Jad Adams:
Women and the vote: a world history, Oxford University Press
Risvolto
Before 1893 no woman anywhere in the world had the vote in a national
election. A hundred years later almost all countries had enfranchised
women, and it was a sign of backwardness not to have done so.
This
is the story of how this momentous change came about. The first
genuinely global history of women and the vote, it takes the story of
women in politics from the earliest times to the present day, revealing
startling new connections across time and national boundaries - from
Europe and North
America to Asia, Africa, Latin America, and the Muslim world post-9/11.
A
story of individuals as well as of wider movements, it includes the
often dramatic life-stories of women's suffrage pioneers from across the
world, painting vivid biographical portraits of everyone from Susan B.
Anthony and the Pankhursts to hitherto lesser-known activists in China,
Latin America, and Africa.
It is also the first major
post-feminist history of women's struggle for the vote. Controversially,
Jad Adams rejects the widely accepted idea that success was primarily a
result of the pressure group politics of the suffragists and their
supporters. Ultimately, he
argues, it was nationalism, not feminism, that was the most important
factor in winning women the vote.
Diritti conquistati La verità sul voto femminile
di Adriana Castagnoli Il Sole Domenica 10.5.15
Il principale pregio del libro di Jad Adams, Women and the vote: a world
history (Oxford University Press), è di fornire al lettore una
ricognizione su scala planetaria del suffragio femminile che traspone il
tradizionale binomio centro-periferia tanto all’interno del mondo
occidentale quanto all’esterno e nelle regioni più remote. A indurre
l’autore a esaminare con un approccio nuovo le vicende del suffragio
delle donne è stata l’evidenza di quella che Adams definisce
«l’irritante questione» di come sia accaduto che la gente di frontiera
del Wyoming, il primo governo al mondo a garantire alle donne eguali
diritti nel 1869, abbia compiuto un passo di carattere democratico di
tale rilevanza anticipando le aree più evolute e culturalmente
sofisticate della East Coast e d’Europa.
Dalla comparazione della memorialistica e della letteratura sul
suffragio femminile con la sequenza événementielle della conquista del
diritto di voto emerge il paradosso che il movimento femminista
organizzato non è stato dirimente poiché il suo fu più un contributo di
elaborazione teorica che di risultati concreti alla battaglia per la
parità dei diritti. È pur vero che l’East Coast, le aree radicali
dell’Inghilterra e i centri letterari della Scandinavia avevano
sostenuto attivamente il suffragio femminile nella seconda metà dell’800
e nella prima parte del ’900. Tuttavia i risultati pratici furono
conseguiti ai confini di questo mondo: Australia, Nuova Zelanda, West
americano e Finlandia raggiunsero in anticipo la parità dei diritti.
In Norvegia, malgrado il movimento femminista fosse debole, le donne
ottennero il diritto di voto sei anni prima che in Olanda dove invece
era forte.
La tendenza da parte dei diversi protagonisti (suffragette, movimenti
politici, istituzioni, parlamenti) a esaltare il proprio ruolo nelle
pubblicazioni coeve e quella degli studi accademici successivi a
trascurare le aree periferiche del mondo hanno finito con l’oscurare,
per esempio, che fu la Nuova Zelanda il primo Stato a stabilire il
suffragio femminile per un parlamento nazionale nel 1893; e che la
Finlandia, dove fu ratificato nel 1906, ha anticipato la Svezia (1921)
assai più nota per le sue politiche di genere. Per non dire dello strano
caso della Svizzera, nel cuore dell’evoluta Europa continentale, che ha
concesso il diritto di voto alle donne all’inizio degli anni ’70 come
il Bangladesh.
Più del 40% della popolazione mondiale femminile, ossia le donne di
Cina, India e Indonesia, ha ottenuto il riconoscimento del suffragio nel
1949 e questa contemporaneità è un segno di similarità regionale che
meriterebbe analisi più approfondite.
Con l’intenzione di ridare al suffragio femminile la dimensione globale,
storica e di complessità culturale che ebbe, Adams adotta un approccio
regionale che, pur tenendo conto della divisione politica categorizzata
destra-sinistra, liberale-conservatore ricorre alla categoria di genere
riguardo al ruolo svolto dalla religione. La cultura cattolica, non meno
di quella musulmana, per lungo tempo ha perpetuato in modo categorico i
principi fondamentali stabiliti per le donne dalle società
tradizionali.
I fattori di gran lunga più importanti per l’affermazione del suffragio
femminile rispetto alle strutture sociali di continuità, per dirla con
un termine di Fernand Braudel, furono quelli di rottura e le crisi
nazionali: guerre, rivoluzioni, lotte per l’indipendenza. Solo negli
anni più recenti ha contato anche la pressione internazionale, dei
vicini e degli Stati più influenti nel bollare come arretrati i Paesi
senza suffragio femminile.
Così nella penisola arabica il suffragio femminile è stato concesso solo
all’inizio di questo secolo quando la pressione internazionale si è
fatta particolarmente pressante: nel 1999-2003 in Qatar, nel 2005 in
Kuwait, nel 2006 negli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia l’Arabia Saudita ha
atteso sino al 2011 per il diritto di voto alle donne nelle elezioni
locali.
Da questa ricognizione globale emerge, dunque, che la rappresentanza
politica per le donne non è stata il risultato del progresso, come si
tende sovente a sostenere. È stata piuttosto un percorso di
“guerriglia”, con risultati conquistati che in alcuni casi sono stati in
seguito sottratti. Quanto al presunto, innato pacifismo delle donne
quale contrappunto alla coscrizione militare obbligatoria maschile che
nel dibattito politico aveva giocato un ruolo non secondario per il
suffragio femminile, in realtà è svanito quando gli eserciti moderni
hanno richiesto un più vasto potenziale e il supporto delle donne.
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