Risvolto
Di quale scuola abbiamo bisogno? Di una scuola che
risponda alle richieste del presente o che invece prepari a resistere
alle difficoltà del futuro?
Giulio Ferroni affronta l’attuale riforma
della scuola con sguardo critico, mette in discussione gli astratti
modelli pedagogici e la pretesa di subordinare l’insegnamento alle sole
esigenze dell’oggi; sottolinea la sempre più necessaria convergenza di
saperi umanistici e scientifici, da contrapporre alla diffusa insistenza
sulle “competenze”, e ridimensiona il potere risolutivo attribuito
all’informatica e all’inglese. Progetti e disegni di riforma della
scuola non sembrano tener davvero conto delle ragioni della sua crisi e
delle nuove sfide a cui è chiamata: formare nuove generazioni capaci di
affrontare le difficoltà che si profilano all’orizzonte, ricostruire un
senso autentico di cittadinanza, riconoscere i valori comuni del vivere
civile, preservare la memoria storica e salvaguardare il patrimonio
naturale e artistico, garantire nuove forme di integrazione dettate
dall’immigrazione.
Si delineano luci e ombre su La Buona Scuola del
governo Renzi e si è spinti ad aspirare a modalità di insegnamento che,
nel contesto attuale, possono sembrare impossibili.
Le parole della democrazia
di Giulio Ferroni Il Sole Domenica 3.5.15
La padronanza della lingua costituisce naturalmente la base di ogni
sviluppo civile, di ogni svolgimento di pensiero e di conoscenza, di
ogni condivisione, di ogni rapporto con gli altri soggetti e con
l’orizzonte comune. E dato che ci è toccato in sorte di nascere e vivere
in Italia, la lingua italiana deve necessariamente essere il fondamento
di ogni educazione e di ogni ambito scolastico. Nonostante il fatto che
di educazione linguistica e delle sue modalità (al centro di una
didattica democratica) si parli da molti anni, il livello linguistico
dei nostri giovani appare oggi particolarmente depresso: ricadono ormai
nei luoghi comuni le lamentele sull’impoverimento del linguaggio delle
giovani generazioni, che all’università? si riscontra perfino in quei
giovani che, per aver scelto facoltà? umanistiche o specificamente
letterarie, sembrerebbero dover avere, rispetto ad altri, maggiori
disponibilità ad un buon uso del linguaggio. Questo impoverimento tocca
in modo particolare il lessico, con la diffusa ignoranza di tanti
termini “colti”, anche abbastanza diffusi e banali (e lasciamo perdere
il lessico dell’antico linguaggio poetico, ormai del tutto defunto): ma
agisce naturalmente in profondità? anche sulla grammatica e la sintassi;
e spesso capita che, pur entro forme grammaticali e sintattiche
corrette, viene a perdersi l’articolazione logica, l’ordine e
l’equilibrio razionale dell’argomentazione. La prevalenza ubiqua di un
parlato eterogeneo fa si?che anche nella costruzione dello scritto
prevalga l’elasticita e lo scoordinamento, che vengano meno le forme
sintattiche complesse: si dissolve l’ipotassi e spariscono modi verbali
come il congiuntivo. (...)
Sempre più necessaria appare una educazione alla parola: il che non
significa restaurare forme linguistiche ingessate, ritornare
all’elegante italiano colto degli elzeviristi, ma ritrovare la ricchezza
della lingua, la proprietà? lessicale, la misura logica dei suoi
procedimenti, il suo valore di scambio civile, la continuità con ciò che
essa è stata, con gli usi che ne ha fatto chi ci ha preceduto. In primo
luogo vanno collocate la disposizione argomentativa, lo sviluppo
ragionato del pensiero e la sua stessa narrabilità. Argomentazione e
narrazione sono necessari fondamenti della democrazia: la lingua si
impara e si trasmette insistendo sulla sua forza di contatto e di
scambio, in un esercizio di argomentazione e di narrazione che il
docente, argomentando e narrando, può suscitare e stimolare, a diversi
livelli e nei diversi ordini di scuola, nei bambini e nei ragazzi. Oggi
si parla frequentemente del valore dell’argomentazione come fondamento
della democrazia: si riscopre il rilievo civile della retorica, si
rinvia alle formule del grande Trattato dell’argomentazione di Chaïm
Perelman e di Lucie Olbrecths-Tyteca; e si sottolinea il valore
didattico della narrazione, anche nelle situazioni scolastiche più
difficili. Sono tutte cose che passano per un esercizio attivo della
lingua, che non può peraltro prescindere da una verifica delle sue
forme: per questo la grammatica tradizionale e la vecchia desueta
analisi logica continuano ad essere più?produttive delle classificazioni
e degli schemi della moderna linguistica, certo determinanti dal punto
di vista scientifico, ma non produttivi per ciò?che riguarda l’abitudine
al corretto esercizio della lingua, ad una padronanza concreta delle
sue strutture. Il rilievo dell’argomentazione e della narrazione, anche
per la scrittura, rendono giustizia al valore del vecchio tema, contro
cui negli anni passati è stata condotta una battaglia, degna di miglior
causa. Non si tratta di tornare ad un’idea di tema come svolgimento di
un ordine di pensiero gia prefissato e standardizzato (con studenti
disposti ad atteggiare tatticamente il proprio pensiero in
corrispondenza alla presunta morale del docente), ma di far leva sulla
vasta area di possibilita? suggerita dalla stessa parola tema: partendo
da parole-temi, da ambiti di significato da interrogare nella scrittura,
argomentando e narrando, appunto.
In mezzo agli usi linguistici correnti, alle varie forme del linguaggio
giovanile, alla pressione dei media e della pubblicità, la resistenza
della scuola resta essenziale e imprescindibile: solo ad essa puo?essere
affidata un’adeguata gestione della lingua, una salvaguardia della
specificità logica, emozionale, culturale dell’italiano, della sua
stessa forza di lingua del dialogo, dell’arte e della scienza. Dovremmo
essere capaci di rilanciarla e di viverla come lingua della cittadinanza
e della democrazia. Sempre piu? urgente un investimento nel suo
insegnamento come lingua seconda: la gestione della lingua italiana al
piu?alto livello possibile da parte degli immigrati deve essere un dato
davvero essenziale, per una loro effettiva integrazione nel Paese dove
hanno scelto di vivere e che non può?privare i suoi cittadini, e in
particolare quelli meno privilegiati e in piu?difficili condizioni, di
una padronanza della lingua, necessario strumento di piena
partecipazione ad una comunità?civile. Ma in questo ambito credo che ci
sia ancora tanto lavoro da fare, sia nell’organizzazione che nella
formazione degli insegnanti.
Per una educazione alla parola non astratta, ma in atto, resta
determinante il confronto con i temi e le situazioni delle letterature,
con le dirette pratiche di lettura di opere relativamente complesse
(della complessità? adatta ogni volta al livello scolastico in
questione). L’esercizio della lettura, e della lettura di qualità,
capace di mettere in gioco i sentimenti e l’interesse di vita dei
ragazzi, dovrebbe porsi come base spontanea della formazione
linguistica: lettura come esperienza diretta, non vincolata
dall’ossessione dell’analisi e della scomposizione, dalla sua
funzionalità ad esercizi strutturali, a messa in campo di tassonomie e
classificazioni. In tempi di crisi del libro e della lettura, il
contrasto alla sua disaffezione puo? giungere solo da una capacità del
docente di dare evidenza al rapporto dei libri con la vita, ai modi in
cui possono parlare del presente anche e soprattutto quando sembrano
venire da molto lontano: dando così evidenza al diverso e
all’impossibile, al destino e al senso dell’esperienza.
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