martedì 10 marzo 2015

Uscire dalla crisi o uscire a ritroso dalla modernità? Quel che passa la sinistra

http://giotto.ibs.it/cop/cop.aspx?s=B&f=170&x=0&e=9788857525334Serge Latouche e Anselm Jappe: Uscire dall’economia. Un dialogo fra decrescita e critica del valore: letture della crisi e percorsi di liberazione, Mimesis

Risvolto

Serge Latouche e Anselm Jappe danno vita a un dialogo serrato sulla crisi e sulle possibilità di uscirne. Due maestri del sospetto dei nostri giorni, due correnti di pensiero fra le più acute e attuali offrono in questo libro degli spunti concreti per agire sull’economia malata, sul sociale e sull’ambiente. A essere messo sotto torchio è soprattutto il sistema economico che ci ha condotti fin qui: non l’unico possibile. Serge Latouche si concentra sui limiti, anche culturali, dell’ossessione della crescita. Anselm Jappe mostra le aporie del capitalismo finanziario, ma anche la sua grande forza di creare consenso automatico. Un libro per capire, ma anche per fare, nell’apertura delle possibilità.



Movimenti del pensiero oltre il totalitarismo dell’austerità 
Saggi. «Uscire dall’economia», un saggio per Mimesis. Il dialogo ravvicinato tra il «padre» della decrescita Serge Latouche e Anselm Jappe, teorico tedesco del gruppo Krisis 

Paolo Lago, il Manifesto 10.3.2015 

La tanto fami­ge­rata «crisi» che sta imper­ver­sando nei paesi occi­den­tali non è certo solo di carat­tere eco­no­mico: essa inve­ste innu­me­re­voli aspetti della società, da quelli eco­lo­gici fino a quelli cul­tu­rali e psi­co­lo­gici. Per supe­rare tale crisi occor­re­rebbe «uscire dall’economia», abban­do­nare la «sovra­strut­tura» di carat­tere eco­no­mico che, dap­per­tutto nei paesi cosid­detti avan­zati, sovra­sta e rac­chiude la forma men­tis degli indi­vi­dui. Se, quindi, inten­des­simo capire come fare per ini­ziare a sot­trarci all’onnipresente occhio della «Grande Eco­no­mia» che, un po’ come il «Grande Fra­tello» di orwel­liana memo­ria, ovun­que ci scruta e ci con­trolla, pro­ba­bil­mente ci potrebbe essere utile il recente e ben con­ge­gnato volume Uscire dall’economia, a cura di Mas­simo Mag­gini (Mime­sis, pp. 118, euro 5,90) che rac­co­glie gli inter­venti di Anselm Jappe e Serge Latou­che (tra­dotti da Mag­gini e da Ric­cardo Frola) svol­tisi in occa­sione di un incon­tro al «caffè dei decre­scenti» nel mag­gio 2011 a Bour­ges, nella Fran­cia centrale. 
Il volume pone una di fronte all’altra due inte­res­santi cor­renti di pen­siero, la Cri­tica del valore (la tede­sca Wer­t­kri­tik, i cui più noti espo­nenti, oltre a Jappe, sono Robert Kurz, recen­te­mente scom­parso, del gruppo Exit, Nor­bert Tren­kle ed Ernst Lohoff del gruppo tede­sco Kri­sis, Lorenz Glatz del gruppo austriaco Strei­f­züge) e la «decre­scita», il cui padre puta­tivo è lo stesso Latou­che, un movi­mento di pen­siero che si oppone allo svi­luppo e alla cre­scita eco­no­mica. I due inter­venti che, come nota il cura­tore, man­ten­gono nella tra­du­zione l’immediatezza e il vigore del par­lato, sono seguiti dalla tra­scri­zione del dibat­tito che segue la con­fe­renza, il quale – osserva ancora Mag­gini – «può essere letto quasi come una FAQ su decre­scita e cri­tica del valore». Leg­gendo il libro è come se la sala del «caffè dei decre­scenti» di Bour­ges si mate­ria­liz­zasse davanti ai nostri occhi, e la let­tura dive­nisse ascolto e partecipazione. 
Prende quindi la parola Serge Latou­che ponendo l’accento su come il nostro imma­gi­na­rio col­let­tivo sia domi­nato dall’economia; tutti i pro­blemi della nostra società ven­gono visti sotto la forma eco­no­mica, la realtà viene da noi per­ce­pita «attra­verso il pri­sma dell’economia» a tal punto che si può affer­mare che «la nostra reli­gione, al momento attuale, è l’economia»: oggi­giorno non sono le chiese a domi­nare le città, ma le ban­che. La nostra società, secondo Latou­che, può essere defi­nita come una «società tota­li­ta­ria della penu­ria», per­ché «non c’è niente di peg­gio dell’austerità in una società del consumo». 
Anselm Jappe, nel suo inter­vento, afferma che «la società capi­ta­li­sta non è un fatto esclu­si­va­mente men­tale» («nella società dove regna il feti­ci­smo della merce, l’economia, alla fine, è diven­tata reale»), e sot­to­li­nea poi come l’origine del capi­ta­li­smo sia legata ad un’economia di guerra per­ché il sol­dato fu il primo sala­riato del mondo moderno («lo Stato all’inizio è una banda armata»; e, si potrebbe aggiun­gere, non solo all’inizio: basti pen­sare alla forte pre­senza della guerra all’interno delle odierne dina­mi­che eco­no­mi­che degli stati). Come, per­ciò, uscire dall’economia? È neces­sa­rio, per Jappe, libe­rarsi dalle cate­go­rie che ne deli­mi­tano il peri­me­tro: il lavoro, il denaro, il valore. 
È, quindi, la sot­to­mis­sione a tali cate­go­rie, non ultimo il lavoro, a essere attac­cata, in defi­ni­tiva, sia da Latou­che che da Jappe; una sot­to­mis­sione da cui, secondo i due pen­sa­tori, dob­biamo libe­rarci per ten­tare di uscire dall’economia e dalle sue logi­che che domi­nano la nostra quo­ti­dia­nità: non sarebbe per­ciò suf­fi­ciente una mera rivo­lu­zione eco­no­mica, ma ser­vi­rebbe anche una vera e pro­pria rivo­lu­zione antro­po­lo­gica, un vero e pro­prio cam­bia­mento nel modo di pen­sare e di rap­por­tarsi alla realtà quo­ti­diana. Uscire, insomma, da quel sistema che già nel 1714 auspi­cava Ber­nard de Man­de­ville quando, nella sua Favola delle api, scri­veva che, per il capi­ta­li­sta, «la ric­chezza più sicura con­si­ste in una massa di poveri labo­riosi». Una frase che, per nostra sfor­tuna, suona ter­ri­bil­mente attuale.

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