mercoledì 13 maggio 2015

La differenza tra le lotte di classe in Cina e la lotta di classe della Cina continua ad essere incompresa

Morire per un iPhone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesiLeggi anche qui e qui

Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Sel­den> Morire per un iPhone. La Apple, la Fox­conn e la lotta degli ope­rai cinesi, Jaca Book, pp. 269, euro 15

Risvolto
Negli scorsi 25 anni, più di 150 milioni di giovani migranti si sono mossi dalle campagne verso le periferie industriali della Cina. Per dimensioni e rapidità, una migrazione senza precedenti. Su imposizione dei giganti dell'industria globale, ossia dei committenti che hanno stretto accordi con fornitori cinesi, i lavoratori affrontano orari, ritmi di lavoro e condizioni di vita che non concedono respiro. Sono in particolare i grandi marchi dell'elettronica che attingono al lavoro vivo di queste persone, con l'obiettivo di lanciare sul mercato nuovi prodotti a getto continuo. Qui si mette a fuoco il caso più eclatante: il legame della committente statunitense Apple con la cinese Foxconn. Entrambe hanno fondato le proprie fortune sul regime di fabbrica-dormitorio, destinato a lasciare tracce profonde nella società cinese e nel resto del mondo. Questo libro è il risultato di ricerche sulle vite e sulle aspirazioni dei migranti cinesi inurbati che lavorano per la Foxconn, e ancor più per la Apple, sulle lotte di giovani diventati adulti in fretta che raccontano in prima persona la loro situazione, cercando di rompere il loro isolamento sociale.


L’atelier infernale degli smartphone 
Terre di Mezzo. Un’anticipazione dal saggio collettivo, pubblicato da Jacabook, dedicato ai rapporti tra la Foxconn e la Apple. Una forma di produzione diventata l’unico «modello»

Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto, il Manifesto 12.5.2015 

Il volume Morire per un iPhone. La Apple, la Fox­conn e la lotta degli ope­rai cinesi di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Sel­den (Jaca Book, pp. 269, euro 15) svela il lato oscuro della pro­du­zione elet­tro­nica, por­tando alla luce il caso esem­plare della con­di­zione di ope­raie e ope­rai cinesi che lavo­rano per un mar­chio com­mit­tente, la Apple, e per il suo gruppo appal­ta­tore, la Fox­conn. Si tratta del caso più ecla­tante di un regime di fabbrica-dormitorio ormai desti­nato a lasciare tracce pro­fonde nella società cinese e nel resto del mondo, indi­pen­den­te­mente dalle annun­ciate robotizzazioni. 
Sotto la spinta della feb­brile domanda mon­diale di nuovi pro­dotti infor­ma­tici il regime di fab­brica della Fox­conn vin­cola la vita, i ritmi, gli orari di lavoro di più di un milione di lavo­ra­tori in Cina. Come nel caso del legame tra la Fox­conn e la Apple, altre mul­ti­na­zio­nali elet­tro­ni­che hanno impo­sto glo­bal­mente pro­cessi di pro­du­zione a ritmi disu­mani. Tut­ta­via il caso del rap­porto tra Apple e Fox­conn risalta tra gli altri per le dimen­sioni della forza-lavoro coin­volta e per l’intensità della sua erogazione. 

La catena mortale 
Alle lavo­ra­trici e ai lavo­ra­tori toc­cano lun­ghi orari di lavoro, strin­genti cadenze pro­dut­tive, una siste­ma­zione sor­ve­gliata in dor­mi­tori azien­dali e salari che per­met­tono appena la soprav­vi­venza del sin­golo lavo­ra­tore ma non del suo nucleo fami­gliare. Ne sono risul­tate con­di­zioni di vita ai limiti della sop­por­ta­zione che hanno pro­vo­cato una catena di sui­cidi attorno al 2010, (…), la più impres­sio­nante catena di autoan­nien­ta­mento in fab­bri­che non con­cen­tra­zio­na­rie della sto­ria del capi­ta­li­smo. La Fox­conn ha rea­gito eco­no­mi­ca­mente ponendo le infer­riate alle fine­stre dei suoi edi­fici per impe­dire i salti nel vuoto delle sue dispe­rate mae­stranze, il per­verso rime­dio tipico delle isti­tu­zioni totali moderne. 
L’attenzione alla con­di­zione ope­raia è il filo con­dut­tore che guida gli autori per l’intero volume, com­presi il secondo e terzo capi­tolo che sono sì dedi­cati al pecu­liare rap­porto che la mul­ti­na­zio­nale Apple intrat­tiene con la mul­ti­na­zio­nale Fox­conn, ma che inten­dono anche get­tare le basi per rischia­rare il lavoro vivo nel nesso che lega le due imprese. Né l’una né l’altra sono state pio­niere nell’instaurare un rap­porto di appalto. Altre imprese le ave­vano pre­ce­dute. A comin­ciare dai primi anni Novanta, la pro­du­zione elet­tro­nica nor­da­me­ri­cana ed euro­pea è venuta affer­man­dosi come il set­tore a più alta ester­na­liz­za­zione, insieme con il tes­sile e l’abbigliamento. 
La pecu­lia­rità dell’esternalizzazione di hard­ware elet­tro­nico è duplice: da un lato, il suo cen­tro di gra­vità si trova nell’Asia orien­tale e in par­ti­co­lare nelle grandi peri­fe­rie indu­striali della costa meri­dio­nale della Cina; dall’altro, in Cina il bacino di reclu­ta­mento con­si­ste in coorti di ado­le­scenti e di gio­vani appro­dati dalle cam­pa­gne alle catene di pro­du­zione come migranti interni e quindi come cit­ta­dini di seconda classe, essendo privi dei diritti alla resi­denza urbana e all’accesso ai beni e ai ser­vizi pub­blici legati alla resi­denza. Negata per via sala­riale alle ope­raie e agli ope­rai migranti la pos­si­bi­lità di costruirsi un nucleo fami­gliare, la tra­smis­sione della vita è o ritar­data o addos­sata ai parenti che sono rima­sti nelle cam­pa­gne o del tutto vani­fi­cata in amare rinunce. Una così ampia ridu­zione dello spa­zio di ripro­du­zione è un feno­meno quale non si veri­fi­cava dalla seconda guerra mondiale. 
L’estrema par­si­mo­nia neces­sa­ria­mente appli­cata da ope­raie e ope­rai alla pro­pria vita quo­ti­diana alla Fox­conn si mani­fe­sta innan­zi­tutto nella scelta obbli­gata del 60 per cento circa delle mae­stranze di risie­dere nei dor­mi­tori dell’impresa, dove un posto letto in un came­rone con più letti a castello incide per un ven­te­simo del sala­rio men­sile, con­tro circa un terzo per l’affitto di una stanza all’esterno della fab­brica. L’invio alla fami­glia rima­sta in cam­pa­gna dei risparmi raci­mo­lati con i salari spesso ottem­pera all’obbligo morale della devo­zione filiale, anche se i legami fami­gliari vanno inde­bo­len­dosi nel corso degli anni. Lo scar­sis­simo tempo libero a dispo­si­zione è un fat­tore disci­pli­nante di prima gran­dezza che non viene pub­bli­ca­mente discusso se non da corag­giose mino­ranze poli­ti­che. Tut­ta­via sarebbe vano in Oriente come in Occi­dente chie­dere a gran parte dei mezzi di comu­ni­ca­zione di met­tere in rap­porto le con­di­zioni e l’orario lavoro con la man­cata aper­tura di un’arena di pub­blico dibat­tito, quello che viene comu­ne­mente chia­mato lo spa­zio della democrazia. 

La dif­fi­cile ricomposizione 
Nell’ostentato assen­tei­smo del sin­da­cato uffi­ciale, l’autorganizzazione ope­raia all’interno della Fox­conn trova le sue limi­ta­zioni in tre prin­ci­pali vin­coli impo­sti alle mae­stranze: la dura disci­plina eser­ci­tata dalla Fox­conn, i tempi e i modi spa­smo­dici di pro­du­zione det­tati dai capi­to­lati di appalto della Apple e l’intesa cor­diale fra entrambe que­ste imprese e le ammi­ni­stra­zioni locali. Si tratta della tri­plice cappa che con­di­ziona e incombe sui pro­cessi di ricom­po­si­zione soli­dale della forza-lavoro. Il legame tra la Apple e la Fox­conn è forse il caso più evi­dente degli incerti equi­li­bri pro­dut­tivi odierni, dopo che i grandi mar­chi occi­den­tali hanno deciso di abbat­tere i loro costi e aumen­tare l’efficienza ester­na­liz­zando la fab­bri­ca­zione pre­va­len­te­mente in Asia. Que­sto modello di ester­na­liz­za­zione è dotato di una sua carat­te­ri­stica capa­cità d’irraggiamento glo­bale. La Fox­conn ha pro­mosso il modello come assetto esem­plare nelle sue fab­bri­che in Europa e nell’America latina.
Nel gergo degli inter­me­diari dell’esternalizzazione, la com­pres­sione dei prezzi da pagare ai for­ni­tori è chia­mata arbi­tra­ging, un signi­fi­ca­tivo slit­ta­mento lin­gui­stico rispetto all’arbitraggio sui titoli di borsa. Il carat­tere iugu­la­to­rio di que­sto labour arbi­tra­ging viene ven­duto come mani­fe­sta­zione del libero mer­cato. Le sue con­se­guenze ven­gono sca­ri­cate in larga parte sulle con­di­zioni di vita e di lavoro delle mae­stranze, in par­ti­co­lare in Asia. Essen­ziale è nel caso della mani­fat­tura elet­tro­nica la dispo­ni­bi­lità della forza-lavoro a un logo­rante sistema di fab­brica. Viene dun­que sele­zio­nata una forza-lavoro gio­vane, istruita, abbon­dante, disci­pli­na­bile entro rigide isti­tu­zioni, mobi­li­ta­bile e smo­bi­li­ta­bile entro tempi brevi. 
Nell’elettronica come in altri set­tori, i mar­gini di sala­rio e di pro­fitto riser­vati alle imprese appal­ta­trici sono com­pressi dalla pre­pon­de­ranza eco­no­mica del com­mit­tente, gene­ral­mente un mar­chio glo­bale che lucra le forti dif­fe­renze tra il prezzo con­cesso all’impresa appal­ta­trice e il prezzo di ven­dita finale5. Così è stato anche finora nell’intreccio che la Apple ha man­te­nuto con la Foxconn. 
Nell’Asia meri­dio­nale e orien­tale i sistemi delle aziende appal­ta­trici che for­ni­scono i grandi mar­chi si reg­gono sul mal­fermo pie­di­stallo di salari bassi o addi­rit­tura infimi, men­tre i magri utili locali pos­sono cre­scere in ragione dell’aumento della massa degli ope­rai occu­pati e del pro­lun­ga­mento dei loro orari di lavoro. Per con­tro, i pin­gui pro­fitti deri­vanti dal labour arbi­tra­ging ven­gono rastrel­lati dai grandi mar­chi che deten­gono e si spar­ti­scono le quote delle ven­dite finali. Nel caso della Fox­conn e della Apple in Cina, come gli autori di mostrano, i mar­gini della Fox­conn sono assai ristretti rispetto a quelli della Apple. Nel 2010 la Apple si appro­priava di ben il 58,5% del prezzo finale di un iPhone, seb­bene avesse com­ple­ta­mente ester­na­liz­zato la mani­fat­tura del pro­dotto. Sol­tanto l’1,8 per cento, ossia 9,88 dol­lari, era desti­nato al sala­rio delle mae­stranze in Cina. In breve, gli accordi ricor­renti su scala cre­scente tra la Apple e la Fox­conn rica­dono nella cate­go­ria del labour arbi­tra­ging. Va notato che i bassi salari, insieme con i lun­ghi orari di lavoro, sono un deci­sivo fat­tore di freno alla mobi­li­ta­zione infor­male e for­male dei sala­riati della Fox­conn, un fat­tore che può essere neu­tra­liz­zato dalle mae­stranze sol­tanto con la dedi­zione orga­niz­za­tiva di cui il movi­mento ope­raio in Cina ha dato ampie prove nel passato. 

Reclu­ta­menti temporanei 
Le ammi­ni­stra­zioni locali non sono dovute inter­ve­nire se non epi­so­di­ca­mente per tron­care e sopire la mobi­li­ta­zione a favore di migliori con­di­zioni di vita e di lavoro. Molto più fre­quente e pun­tuale è risul­tato il loro ruolo nell’approntamento delle zone indu­striali e nell’opera di reclu­ta­mento e sele­zione del per­so­nale, pro­cu­rando così alla Fox­conn un sostan­zioso rispar­mio delle spese d’insediamento. Altret­tanto solerti durante i pic­chi della pro­du­zione sono risul­tate le cure pro­di­gate dalle ammi­ni­stra­zioni locali al reclu­ta­mento tem­po­ra­neo di gio­va­nis­simi stu­denti degli isti­tuti tec­nici da avviare ai cosid­detti tiro­cini presso la Fox­conn, a costo di com­pro­met­tere l’apprendimento sco­la­stico dei tiro­ci­nanti. Tagliando i costi in infra­strut­ture e in reclu­ta­mento delle imprese e pie­gando i cen­tri urbani alle esi­genze della fab­brica, le ammi­ni­stra­zioni locali met­tono al riparo il governo cen­trale e il par­tito comu­ni­sta dall’eventuale espo­si­zione al mal­con­tento e ai con­flitti. Le imprese pos­sono attin­gere a sem­pre nuovi bacini di mano­do­pera costi­tuiti da migranti, non solo per­ché è con­ve­niente ma anche per­ché la sosti­tui­bi­lità nel posto di lavoro genera paura nelle mae­stranze. Prende corpo un sistema d’impiego urbano duale e segre­gato: da un lato quanti sono dotati dei diritti di resi­denza e dei beni e ser­vizi pub­blici con­nessi, dall’altro i migranti, non solo pre­cari ma anche esclusi da tali beni e ser­vizi con l’artificio della resi­denza negata.

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