Per come gli SH sono stati per lo più letti, lo stesso nazismo viene ricondotto unicamente all'antisemitismo e dunque mistificato. E' chiaro poi l'uso politico, tutto misurato sul presente, della lettura che si va imponendo. L'intervento di Faye comincia a mettere le cose in chiaro, sebbene vada letto tra le righe [SGA].
Un antisemitismo metafisico· I Quaderni neri di Martin Heidegger
Un antisemitismo metafisico· I Quaderni neri di Martin Heidegger
Un antisemitismo metafisico
L'infinita e ottusa Norimberga contro la filosofiaDa trent'anni è in atto un processo al grande filosofo tedesco, imputato di antisemitismo. Accuse fondate ma che cancellano il nocciolo della sua intera opera: l'opposizione alla deriva nichilista della modernità
Marcello Veneziani - il Giornale Ven, 27/02/2015
Heidegger senza senso di colpaGiovanni Reale e Dario Antiseri Avvenire 26 febbraio 2015
Heidegger profeta del IV ReichL’antisemitismo è insito nella sua opera. Sperava nel ritorno del dominio tedesco
di Emmanuel Faye Corriere 23.2.15
Le anticipazioni di alcuni passaggi del prossimo volume dei Quaderni neri in uscita a marzo, fornite da Donatella Di Cesare sulla «Lettura» del «Corriere» lo scorso 8 febbraio, spingono ad approfondire ulteriormente la ricerca su quanto radicati siano nel pensiero di Martin Heidegger i temi nazisti. La proposta di leggere il suo antisemitismo in modo differente da quello propriamente nazista appare infatti problematica, poiché la progressiva pubblicazione di questi Quaderni, sempre più simile a un sinistro romanzo a puntate, viene via via confermando l’introduzione del nazismo nella filosofia da parte di Heidegger. Il mio lavoro, lungi dall’indagare l’adesione heideggeriana al nazionalsocialismo come una questione biografica o un errore politico, mira a dimostrare che questa si inscriveva nei fondamenti della sua opera.
Le anticipazioni di alcuni passaggi del prossimo volume dei Quaderni neri in uscita a marzo, fornite da Donatella Di Cesare sulla «Lettura» del «Corriere» lo scorso 8 febbraio, spingono ad approfondire ulteriormente la ricerca su quanto radicati siano nel pensiero di Martin Heidegger i temi nazisti. La proposta di leggere il suo antisemitismo in modo differente da quello propriamente nazista appare infatti problematica, poiché la progressiva pubblicazione di questi Quaderni, sempre più simile a un sinistro romanzo a puntate, viene via via confermando l’introduzione del nazismo nella filosofia da parte di Heidegger. Il mio lavoro, lungi dall’indagare l’adesione heideggeriana al nazionalsocialismo come una questione biografica o un errore politico, mira a dimostrare che questa si inscriveva nei fondamenti della sua opera.
Il primo documento che testimonia l’antisemitismo di Heidegger
risale al 1916, nel pieno della Prima guerra mondiale. Si tratta di una
lettera alla moglie Elfride in cui egli si rammarica della
«giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università»,
affermando che «la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti forze
interiori» per riuscire a emergere. Le modalità per raggiungere tale
scopo si chiariscono in un’altra lettera segreta del 1929 al consigliere
Schwoerer, in cui Heidegger mostra la violenza del suo risentimento
antisemita prendendosela con la «crescente giudaizzazione», che secondo
lui si era impossessata della «vita spirituale tedesca» e indica che il
solo modo di «riprendere il cammino» consiste nel dotarla «di forze e di
educatori autentici, provenienti dal territorio». Un cammino che egli
si avvia a «riprendere» in modo esplicito nei suoi corsi universitari
più virulenti degli anni 1933-34, poi pubblicati postumi secondo la sua
volontà tra i volumi delle proprie Opere complete, da lui definiti
appunto «cammini, non opere».
Nel volume 97 si leggerà che Heidegger
vede lo sterminio nazista nei termini di un «autoannientamento» degli
ebrei, che tuttavia non è andato completamente a buon fine per colpa
degli Alleati. Questi, non avendo compreso il «destino del popolo
tedesco», lo avrebbero represso nel suo «volere il mondo». Heidegger
però non perde le speranze e pensa che ci sia ancora un futuro per il
compimento di tale «destino». A fronte di queste rivelazioni ci si
domanda ora se egli pensasse a un IV Reich e a quale scopo abbia
progettato la pubblicazione dei Quaderni neri. Io sostengo da anni, in
base a un’analisi minuziosa dei suoi scritti, che sebbene Heidegger si
sia sforzato di differenziare, dopo il crollo del III Reich, l’avvento
dell’«altro inizio» evocato nei suoi Contributi alla filosofia da quanto
si era compiuto tra il 1933 e il 1945, ciò non è stato altro che una
strategia di sopravvivenza. Si trattava infatti di prendere la distanza
adeguata da un’impresa il cui fallimento era stato totale. Non però per
rinnegarla — visto che nell’intervista a «Der Spiegel» del 1966,
pubblicata postuma dieci anni dopo, egli approverà ancora la direzione
«sufficiente» della relazione tra uomo e «essenza della tecnica»
intrapresa dal nazionalsocialismo — ma per prepararne il ritorno in
forme nuove, anticipate attraverso la diffusione della sua opera intesa a
tale scopo.
Nel suo corso invernale del 1933-34 intitolato
Dell’essenza della verità, Heidegger parla di «condurre le possibilità
fondamentali dell’essenza della stirpe originariamente germanica verso
la dominazione» e ciò si lega strettamente allo scopo di «guadagnare la
sovrana levatura della nostra essenza», che possiamo leggere nei
Quaderni neri dello stesso inverno. La parola «essenza» ( Wesen ) giunge
a raccogliere l’intera significazione razziale del suo progetto.
Heidegger non ha bisogno di impiegare costantemente il termine «razza»,
che per lui è una parola straniera, ma gli preferisce spesso termini
tedeschi come Stamm, Geschlecht, Art (stirpe, genere, schiatta) oppure
semplicemente «essenza». Questo è molto vicino alla terminologia di
Hitler, che nel Mein Kampf impiega più volte il vocabolario dell’essenza
a proposito della razza e nel 1933 equipara l’appartenenza a una
determinata razza alla «propria essenza». Nel 1938 Heidegger precisa nei
Quaderni neri, sottolineando lui stesso il termine essenza, che il
«principio del tedesco è quello di combattere per la sua essenza più
propria», dove tale combattimento non è un imperativo universale, ma il
«principio» del solo popolo tedesco.
Il combattere per l’essenza più
propria concederebbe al popolo tedesco il diritto di annientare tutto
ciò che la minaccia. Nel corso invernale del 1933-34 Heidegger propone
ai suoi studenti di porsi come obiettivo di lungo periodo
l’«annientamento totale» ( völligen Vernichtung ) del nemico interno
«incrostato nella radice più intima del popolo», cioè gli ebrei
assimilati. Nel 1941, mentre si va precisando la politica
nazionalsocialista di costringere con ogni mezzo i dirigenti delle
comunità ebraiche a coinvolgersi nell’organizzazione della loro propria
distruzione, egli scrive nei Quaderni neri che «il genere più alto e
l’atto più alto della politica consiste nel manovrare con il nemico per
metterlo in una situazione in cui si trova costretto a procedere al
proprio autoannientamento».
Ecco dunque l’intreccio dei due termini
Vernichtung e Selbstvernichtung, annientamento e autoannientamento, che
dovrà essere ben analizzato nei prossimi Quaderni neri. Ma certamente è
possibile osservare da subito che la reversibilità tra carnefici e
vittime, manifestata da Heidegger nei passaggi già noti del volume 97, è
stata un luogo comune dei nazisti più incalliti all’indomani della
sconfitta militare e dei negazionisti che sono loro succeduti.
Gli
ebrei sono designati da Heidegger nei Quaderni neri come coloro che sono
«senza suolo», «senza essenza», «senza mondo». Si scopre così che
l’esistenziale dell’essere-nel-mondo può essere utilizzato dal suo
autore come un termine discriminatorio a scopi antisemiti. Occorre
ricordare che Heidegger utilizza l’espressione «senza mondo» per
designare l’infraumano: benché l’animale non sia un «formatore di
mondo», solo la pietra è detta «senza mondo» nel suo corso Concetti
fondamentali della metafisica dell’inverno 1929-30.
Per Heidegger gli
ebrei non hanno posto nel mondo o, meglio, non lo hanno mai avuto.
Questa disumanizzazione totale è ciò che ho chiamato negazionismo
ontologico di Heidegger nei confronti degli ebrei, che nelle Conferenze
di Brema del 1949 giunge fino a escluderli, insieme a tutte le altre
vittime dei campi di concentramento, dall’essere-per-la-morte. Tale
negazionismo ontologico, di cui Livia Profeti ha saputo dimostrare la
convergenza con la «pulsione di annullamento» scoperta dallo psichiatra
italiano Massimo Fagioli, vuole significare che Heidegger non solo nega
la realtà storica dei fatti, riducendo il numero delle vittime nonché
ogni specificità del genocidio nazista, ma annulla l’«essere» stesso
delle vittime dei campi.
L’antisemitismo di Heidegger è documentato a
partire dal 1916, così come è documentato che dal 1934 egli prefigurava
la totale Vernichtung, annientamento o sterminio che dir si voglia,
degli ebrei. Argomentare filosoficamente il carattere di tale
antisemitismo e di tale razzismo significa, per me, opporsi
all’introduzione del nazismo nella filosofia da parte dell’autore dei
sinistri enunciati dei Quaderni neri.
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