martedì 28 aprile 2015
La decrescita non sarà mai felice ma sicuramente vende: ritorna il libro tecnofobo dell'heideggeriano Latouche
Leggi qui per la prima edizione italiana
Latouche: ipnotizzati dal mercato sprechiamo in nome del risparmio
Il
teorico della decrescita felice contro le “follie dell’obsolescenza
programmata” Così le strategie del consumismo alterano la nostra
percezione del reale
di Serge Latouche La Stampa 28.4.15
Il brano che pubblichiamo in questa pagina è tratto dalla prefazione
alla nuova edizione riveduta e ampliata del libro di Serge Latouche Usa e
getta. per Bollati Boringhieri nella traduzione di Fabrizio Grillenzoni
(pp. 152, € 15)
Come provare, nel caso di un oggetto complesso, che abbia subito
l’introduzione deliberata di un pezzo difettoso allo scopo di
costringere l’utilizzatore a comprare un nuovo apparecchio? Le lobby
industriali, soprattutto quelle degli apparecchi elettrici ed
elettronici, particolarmente nel mirino, non hanno del tutto torto
quando sostengono che l’obsolescenza programmata intesa come complotto o
sabotaggio non esiste. Indubbiamente, sostengono, la vita degli
apparecchi è limitata, ma ciò corrisponde al desiderio dei consumatori,
la maggior parte dei quali non aspetta la morte dell’oggetto per
comprare un nuovo modello.
Da questo punto di vista, il telefono cellulare è emblematico: la sua
durata media di vita è di ventiquattro mesi, ma in generale il rinnovo
avviene dopo diciotto e, nel caso dei ragazzi, dopo dodici o meno.
Chiaramente il consumatore è stato formattato dal marketing, e
l’industria nel suo insieme ha gran parte della responsabilità di questo
comportamento di acquisto compulsivo, in particolare attraverso le
politiche di vendita, che sovvenzionando l’acquisto di nuovi apparecchi
spingono a un rinnovo rapido. La campagna della Bouygues Telecom, che si
vanta di essere «il solo operatore che vi permette di cambiare
smartphone ogni anno», è un esempio caricaturale del fenomeno. Resta il
fatto che qualsiasi industriale può, in buona o cattiva fede, scrollarsi
di dosso ogni responsabilità riguardo alla questione.
Triste leggenda
Le stesse lobby contestano anche le affermazioni delle associazioni,
secondo le quali gli oggetti durano sempre di meno. Per loro
l’obsolescenza programmata non è che una «triste leggenda». Al
contrario, secondo l’associazione Les Amis de la Terre, la durata di
vita dei beni durevoli oggi è in media da sei a otto/nove anni, mentre
ancora qualche anno fa era di dieci/dodici. Secondo i calcoli di
Frédéric Bordage (GreenIT.fr), la durata di vita attiva degli apparecchi
elettronici si è ridotta a un terzo nello spazio di una generazione. Un
computer nel 1982 durava undici anni, contro i tre di oggi. Gli
apparecchi si guastano prima e le famiglie sono costrette a ricomprarli
più spesso.
Anche qui il dibattito è falsato, perché i confronti sono sempre
discutibili, in quanto non si ha a che fare esattamente con gli stessi
beni e le varie statistiche non prendono in considerazione le stesse
cose. Il rapporto degli Amis de la Terre e del Cniid sostiene che la
durata di vita dei televisori a tubo catodico era in media dai dieci ai
quindici anni, mentre quella dei nuovi televisori a schermo piatto è di
cinque. Ma si tratta dello stesso prodotto? In effetti, ciascuno può
basare i propri argomenti su statistiche che gli danno ragione. Secondo
uno studio commissionato dalla Gifam (Groupement interprofessionnel des
fabricants d’appareils d’équipement ménager) e realizzato dall’istituto
di studi di marketing Tns Sofres, la durata di vita dei prodotti non è
diminuita negli ultimi trent’anni. Ma non è neppure aumentata, malgrado
le innovazioni tecnologiche che avrebbero dovuto allungarla
considerevolmente.
Un’anima candida potrebbe meravigliarsi che dei ricercatori siano capaci
di permettere a dei chirurghi di operare a distanza ma non di fare in
modo che il vostro frigorifero duri più di dieci anni. Bernard Planque,
direttore generale della Gifam, replica che se la durata dei prodotti,
in particolare degli elettrodomestici, non è aumentata, è soprattutto
perché i consumatori li utilizzano di più: la probabilità di un guasto
oggi dunque è maggiore, così come la stagnazione della durata di vita.
Una retorica abile, bisogna convenirne, ma non del tutto convincente.
D’altra parte, gli stessi industriali riconoscono senza difficoltà che
la durata dei prodotti non è il loro obiettivo principale, e li si può
capire…
Ecoefficienza
Spesso utilizzato dai produttori, un argomento ancora più perverso è
quello dell’ecoefficienza. I nuovi apparecchi, sia nella fabbricazione
sia nell’utilizzo, comporterebbero minor dispendio di materie prime e di
energia. Ad esempio la Gifam, sempre lei, assicura che il rinnovo dei
25 milioni di elettrodomestici con più di dieci anni con apparecchi
recenti più efficienti permetterebbe di risparmiare 5,7 miliardi di
kilowat, cioè il consumo annuo dei parigini. Di qui la campagna
pubblicitaria: «L’energia è il nostro futuro: risparmiamola ». Questo
riciclaggio «ecologico» degli industriali, una vera e propria operazione
di greenwashing, permette di giustificare l’abbandono di vecchi
apparecchi ancora perfettamente funzionanti per acquistare nuovi
prodotti presentati come meno dispendiosi in fatto d’energia. Cosa che
peraltro non è del tutto falsa, anche se il risparmio di energia
potrebbe essere ancora maggiore se si rinunciasse a tutta una serie di
gadget energivori, presenti nelle automobili o nelle lavatrici, che
spesso annullano la riduzione del consumo.
Un bilancio completo è ancora da fare. Nella maggior parte dei casi,
l’economia effettiva è molto inferiore allo spreco rappresentato dalla
eliminazione dei vecchi apparecchi, senza contare il fatto che il
fenomeno aumenta considerevolmente i rifiuti. Abbandonare un prodotto
che ancora funziona per l’acquisto di un altro di cui il consumatore non
ha bisogno nell’immediato, in generale non rappresenta un guadagno
ecologico e una diminuzione dell’inquinamento. (...)
La caduta dei costi
Ad esempio, per compensare lo spreco energetico rappresentato dalla
rottamazione di una vecchia automobile, bisognerebbe tenere il nuovo
modello per decenni. A questo va poi aggiunto l’effetto rebond, cioè il
fatto di trasferire su un altro acquisto il risparmio realizzato. È un
dato di fatto che i primi telefoni portatili messi sul mercato nel 1983
pesavano un chilo e mezzo, mentre oggi un cellulare pesa 100 grammi e
consuma meno energia. Ma una maggiore efficienza nella gestione delle
materie prime e dell’energia nel processo produttivo comporta una
riduzione dei costi di produzione e di conseguenza un abbassamento dei
prezzi degli apparecchi, che consente a una parte maggiore della
popolazione di accedere ai prodotti e di consumarne sempre di più. Di
conseguenza, l’intero processo si traduce in un aumento del consumo di
risorse naturali.
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