secessioni armate a catena, all’ombra di diecimila bombe atomiche. Questo è almeno il verdetto della storia russa. Soprattutto, è la legge bronzea che le élite russe, dalla monarchia al bolscevismo al putinismo, succhiano con il latte materno.
Oltre che la prevalente inclinazione di un popolo che tende a seguire il suo Cesare o semplicemente diffida della politica e dei politici d’ogni colore. Per chi dubitasse, valga un recente sondaggio dell’Istituto Levada, per cui solo il 13% dei russi considera che una democrazia in stile occidentale servirebbe i loro interessi, mentre il 16% preferisce una “democrazia” sovietica e il 55% pensa che l’unico governo democratico accettabile è quello che corrisponde alle “specifiche tradizioni nazionali russe”. In parole povere, il regime vigente.
Certo, alcuni coraggiosi sfidano la storia e Putin, confidando nell’avvento finale della democrazia in Russia. Tre anni fa costoro riuscirono per qualche settimana a suscitare manifestazioni di massa anti-regime a Mosca e in altre città. Oggi si sono riaffacciati sulla scena pubblica, in occasione dei funerali di Boris Nemtsov, l’oppositore misteriosamente freddato alle porte del Cremlino. Ma nuotano controcorrente. Nel clima di mobilitazione patriottica eccitato dalla guerra in Ucraina, quattro russi su cinque dichiarano di apprezzare il presidente. Lo scambio proposto da Putin al suo popolo — io vi garantisco sicurezza, stabilità e relativo benessere, voi lasciate la politica a me — sembra ancora reggere. Malgrado le sanzioni, o grazie ad esse. E nonostante il crollo del rublo. Per quanto tempo, nessuno può stabilire.
Nel profondo dello spirito imperiale russo, la democrazia è percepita come il cavallo di Troia dell’Occidente per spac- care la patria e rigettarla in una nuova età dei torbidi. Con i cinesi a Khabarovsk, la Nato a Kaliningrad, gli islamisti padroni del Caucaso e dilaganti nel Tatarstan, gli skinheads a scorrazzare per San Pietroburgo, come nel fosco video di propaganda diffuso dai sostenitori di Putin alla vigilia delle elezioni del 2012.
Che cos’è allora questo putinismo che da quindici anni regge la Federazione Russa? I politologi potrebbero ricorrere forse al termine democratura, crasi di democrazia e dittatura, con cui l’ingegnoso saggista Predrag Matvejevic descriveva i regimi formalmente costituzionali ma di fatto oligarchici. Eppure il caso russo fa storia a sé.
Sotto il profilo geopolitico l’impero di Mosca ama offrirsi, oggi più che mai, come un polo autonomo e sovrano del “mondo cristiano”. Agli esordi, la Russia di Putin anelava ad essere riconosciuta come soggetto indipendente dell’insieme occidentale — leggi: anti-cinese e anti-islamico. Dal 2007 però, offeso dal rifiuto americano a considerarlo un partner paritario, il leader ha portato la Russia a contrapporsi all’Occidente. La guerra in Ucraina, nella quale i russi si percepiscono aggrediti da americani ed europei, lo ha spinto infine verso un’intesa tattica con la Cina e con due potenze islamiche come Turchia e Iran: i nemici storici di ieri sono gli (infidi) alleati di oggi.
Quanto al regime politico: in Russia si vota, certo, ma le elezioni sono “gestite”, ossia più o meno moderatamente manipolate. Al centro del sistema partitico sta Russia Unita, braccio politico del presidente. Il quale incarna il cuore del meccanismo decisionale, secondo il principio della “verticale del potere”. I comandi partono dal Cremlino e si diramano giù fino all’ultimo dei poteri locali. Governo e Parlamento hanno ruoli non paragonabili al rango formale. Putin preferisce infatti decidere radunando piccoli comitati informali. Appena giunto al potere ha stabilito che il lunedì avrebbe radunato al Cremlino alcuni ministri, mentre le questioni serie le avrebbe discusse il sabato in dacia, con i consiglieri fidati e gli esponenti dei “dicasteri della forza” — militari e capi dell’intelligence. L’ukaz che determinava l’annessione della Crimea, ad esempio, il presidente l’ha varato dopo aver consultato solo il segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolaj Patrushev, già direttore dell’intelligence, e il ministro della Difesa, Sergej Shojgu.
Putin era e resta uomo dei servizi segreti, nei quali entrò nel lontano 1976. «Un agente del Kgb non è mai ex», ripete. La sua visione del mondo è quella visceralmente securitaria che segna ogni uomo di intelligence. I suoi pochi confidenti vengono quasi tutti dal medesimo ambiente. Ma il presidente non è un dittatore assoluto. È l’amministratore delegato scelto dalle élite russe — in specie dagli apparati della forza ma anche da una pattuglia di oligarchi fidati — per proteggere il sistema. Ad esse risponde. Putin è un capo certo potentissimo, ma revocabile, se al sistema servisse un uomo nuovo. Con la guerra alle porte e la recessione che incupisce le prospettive dell’economia nazionale, non ci stupiremmo se un giorno non troppo lontano qualcuno dei mandatari — ma- gari un generale — lo invitasse a dichiararsi malato per il supremo bene della patria.
Uno degli uomini che lo aiutarono a insediarsi come amministratore delegato della Federazione Russa per salvarla dalla disintegrazione, Gleb Pavlovsky, ha osservato: «È impossibile dire quando questo sistema cadrà, ma quando cadrà, cadrà in un giorno. E quello che gli succederà sarà la copia di questo». E i russi di buona volontà, altrettanto patriottici di Putin, ma che aspirano alla libertà e allo Stato di diritto? Visti dal Cremlino, per loro vale sempre il motto del vecchio ministro zarista delle Finanze, Sergej Witte: «I nostri intellettuali lamentano che non abbiamo un governo come in Inghilterra. Farebbero meglio a ringraziare Iddio che non abbiamo un governo come quello della Cina». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Putin tra Medioevo e marketing “L’Occidente non ci corromperà”
Asse con il patriarcato e Russia come “centro vero della civiltà”di Anna Zafesova La Stampa 8.3.15
Per soli 1000 rubli, nemmeno 15 euro, ogni russo può contribuire alla guerra in Ucraina con un rituale magico. I militanti del nuovo movimento Anti-Maidan hanno messo in vendita un kit per la maledizione voodoo fai-da-te: un pupazzetto di carta al quale si possono incollare le le facce di Barack Obama, John Kerry, Petro Poroshenko e altri politici ucraini e americani.
Gli adesivi sono inclusi agli aghi da infilare nella figurina, scegliendo di infliggere lesioni più o meno gravi o la morte. I proventi delle vendite verranno destinati ai bambini del Donbass.
L’iniziativa ha suscitato qualche sconcerto, costringendo i suoi autori a declassarla come «scherzo». Ma l’Anti-Maidan finora non ha manifestato molto senso dell’umorismo. Insolita alleanza tra conservatori religiosi e biker filo-putiniani, il movimento si è già distinto per scontri fisici con gli oppositori, e recluta «maschi robusti» per fermare la rivoluzione in piazza che gli americani stanno preparando a Mosca. Di cui l’omicidio di Boris Nemzov, ordinato da Oltreoceano, è solo il primo passo.
Rituali bizzarri
L’idea di ricorrere ai rituali voodoo potrebbe apparire in contraddizione con i valori ortodossi. Ma il mix di Santa Russia, propaganda sovietica e marketing d’assalto sta producendo frutti sempre più esotici. A Novosibirsk un’inedita alleanza tra il vescovo locale e il vicecapo della polizia ha portato sul banco degli imputati il direttore del Teatro dell’opera, incriminato per una versione moderna del «Tanheiser» di Wagner. Il metropolita Tikhon non ha visto lo spettacolo, ma lo giudica «offensivo» (sul palco appare un manifesto con Gesù crocifisso tra le gambe di una donna). Il caso per ora è amministrativo, ma la chiesa chiede di trasformarlo in penale. E a Izhevsk il teatro locale è sotto attacco dei religiosi per la «Tormenta» di Alexandr Pushkin, dove figura un pope ubriaco. Il teatro per ora riesce a difendersi ricordando che questa rappresentazione del sacerdote porta la firma del più famoso poeta russo ed è stata fatta 200 anni fa.
Usa come il «Terzo Reich»
Dal processo alle Pussy Riot il patriarcato è ormai ufficialmente considerato il custode dell’ideologia, e il suo portavoce Vsevolod Chaplin teorizza il ritorno di Mosca come la «terza Roma» sognata nel Medioevo, anzi, sarà «l’unico centro vero di civiltà nel mondo», che si ribella al «piano totalitario dell’Occidente» di cui Hitler era solo «un tipico rappresentante». Gli Usa e l’Ue sono gli eredi del Terzo Reich, sottomettere la Russia è l’unico obiettivo degli stranieri dai tempi di Napoleone. Anzi, di Ivan il Terribile, sostiene lo storico Alexandr Myasnikov, chiamato dal Cremlino a fare lezione ai governatori sulla «guerra informativa» che l’Europa conduce contro Mosca da 500 anni. La sete di sangue di Ivan, e il figlio che ha ucciso con le proprie mani, sono «un’invenzione dei giornali europei» per screditare uno zar che sfidava «le sanzioni europee che c’erano già all’epoca».
Una via per Stalin
A questo punto il ritorno della via Stalin a Pietroburgo, chiesto dai comunisti, non fa quasi più notizia. La storia diventa campo di battaglia politica, e la senatrice Elena Afanasieva dalla tribuna accusa la Nato di aver appiccato il fuoco alla Biblioteca delle scienze sociali, per «distruggere i documenti originali e falsificare la storia».
Una versione da «Codice da Vinci», che perde fascino quando si scopre che la biblioteca, fondata nel 1918, era preziosa essenzialmente per la sua collezione di periodici del ’900. Ma la Duma ormai viene chiamata «stampante impazzita» dove farsi notare con proposte sempre più clamorose, dal bando delle mutande di pizzo al divieto agli evasori del bollo a contrarre matrimonio, al taglio delle ore di inglese nelle scuole. Così per i russi sarà ancora più difficile resistere alla propaganda, che con il pretesto di uno scandalo di pedofilia in Norvegia ha rilanciato il tema dell’Europa depravata. Il commissario per i diritti dell’infanzia di Putin, Pavel Astakhov, ha accusato la Norvegia di essere un Paese di «infantofili», mentre per i talk show gira una signora russa divorziata da un norvegese che racconta «la tradizione vichinga» di stuprare in gruppo i bambini e afferma che il governo di Oslo toglie i figli alle famiglie eterosessuali per educarli come gay, con il progetto di rendere omosessuale il 90% della popolazione. La Russia resta l’unico baluardo contro questa nuova Sodoma, e la chiesa ortodossa critica l’idea della Duma di penalizzare le punizioni corporali dei bambini, «un attentato alla autorità della famiglia tradizionale» voluto dai liberali.
L’oscurantismo
Vladimir Zhirinovsky, che 20 anni fa scandalizzava con la promessa di «un uomo a ogni donna e una bottiglia di vodka a ogni uomo», oggi sembra un politico serio. L’oscurantismo invade perfino l’Istituto di fisica tecnica, fucina di geni della Silicon Valley, dove gli studenti difendono dal licenziamento un professore che su Facebook ha esultato per l’omicidio di Nemzov: «Una canaglia in meno, così finiscono tutte le prostitute». I giovani putiniani già l’anno scorso distribuivano preservativi con le facce di Nemzov e altri oppositori. E mentre il politologo Dmitry Olshansky scrive sul tabloid «Komsomolskaya Pravda» che i liberali sono «una minoranza etnicamente compatta», a Pietroburgo il gruppo Facebook «Moralità» minaccia Leokadia Frenkel, che al centro ebraico insegna russo ai figli degli immigrati: «Gli ebrei educano i neri» si indignano i sostenitori dei «valori slavi tradizionali», e sul Web vengono pubblicate le foto del figlio e del marito della donna insieme all’indirizzo della famiglia. Dal rituale voodoo alla caccia alle streghe, il Medioevo 2.0 continua.

Il Cremlino vuole mandare in rovina l’Ucraina: è la punizione perché ha osato guardare a Ovest L’Ue non l’abbandoni
I russi mi fanno pena: pensavano di andare incontro alla libertà, ma subiranno una delusione. E vivranno gli incubi del passato
Herta Müller Il Nobel per la letteratura: “I Servizi segreti sono tornati a far fuori gli avversari politici”
“La Russia è di nuovo il regno della paura, Putin l’ha riportata ai tempi bui del Kgb”intervista di Andrea Seibel Repubblica 8.3.15
ERO preoccupata all’idea di intervistare Herta Müller, premio Nobel per la letteratura. La immaginavo chiusa, diffidente. Noi giornalisti possiamo dare l’idea di essere invadenti, ostili, pur senza esserlo minimamente. L’intervista quindi è anche un atto di fiducia tra persone che non si conoscono. Ma la scrittrice è venuta, ha visto e ha parlato.
Ancora un assassinio politico in Russia e Putin promette che risolverà il caso. La morte di Boris Nemtsov per molti è segno chiarissimo che la Russia si sta avviando a tempi cupi. Avrebbe mai pensato che il nazionalismo populista rialzasse la testa?
«Che Putin intenda occuparsi personalmente del caso e che abbia assegnato a uno dei suoi fedelissimi la guida delle indagini è in effetti la conferma ufficiale che a Mosca non esiste una giustizia indipendente, oltre a indicare che il movente dell’omicidio è inquinato da falsi indizi. Far fuori gli avversari politici è di nuovo un ferro del mestiere dei servizi segreti russi in patria e all’estero. Le morti di Natalja Estemirova, Alexander Litvinenko e forse anche di Boris Berezovskij, trovato impiccato, non sono state finora chiarite. Anche se Putin non ne è stato l’esecutore materiale questo omicidio è il risultato della sua folle propaganda nazionalista, sempre più sfrenata da quando ha dato il via alla guerra in Ucraina».
Putin recentemente ha dichiarato che in Ucraina orientale sarebbe in corso un genocidio ai danni dei russi.
«Non c’è limite all’assurdità delle menzogne della propaganda del Cremlino. Oltre alla guerra contro l’Ucraina Putin conduce anche una guerra di propaganda contro l’Occidente. In certi casi le sue bugie sono sbalorditive: ma lo sa Putin che i soldati di Hitler della “Legione Condor“ sono arrivati in Spagna travestiti da turisti sulle navi da crociera dell’organizzazione ricreativa “Kraft-durch-Freude“ e quando hanno bombardato Guernica si sono staccati le mostrine dalle uniformi? A dispetto di tutti gli accordi di Minsk non credo proprio che Putin interromperà la guerra. Gli serve Mariupol e l’accesso di terra alla penisola di Crimea. E poi farà ancora una puntata in Transnistria. Putin non la finirà mai con l’Ucraina – ha deciso di demolirla lentamente e progressivamente, è un progetto che ha nel cassetto. Nessun accordo di pace e nessun dialogo diplomatico cambieranno le cose. Putin non si darà per vinto».
In che modo riuscirà a ottenere quello che vuole?
«Perché l’Occidente è impotente e lo manifesta costantemente. La soluzione all’aggressione di Putin non può essere militare, è naturale, ma non c’è mica bisogno di dirlo in continuazione! La gente dell’Europa dell’Est che ha vissuto per decenni sotto l’occupazione russa sa bene che i dittatori della risma di Putin rispondono solo alla forza. La ragionevolezza e il dialogo sono interpretate come debolezze. Eppure Angela Merkel conosceva la Ddr e il Kgb. La sua disciplina diplomatica agli occhi di Putin ha sempre una parvenza conciliatoria. Le sanzioni hanno quindi la massima importanza, sono attualmente l’unico strumento a nostra disposizione per mostrarsi decisi e prendere le distanze. Sarebbe bene prospettare a Putin sempre un ulteriore possibile inasprimento delle sanzioni. Invece non si fa altro che sottolineare l’intenzione di ristabilire al più presto i rapporti presistenti».
In che epoca vive l’Ucraina, nel passato o nel presente? E ha un futuro?
«Per Putin l’Ucraina appartiene a un passato che nelle sue intenzioni sarà il futuro. Ha usato la stessa tattica per impadronirsi della Abkhazia, dell‘ Ossezia e della Transnistria. Neppure l’Ucraina uscirà da questa stretta. L’obiettivo di Putin è mandare in rovina l’Ucraina. Con vessazioni quotidiane, il blocco delle forniture di gas, la distruzione delle infrastrutture, la morte di migliaia di ucraini. È la punizione perché l’Ucraina ha osato guardare a Ovest. Putin punisce l’Ucraina per tutto quello che è successo nei paesi esteuropei dopo il 1989» E‘ espressione di debolezza o di forza?
«Credo che in questo caso debolezza e forza non siano antonimi. Anche il culto della personalità è espressione di forza e di debolezza. È un misto di diffidenza infinita e di potere infinito. E‘ da lì che nasce il terribile potere assoluto la presunta onnipotenza. Lo conosco dalla Romania di Ceaucescu. Nessuno del suo entourage contraddice più il dittatore ».
Recentemente ha detto che Putin la fa star male.
«Sì. La sua politica mi fa star male. Mi umilia come persona. Offende la mia intelligenza. Offende ogni giorno l’intelligenza di noi tutti, sempre con la stessa faccia tosta. È già stato smascherato centinaia di volte, ogni sua bugia viene scoperta, ma continua ugualmente a mentire. In questo modo mi offende. E‘ come una presa in giro. E non ci si può far nulla» Gli esperti non fanno che ripetere che la Russia esige rispetto. Vuole essere riconosciuta come grande potenza.
«Per Putin avere rispetto significa tremare, come in passato nell‘ Europa dell’Est si tremava davanti ai russi. Ma a Putin non importa l’opinione che si ha di lui. Odia gli Usa e l’Europa e si rende conto di essere sempre più isolato. Mi fanno pena i russi, qualche anno fa hanno creduto di andare in direzione della libertà, ma subiranno una nuova delusione, torneranno a vivere gli incubi del passato, i tempi in cui si ha paura di dire ciò che si pensa. Siamo tornati ai tempi della fuga e dell’esilio».
Che cosa dobbiamo all’Ucraina?
«Non le dobbiamo nulla. Ma dovremmo prendere sul serio la nostra società e fare il possibile perché la gente in Ucraina possa vivere come noi. Non dobbiamo permettere che l‘Ucraina venga distrutta. Non dobbiamo permettere alla Russia di impedirci di aiutare l’Ucraina. Tra l’Ucraina e la Ue deve instaurarsi uno stretto legame economico e politico».
Dovremo convivere con Putin ancora per qualche anno.
«Probabilmente. Non credo che Putin possa cadere alle urne. Credo che non gli servano neppure brogli elettorali, perché una parte delle persone lo sceglie per vecchia consuetudine e un’altra parte è ammutolita da una paura nuova. Sono entrambe forme di opportunismo, un adeguarsi nella quotidianità spinti dalla paura. E‘ il ritorno del socialismo, anche se è un concetto che non si usa più. E la paura è stata l’unica produzione che nel socialismo ha realizzato il suo piano. Durante la Perestroika si sarebbe dovuto sciogliere il Kgb dichiarandolo organizzazione criminale. Così non avremmeo al vertice un uomo del Kgb, un Putin. Invece oggi i Servizi segreti governano l’intero paese».
(Copyright Die Welt. Traduzione di Emilia Benghi)

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