venerdì 29 maggio 2015

Parla Pepe Mujica

Risultati immagini per MujicaMujica, un marziano a Genova
“Non si fa politica per soldi”
L’ex presidente dell’Uruguay in Liguria sulle tracce degli antenati “I migranti che arrivano in Europa le fanno un favore: la svecchiano”
di Patrizia Albanese La Stampa 24.5.15
Scorte e lampeggianti? Ma quando mai. Arrivano quasi alla chetichella, in una giornata uggiosa. Non fosse per l’auto dell’ambasciata, che dal porto di Genova ieri mattina li ha discretamente portati fin quassù in Val Fontanabuona, sembrerebbero due turisti normali. Perdipiù con poco bagaglio. Già perché a José Alberto Mujica Cordano e a sua moglie Lucia Topolansky - sposata nel 2005 - non serve poi molto. Sebbene lui, figlio di emigranti liguri, fino al primo marzo fosse l’amatissimo presidente dell’Uruguay, del quale è tutt’ora senatore, al pari della moglie. Che non porta manco un gioiello, neppure la fede dopo le nozze. Pure quelle anomale. In stile col personaggio. 
Racconta, Lucia, sua compagna da quarant’anni: «Non mi ha fatto una dichiarazione, ha fatto un annuncio. In televisione, un giorno, ha comunicato che si sarebbe sposato. Io stavo ascoltando in cucina e l’ho saputo così…». Pausa. «Era sicuro che gli avrei detto sì». Sempre al suo fianco. Carcere compreso. Esperienza, che «Pepe» ricorda tranquillo perché gli «ha insegnato tanto» spiega puntandoti addosso gli occhi nerissimi e scintillanti. Sempre con un diktat: «Essere al servizio degli altri, questo è il significato della politica».
Servizio alla società
In Italia, veramente, mica tanto… Tra indagati e corrotti, la politica non appassiona. «Ah, no? È molto triste. E in cosa crede la gente?- domanda stupefatto - Se non si crede nel futuro non c’è niente. L’uomo è un animale politico. Diceva Aristotele, che non può vivere da solo, ma nella società. Tu come faresti senza penna e taccuino? Ci vuole qualcuno che li faccia. E che faccia vestiti, auto... Dipendiamo tutti dalla società. La politica è occuparsi della società e dei diritti». Lei da presidente ogni mese dei suoi 8.900 euro, ne devolveva 8.100 agli uruguaiani. 
Qui non va proprio così. Sospira: «La gente che ama troppo i soldi non deve entrare in politica. Che è servizio. È questa la felicità: servire la gente che ha bisogno. La bara non ha tasche per portarsi via i soldi». Lei e Lucia non avete mai abitato il palazzo presidenziale. «È un museo» scandisce mulinando il braccio verso il soffitto in legno dell’Osteria Fonte Bona, tre camere in tutto - e servizi al piano - dove l’ex presidente ha prenotato quindici giorni fa: online. E tanto per capire che in questa vallata è planato un marziano – anzi due – basti dire che il proprietario, Giovanni Bottino, dopo aver preparato il pranzo «a base di affettati, ravioli col tocco e vino “tinto”», ha lasciato amabilmente riposare «Pepe e Lucia». L’ex presidente è sbarcato «in cerca delle radici», della casa dei nonni materni, dopo una sosta a Muxyka, nei Paesi Baschi, terra paterna. Un viaggio-regalo, che dopo la Val Fontanabuona e Genova, porterà la coppia a Roma, dal Papa.
I due mondi
«Vedrò Francesco il 28. È il secondo incontro, con quest’uomo che si è spogliato di tutto». Credente? «No – replica divertito sotto i baffi alla Marquez – Ateo. Per il Cristianesimo la vita è una valle di lacrime. Non sono d’accordo: è bellissima. E il Paradiso è qua, è questa vita. Però, la religione aiuta a morire bene. Voglio parlare al Papa di molte cose. Principalmente della difficoltà d’integrazione tra tutti i Paesi dell’America Latina». Europa e Italia sono alle prese con i migranti e la strage dei barconi. «L’Europa diventerà caffelatte. Una miscela di razze – commenta placido – La soluzione non è combattere, ma andare in Africa ad aiutarli. L’Europa avrebbe dovuto farlo da tempo. Quanta ricchezza s’è presa dalle colonie? Poi li ha mollati… Non è giusto». Abbattere Saddam e Gheddafi? «Un errore enorme. La democrazia non si esporta con la guerra, né si impone. Gheddafi e Saddam tenevano una dittatura paternalista. Ma il Paese teneva. Ora è il caos. Si sta peggio di prima». Come se ne esce? «L’Africa deve farcela da sola. Con molto dolore, certo. 
È molto giovane, è cresciuta molto la sua popolazione. Chi arriva in Europa le fa un favore: la svecchia. Lavora e aiuta, lasciandole il plus valore del suo lavoro. L’Ue deve organizzare gli aiuti e al contempo andare in Africa». Normale. Come la sua vita, in realtà straordinaria. Senza sfarzo. Continuando «a impastare la pizza» e coltivando «pomodori, zucchine, fave». Facendo con Lucia «35 bottiglie di conserva, per il sugo di tutto l’anno». Un marziano della politica in camicia e maglione, con un paio di scarpe le stesse «da tre anni, perché in Uruguay le fanno bene». Felice della sua vita? «Se dall’altra parte ci fosse il bancone di un bar, sa cosa direi? Un altro. Identico a questo».

Pepe Mujica, cent’anni di moltitudine
L'intervista. Abbiamo incontrato a Roma l'ex presidente-tupamaro dell'Uruguay29.5.2015, 12:19
Avrebbe dovuto essere una visita pri­vata: alla ricerca dei suoi tra­scorsi liguri a Favaro, dove sono nati i nonni. Ma l’agenda dell’ex pre­si­dente uru­gua­yano José Alberto Mujica Cor­dano si è riem­pita subito. E “Pepe” ha avuto ben pochi momenti per godersi l’alternanza di sole e piog­gia di que­sti ultimi giorni, insieme alla moglie Lucia Topo­lan­sky. Una cop­pia inos­si­da­bile di diri­genti poli­tici dai tra­scorsi guer­ri­glieri, rima­sti insieme dai tempi in cui i Tupa­ma­ros ispi­ra­vano il cuore dei gio­vani, nel Nove­cento delle grandi speranze.
Il Movi­mento di libe­ra­zione nazio­nale Tupa­ma­ros è stato un’organizzazione di guer­ri­glia urbana di orien­ta­mento marxista-leninista che ha agito in Uru­guay tra gli anni ’60 e ’70. Fon­da­tori e diri­genti — da Raul Sen­dic a Mujica, a Topo­lan­sky a Mau­ri­cio Rosen­cof — hanno pagato con lun­ghi anni di car­cere, ostaggi del regime mili­tare che ha oppresso il paese a par­tire dal golpe del 1973, e che ha con­cluso il suo ciclo nel 1984, con l’elezione del mode­rato Julio Maria Sanguinetti.
A Livorno, Pepe ha rice­vuto la cit­ta­di­nanza ono­ra­ria dal sin­daco pen­ta­stel­lato Filippo Noga­rin: «Per­ché la sua atti­vità tesa alla pro­mo­zione e all’affermazione dei prin­cipi della demo­cra­zia e dello svi­luppo eco­no­mico non è mai stata scissa dall’attenzione verso i più deboli, e per lo stile umile che ha saputo man­te­nere rico­prendo la mas­sima carica dello stato».
Mujica devolve infatti il 90% del pro­prio sti­pen­dio ai poveri e vive in modo fru­gale. Lui ha rin­gra­ziato la città dicen­dosi «cit­ta­dino del mondo» e ha offerto uno dei suoi discorsi diretti e pro­fondi che arri­vano al noc­ciolo senza affi­darsi al gergo.
Lo abbiamo incon­trato a Roma, nella resi­denza dell’ambasciatore dell’Uruguay in Ita­lia, insieme a Lucia Topo­lan­sky e a Cri­stina Guar­nieri, della casa edi­trice Eir, infa­ti­ca­bile orga­niz­za­trice dei suoi incon­tri a Roma.
Che idea si è fatto di que­sta Europa, dell’Italia, della Spa­gna in odore di cam­bia­menti e della Gre­cia ricat­tata dai poteri forti?
All’origine vi sono pro­blemi che tra­scen­dono le sca­denze elet­to­rali. I pro­blemi dell’Europa riflet­tono le con­trad­di­zioni di que­sto sistema che col­pi­sce i set­tori più deboli. C’è una crisi della domanda per­ché la gente con­ti­nua a con­su­mare una infi­nità di cose inu­tili, e al con­tempo una enorme fetta di mondo pieno di povertà che non abbiamo il corag­gio di incor­po­rare: il mondo ricco non ha suf­fi­ciente gene­ro­sità soli­dale per incor­po­rarla nella civi­liz­za­zione. Spre­chiamo un’infinità di pre­ziose risorse per­ché il mondo ricco possa con­su­mare cose inu­tili o fri­vole. E invece non diamo acqua, scuole, case ai più poveri. E anzi respin­giamo i bar­coni che arri­vano nel Medi­ter­ra­neo, o magari pen­siamo di affon­darli, impe­diamo il pas­sag­gio dei migranti mes­si­cani alla fron­tiera nor­da­me­ri­cana. Li invi­tiamo a par­te­ci­pare a una civi­liz­za­zione che poi non gli dà il posto pro­messo. E’ come se ti dices­sero: vedi quanto è bello? Ma non è per tutti.… Allo stesso tempo sca­te­niamo pro­blemi su scala pla­ne­ta­ria per­ché non pos­siamo gover­narci: ci governa il mer­cato. Il mondo è glo­ba­liz­zato ma non ha un governo mon­diale all’altezza dell’intelligenza scien­ti­fica rag­giunta, che con­sen­ti­rebbe un’organizzazione gene­rale e una equa distri­bu­zione delle risorse. Siamo in preda a un caos che sta por­tando al limite la natura: per via di una ecces­siva con­cen­tra­zione della ric­chezza. Ti sem­bra pos­si­bile che un mani­polo di bei tomi detenga quel che serve al 40% dell’umanità?
E in che dire­zione ci si dovrebbe muo­vere per inver­tire la tendenza?
Dob­biamo impa­rare a muo­verci per il governo della spe­cie e non solo in base agli inte­ressi dei paesi, dei sin­goli stati, con la con­sa­pe­vo­lezza che siamo respon­sa­bili di un pia­neta, di una bar­chetta che sta andando alla deriva nell’universo. Biso­gna avere chiaro che non gover­nano le per­sone, ma gli inte­ressi del grande capi­tale finan­zia­rio e i suoi ricatti. Abbiamo un’arma più vicina del Palazzo d’Inverno su cui agire, qual­cosa di più vicino e potente: le nostre menti e le nostre coscienze. C’è una rivo­lu­zione pos­si­bile nella testa di ognuno per costruire una nuova uma­nità. Dob­biamo agire per­ché ognuno sia cosciente che il mer­cato ci toglie la libertà. Non cam­biamo il mondo se non cam­biamo noi stessi. Per tanto tempo abbiamo seguito una linea trac­ciata: abbiamo pen­sato che bastasse pren­dere il potere, cam­biare i rap­porti di pro­prietà e di distri­bu­zione per cam­biare l’umanità. Invece, quel che è suc­cesso in Unione sovie­tica ha dimo­strato che le cose sono molto più com­pli­cate. Oggi dob­biamo pun­tare di più sulla cul­tura. Non dob­biamo agire per coman­dare ma per­ché le per­sone diven­tino padrone di loro stesse.
L’America latina sta cam­biando in fretta, e sulla base di governi socia­li­sti o pro­gres­si­sti che spo­stano i rap­porti di potere a favore delle classi popolari.
… Sta cam­biando un poco, ci vuole tempo. Dob­biamo svi­lup­pare intel­li­genza nella gente, i ritorni indie­tro sono sem­pre pos­si­bili, l’interventismo esterno è sem­pre latente. Le basi mili­tari Usa sono sem­pre attive in Ame­rica latina. Obama è un pre­si­dente pri­gio­niero, ostag­gio del com­plesso militare-industriale. Non gli hanno per­messo di fare niente. I nostri amici, negli Stati uniti, pur­troppo non si tro­vano nelle fab­bri­che, ma nelle uni­ver­sità, è così dai tempi del Viet­nam. Il meglio degli Sati uniti si trova nel mondo intel­let­tuale, il peg­gio nelle ban­che e sui ban­chi del par­la­mento, ma non biso­gna fare di ogni erba un fascio.
Lei ha deciso di pren­dersi alcuni pri­gio­nieri di Guan­ta­namo, men­tre con­ti­nua l’avanzata dell’Isis.
Sai com’è, no? Solo chi è stato tanto tempo in car­cere come noi può capire… Oggi invece si pensa di risol­vere i pro­blemi dell’umanità e i pro­pri costruendo più car­ceri, chie­dendo più car­cere e più bombe. Noi, un pic­colo paese, abbiamo indi­cato che si può pren­dere un’altra strada. A cosa sta por­tanto la bal­ca­niz­za­zione del mondo? Hai visto come hanno ridotto la Libia: una bar­ba­rie. Io non voglio difen­dere Ghed­dafi, ma almeno prima c’era uno stato ordi­nato, ora c’è un disa­stro… Sono stato negli Stati uniti. C’è gente in car­cere da 34 anni senza mai aver ver­sato una goc­cia di san­gue, solo per aver riven­di­cato l’indipendenza del pro­prio paese come il por­to­ri­cano Oscar Lopez. Ma agli Stati uniti inte­ressa di più la libertà di un altro Lopez…
Il gol­pi­sta venezuelano?
Pre­ci­sa­mente…
A pro­po­sito di peri­coli e di ritorni indie­tro. Lei ha dichia­rato a suo tempo: «Abbiamo biso­gno del Mer­co­sur come del pane». Ora, invece, il suo suc­ces­sore, Tabaré Vaz­quez dice che biso­gna «fles­si­bi­liz­zare» il Mer­co­sur. Sta striz­zando l’occhio alle alleanze pro­po­ste dagli Usa? In diverse occa­sioni lei non ha lesi­nato cri­ti­che alla nuova gestione.
…Penso di no, che non si saranno ritorni indie­tro. Il fatto è che oggi il Mer­co­sur è un po’ pro­vato, non avanza, non fa le cose che si era pre­fisso. Soprat­tutto, Bra­sile a Argen­tina non hanno tro­vato un’intesa, quindi ora abbiamo il pro­blema di diver­si­fi­care le rela­zioni. La pre­senza della Cina è sem­pre più forte, da diversi anni que­sto ha por­tato risul­tati posi­tivi, ma dob­biamo fare atten­zione, prima par­la­vamo di dipen­denze, di debito, il pro­blema della sovra­nità va visto da diverse prospettive.
Tutti, in Ame­rica latina, la vogliono come media­tore dei con­flitti: il governo colom­biano e la guer­ri­glia mar­xi­sta, la Boli­via nel con­ten­zioso con il Cile. E lei accetta...
La guerra preme dap­per­tutto, i con­flitti facil­mente emer­gono, lo svi­luppo delle nuove tec­no­lo­gie com­plica lo sce­na­rio. Eppure sap­piamo di essere inter­di­pen­denti, il pro­gresso e la tec­nica non pos­sono ipo­te­care la con­vi­venza, il vivere in con­sessi umani. Dob­biamo impa­rare a vivere con le dif­fe­renze, tro­vare un altro modo di comu­ni­care, siamo di fronte a un altro mondo in cui gli stati nazione e le forme tra­di­zio­nali della poli­tica non rie­scono a dare rispo­ste ade­guate. Si sono sca­te­nate forze di cui non tro­viamo più le bri­glie, a par­tire da quelle del capi­tale finan­zia­rio e degli “avvol­toi” che si avven­tano sulle prede quando cer­cano la pro­pria sovra­nità. Però mi fa più paura quel che non suc­cede di quel che suc­cede… Per esem­pio, c’è molta gio­ventù disoc­cu­pata, che ora si sta ras­se­gnando a vivere col red­dito minimo, che si sta addor­men­tando… e non lotta.

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