martedì 21 aprile 2015

Tradotta "La miseria del mondo" di Pierre Bourdieu

Pierre Bourdieu: La miseria del mondo, Mimesis

Risvolto

Da un lato ci sono i responsabili politici, spesso del tutto estranei all’esistenza ordinaria dei loro concittadini, dall’altro quelle donne e quegli uomini che hanno così tanto mal di vivere e così pochi mezzi per farsi intendere.       

Pierre Bourdieu e il risveglio militante di un «homo academicus» 
La miseria del mondo. Un saggio che alterna inchiesta e riflessione di lunga durata per decrittare l’universo neoliberista

Benedetto Vecchi, il Manifesto 16.4.2015 

Final­mente l’opera di Pierre Bour­dieu La mise­ria del mondo è stata tra­dotta. Al di là del fatto che va a met­tere un impor­tante tas­sello nel puzzle ita­liano dell’intera opera del socio­logo fran­cese — per com­ple­tarlo man­cano solo i corsi tenuti all’università, in tra­du­zione da Fel­tri­nelli -, il volume è un esem­pio di un pen­siero cri­tico che alterna inchie­sta sul campo e rifles­sione di lunga durata. Sin dai primi studi sull’Algeria Bour­dieu ha scelto l’inchiesta come chiave di accesso alla com­pren­sione dei mec­ca­ni­smi alla base del potere nelle società moderna. Ha poi con­ti­nuato con opere che lo hanno pro­iet­tato sulla scena euro­pea come uno mag­giori stu­diosi della contemporaneità. 
Illu­mi­nante con­ti­nua ad essere il sag­gio sulla Distin­zione (Il Mulino), dove Bour­dieu ana­liz­zava come la divi­sione in classi della società non si limi­tava solo nei luo­ghi del lavoro, ma inve­stiva i con­sumi cul­tu­rali, l’accesso alla for­ma­zione, garan­tendo così la ripro­du­zione dei rap­porti sociali capi­ta­li­sti. Sarebbe però sba­gliato con­si­de­rare Bour­dieu un mar­xi­sta orto­dosso. Anzi, il socio­logo fran­cese ha sem­pre avuto un rap­porto con­flit­tuale con il mar­xi­smo occi­den­tale. Ne rico­no­sceva la capa­cità inter­pre­ta­tiva, ma ne ha capar­bia­mente respinto una della sua carat­te­ri­sti­che più rile­vanti, cioè quello di essere una prassi teo­rica tesa a tra­sfor­mare la realtà. 
Per Bour­dieu, infatti, i filo­sofi, e i socio­logi, dove­vano limi­tarsi a inter­pre­tare il mondo. Solo in piena vento neo­li­be­ri­sta ha mostrato inte­resse per i movi­menti sociali e i con­flitti del capi­ta­li­smo. Ci sono foto dive­nute famose di un Pierre Bour­dieu che parla a un mega­fono durante lo scio­pero del 1994 che para­lizzò per oltre un mese Parigi. Sciarpa rossa e una postura del corpo da mili­tante, esprime la soli­da­rietà ai dei lavo­ra­tori, soste­nendo che la posta in gioco del loro scio­pero non erano solo le pen­sioni o il sala­rio — temi già rile­vanti in se — ma degli assetti di potere della società. 
Il teo­rico dell’homo aca­de­mi­cus e l’«inventore» del con­cetto, da molti rite­nuto crip­tico, di «campo» abban­do­nava le aule uni­ver­si­ta­rie non solo per distri­buire neu­tri que­stio­nari ma per «spor­carsi le mani» con l’oggetto del suo lavoro teo­rico. Per uno che aveva sem­pre guar­dato con sospetto, se non osti­lità la figura del maî­tre à pen­ser era un cam­bia­mento che non poteva pas­sare inos­ser­vato. Sono però pro­prio que­gli gli anni durante i quali Bour­dieu ana­lizza la pre­ca­rietà avan­zante e la dis­so­lu­zione delle isti­tu­zioni che ave­vano garan­tito lo svi­luppo del capi­ta­li­smo dopo la seconda guerra mon­diale. I «trenta anni glo­riosi» ave­vano lasciato il passo al lungo inverno neoliberista. 
È in que­sto cam­bia­mento che ha le sue radici La mise­ria del mondo, dove Bour­dieu non esi­sta a par­lare della vio­lenza insite nei rap­porti sociali capi­ta­li­stici. Una vio­lenza che ha come risul­tato non solo l’impoverimento o l’esclusione sociale di una parte della popo­la­zione, ma che è imma­nente in tutte le rela­zioni sociali. Ne sono vit­time tanto gli sfrut­tati, ma anche gli sfrut­ta­tori. È quest’ultimo l’aspetto che in Fran­cia ha pro­vo­cato rigetto da molti teo­rici gau­chi­ste . Ma al di là delle pole­mi­che con­tin­genti, La mise­ria del mondo rimane un fer­tile lascito teo­rico di Bour­dieu che può aiu­tare le scienze sociali ita­liane a uscire dall’afasia che le contraddistingue.



Pierre Bourdieu mette a nudo il corpo sociale 
Pierre Bourdieu. Tradotta «La miseria del mondo», l’opera del sociologo francese sugli smottamenti che hanno investito la società negli ultimi decenni. E che vede nella precarietà il principio regolatore del dominio esercitato dal capitalismo 

Francesco Antonelli, il Manifesto 16.4.2015 

Dove hanno fatto il deserto, quello chia­mano pace». Con que­ste parole si con­clu­deva il discorso di Cal­gaco, re dei Cale­doni, nel De Agri­cola di Tacito, dove il grande sto­rico romano, rac­con­tando la vita del suo­cero Giu­lio Agri­cola gover­na­tore della Bri­tan­nia, espri­meva una delle più feroci cri­ti­che di sem­pre a quell’imperialismo e quella cor­ru­zione dei romani che li aveva con­dotti ad assog­get­tare il mondo, chia­mando ordine e civiltà ciò che era domi­nio e sot­to­mis­sione. Nel mondo moderno e con­tem­po­ra­neo qual è il nostro «deserto chia­mato pace»? Attra­verso un’inchiesta corale (sia per la plu­ra­lità dei sog­getti presi in con­si­de­ra­zione che per il grande numero di stu­diosi coin­volti) sulla scia ma anche al di là dei grandi roman­zieri e intel­let­tuali impe­gnati del XIX secolo, una rispo­sta pos­si­bile l’ha offerta Pierre Bour­dieu con il suo ormai clas­sico La mise­ria del mondo; frutto di tre anni di lavoro, pub­bli­cato per la prima volta in Fran­cia nel 1993 e da allora al cen­tro di vivaci discus­sioni e per­sino ispi­ra­zione per innu­me­re­voli spet­ta­coli tea­trali, esce oggi in Ita­lia per i tipi di Mime­sis, in una bella edi­zione tra­dotta e curata da Anto­nello Petrillo e Ciro Tarantino. 
La mise­ria al cen­tro del libro di Pierre Bour­dieu non è la povertà asso­luta (una con­di­zione mate­riale docu­men­ta­bile e cer­ti­fi­ca­bile), bensì la «mise­ria di posi­zione», cioè la mise­ria che nasce e si ripro­duce in uno spa­zio fisico e sociale degra­dato, pre­ca­rio, insta­bile, cui si appar­tiene e in cui si è coin­volti senza pos­si­bi­lità reale di uscirne: insomma, la mise­ria con­tem­po­ra­nea è innan­zi­tutto un sistema di rela­zioni sociali che influenza nega­ti­va­mente il modo in cui le per­sone pen­sano se stesse e gli altri, e le chance di vita che hanno a dispo­si­zione. In que­sto senso, l’apparentemente impro­ba­bile paral­le­li­smo tra Tacito e il socio­logo fran­cese va al di là della sug­ge­stione reto­rica: la mise­ria che emerge dalle ana­lisi di Bour­dieu e col­la­bo­ra­tori è frutto di una deser­ti­fi­ca­zione sociale, vale a dire dell’impoverimento mate­riale e della con­tem­po­ra­nea pau­pe­riz­za­zione sociale. 

Un uni­verso fantasmatico
Il declino di un vec­chio mondo (quello della società del benes­sere) e il sor­gere di un nuovo uni­verso, più spie­tato, meno civico e soli­dale. All’interno di que­sto ordine che pos­siamo chia­mare neo-liberista lo Stato si è riti­rato e ha perso (per scelta poli­tica) auto­re­vo­lezza e capa­cità d’intervento così come sono entrati in crisi e si sono fran­tu­mate le isti­tu­zioni sociali inter­me­die che assi­cu­ra­vano soste­gno agli indi­vi­dui (la fami­glia) ma anche media­zione dei con­flitti (le asso­cia­zioni), sin­tesi e orga­niz­za­zione delle diver­sità cul­tu­rali e delle aspi­ra­zioni indi­vi­duali (i par­titi, i sin­da­cati). Bour­dieu e la sua equipe ana­liz­zano le mani­fe­sta­zioni di que­sta mise­ria con­tem­po­ra­nea (che è anche dif­fu­sione della vio­lenza e dell’intolleranza) met­ten­dola in col­le­ga­mento con le sue radici sociali e poli­ti­che occulte (per­ché rimosse dal dibat­tito pub­blico e poli­tico) inter­vi­stando una vasta e varie­gata pla­tea di sog­getti: dall’anziano che vive nella ban­lieue al lavo­ra­tore immi­grato; dalla gio­vane disoc­cu­pata all’assistente sociale e al pic­colo com­mer­ciante. Tutte que­ste figure, i cui vis­suti e per­corsi sono rico­struiti attra­verso un approc­cio che uni­sce sem­pre all’avvincente nar­ra­zione d’inchiesta una ser­rata rifles­sione teo­rica in grado di resti­tuire i col­le­ga­menti tra le bio­gra­fie indi­vi­duali e le più vaste dina­mi­che sociali e eco­no­mi­che, sono acco­mu­nate dalla con­di­vi­sione di un comune oriz­zonte e spa­zio sociale: quello dei ceti popo­lari, depo­ten­ziati nella pro­pria dignità, nel pro­prio rispetto di sé e nella pro­pria auto­no­mia. Que­sto immi­se­ri­mento nasce dalla pre­ca­riz­za­zione del mer­cato del lavoro, dalla con­tra­zione del wel­fare state, dall’esclusione sociale, dai mec­ca­ni­smi clas­si­sti della scuola e dall’abbandono delle peri­fe­rie da parte delle isti­tu­zioni pubbliche. 
In que­sto calei­do­sco­pio sociale «dal basso», nel quale bio­gra­fia indi­vi­duale e tra­sfor­ma­zioni col­let­tive si intrec­ciano costan­te­mente, ritro­viamo da una parte i «vinti» e dall’altra quelle figure pro­fes­sio­nali che rap­pre­sen­tano ciò che resta della rete di pro­te­zione sociale sta­tuale, che vanno a fondo assieme ai primi. Vi è il pic­colo com­mer­ciante che non ce la fa più a reg­gere la con­cor­renza della grande distri­bu­zione e che vive, ormai anziano, le sue dif­fi­coltà rea­gendo in modo rab­bioso, facendo appello ad un nuovo nazio­na­li­smo che lo possa pro­teg­gere dalle con­se­guenze della glo­ba­liz­za­zione. Un’ampia gal­le­ria di gio­vani, dall’operaio pre­ca­rio che guarda come inu­tile resi­duo del pas­sato il sin­da­cato pur vivendo una situa­zione di forte pre­ca­rietà lavo­ra­tiva, al gio­vane stu­dente mar­gi­na­liz­zato e taci­turno che poi decide di lasciare tutto per andare ad arruo­larsi come volon­ta­rio nelle mili­zie croate. E i con­ti­nui con­flitti, ormai dif­fusi ovun­que nel tes­suto della vita quo­ti­diana delle ban­lieue, tra fran­cesi di nascita e fran­cesi natu­ra­liz­zati (cioè migranti), pra­ti­ca­mente per ogni cosa: dagli odori pro­ve­nienti dalle cucine, ai rumori legati alle visite di amici, sino ai gio­chi nei cor­tili. Indi­ca­tore di una lotta per il con­trollo del ter­ri­to­rio (ormai in fasce di declas­sa­mento) tra gruppi che con­di­vi­dono poco, ma anche risul­tato del deciso inde­bo­li­mento dell’autorità nelle fami­glie natu­ra­liz­zate, che con­duce i gio­vani ad assu­mere com­por­ta­menti sem­pre più fuori controllo. 

La pra­te­ria della politica 
Su que­sto varie­gato fronte di guerra – nel quale sin­da­cati e par­titi di sini­stra sono orami assenti anche come ter­reno di incon­tro e di media­zione tra vari tipi di ceti popo­lari – ritro­viamo anche gli assi­stenti sociali e i giu­dici mino­rili, che non vivono sem­pli­ce­mente le pur tante dif­fi­coltà con­na­tu­rate al loro lavoro ma la sem­pre più ampia sen­sa­zione di essere sva­lu­tati social­mente e pro­fes­sio­nal­mente, pro­prio da quello Stato per cui lavo­rano ma che non vede più di buon occhio la spesa sociale. La mise­ria del mondo di Bour­dieu fa emer­gere così tre aspetti molto inte­res­santi: la dif­fe­ren­zia­zione e fram­men­ta­zione soprat­tutto per linee etni­che e gene­ra­zio­nali dei ceti popo­lari con­tem­po­ra­nei; l’abbandono siste­ma­tico dei più deboli da parte della poli­tica e delle classi diri­genti, che apre la strada ad una visione sem­pre più dar­wi­niana della vita sociale; l’apertura di una pra­te­ria poli­tica (che all’inizio degli anni Novanta era ancora ampia­mente sot­to­va­lu­tata) sia per il nazio­na­li­smo popu­li­sta che per la radi­ca­liz­za­zione isla­mi­sta, in con­se­guenza del dis­sol­vi­mento della sini­stra e del suo radi­ca­mento popolare. 
La mise­ria è stato uno dei temi domi­nanti nella vita delle masse popo­lari nel corso della sto­ria fino ad emer­gere come un attri­buto fon­da­men­tale di quella que­stione sociale (e non più sem­pli­ce­mente reli­giosa) che, a par­tire dall’ascesa della società indu­striale, ha domi­nato la scena poli­tica e il dibat­tito pub­blico della moder­nità. La mise­ria è una cate­go­ria e uno stato diverso dalla «sem­plice» povertà: la mise­ria è penu­ria di risorse ma anche meschi­nità morale, con­di­zione mate­riale depri­vata ma anche sof­fe­renza e bas­sezza spi­ri­tuale, in ter­mini socio­lo­gici quella fine della coe­sione sociale retta da valori non solo con­di­visi ma anche capaci di dare una meta e un oriz­zonte di miglio­ra­mento alla vita indi­vi­duale e col­let­tiva. Così, la mise­ria non è mai il con­tra­rio dell’opulenza ma della «vita buona» e della pos­si­bi­lità di rea­liz­zarla in qual­che luogo. Come tale la pos­siamo ritro­vare tanto nei ghetti e nelle fave­las quanto nei grat­ta­celi scin­til­lanti di Man­hat­tan, ogni­qual­volta la depri­va­zione mate­riale si accom­pa­gna ad un eterno pre­sente senza spe­ranze di riscatto morale, civile e materiale. 

L’utopia del socia­li­smo – e poi la stessa ideo­lo­gia dello Stato sociale, com­preso quello di marca libe­ral­de­mo­cra­tica – è con­si­stita nel rite­nere che la società indu­striale fosse la dimen­sione all’interno della quale offrire una solu­zione a que­sto pro­blema, una volta eli­mi­nato o messo sotto con­trollo il capi­ta­li­smo; e, per que­sta via, in que­sto mondo, riscat­tare dalla mise­ria l’umanità intera, tanto il pro­le­ta­riato quanto gli stessi bor­ghesi. La mise­ria con­tem­po­ra­nea è nega­zione di que­sta uto­pia ed estra­nea­zione della sini­stra dai ceti popo­lari; ed è stata occul­tata, anche durante e nono­stante la grande crisi del 2007. Rileg­gere l’attualissima ricerca di Pierre Bour­dieu ce ne fa capire il per­ché: non si tratta solo di mera con­ve­nienza politica. 

Eclisse della sinistra 
Ci tro­viamo di fronte alla scom­parsa dal dibat­tito pub­blico della società stessa e dei ceti popo­lari ora che, dopo la fine del for­di­smo e della società del benes­sere, si fanno più dif­fe­ren­ziati, estesi e pre­cari: fine della società per­ché la mise­ria quando è rac­con­tata e messa a tema lo è sem­pre come que­stione indi­vi­duale, disturbo psi­co­so­ma­tico, male esi­sten­ziale senza radici sociali, che invece per­si­stono e sono resi­sten­tis­sime, radi­cate nei mec­ca­ni­smi di fun­zio­na­mento eco­no­mico e nei poteri sociali. Abban­dono dei ceti popo­lari per­ché que­sti non sono più coin­volti in un pro­getto di riscatto e pro­gresso sociale ma lasciati in balia dei mec­ca­ni­smi più sel­vaggi del mer­cato e di una nar­ra­zione media­tica e poli­tica che ne esalta le rea­zioni di pan­cia, fun­zio­nali al man­te­ni­mento di quell’ordine sociale che li priva, con­tem­po­ra­nea­mente, della pro­spet­tiva della «vita buona» (popu­li­smo e radi­ca­li­smo a sfondo reli­gioso). Si pensi a que­sto pro­po­sito al rac­conto pie­ti­stico che in Ita­lia si fa a volte dei disoc­cu­pati o dei pen­sio­nati rovi­nati da video­po­ker o video­lot­tery: in tutti que­sti casi si cede alla com­mi­se­ra­zione, si parla di psi­co­pa­to­lo­gia ma si occulta il fatto che quelle mise­rie sono fun­zio­nali a pre­cisi inte­ressi eco­no­mici (anche di stampo mafioso), pos­si­bili e pro­mossi dalle leggi dello Stato. La mise­ria del mondo di Bour­dieu mostra la pos­si­bi­lità di ren­dere rever­si­bile (per­ché pro­dotto degli uomini) ciò che troppo spesso è scam­biato per un destino senza scampo: la mise­ria dei tempi pre­senti in tutte le sue com­plesse ed arti­co­late forme.

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