mercoledì 27 maggio 2015

Se Solzenicyn non ha ancora terminato il suo lavoro, vuol dire che questo lavoro ha ancora un senso


Questo senso non è l'anticomunismo, visto che il comunismo storico non c'è più. Il senso consiste nel naturalizzare l'orizzonte di senso esistente come l'unico orizzonte possibile.
Va notato che Jaca Book pubblica S. ma anche Pun Ngai. Meno notevole il parere di Antonio Socc'mel [SGA].


Aleksandr Solzenicyn: Il respiro della coscienza. Saggi e interventi sulla vera libertà 1967-1974. Con il discorso ad Harvard del 1978, a cura di Sergio Rapetti, Jaca Book,
pp. 240, euro 20

Risvolto
Quando nel 1942 raggiunge il fronte di guerra, Solzenicyn ha la mente e il cuore pieni di progetti eroici e rivoluzionari, ma non immagina il vertiginoso itinerario che lo aspetta: ufficiale comandante di un'unità, condannato per attività antisovietica a 8 anni di lager e al "confino a vita", ammalatosi di cancro e infine riabilitato nel 1957. A parte la malattia, era stata questa la sorte anche di milioni di altri sovietici. Questo l'antefatto, senza il quale non si capisce l'improvvisa, clamorosa irruzione nella letteratura mondiale, con "Una giornata di Ivan Denisovic" e poi, via via, "Arcipelago Gulag" e i grandi romanzi, di un narratore di tale portata. Ma neanche si spiegherebbe la sua vigorosa ed efficace attività sociale e pubblicistica, espressa in saggi e interventi. Jaca Book ne ha seguito gli sviluppi fin dall'inizio, nel 1967, diffondendo nel mondo i documenti della battaglia per la libertà della letteratura. Presentando ora questi testi, per la prima volta tradotti dalle versioni definitive, della sua più fervida stagione pubblica, quella del "ritorno del respiro e della coscienza", Jaca Book integra l'ideale ritratto di un gigante della storia culturale e sociale del suo Paese. Un cahier di fotografie dall'Archivio della famiglia ne restituisce anche visivamente la straordinaria vicenda. 


Inedito Solzenicyn: Est e Ovest, due sistemi sbagliatiAleksandr Solzenicyn Avvenire 27 maggio 2015

Solgenitsyn Perché la ribellione alla menzogna è la vera resistenza
“Dopo i periodi di violenza i regimi usano le bugie come armi”: l’analisi attualissima del Nobel russo
“Se invece ci facciamo vincere dalla paura smettiamo almeno di lamentarci”
di Aleksandr Solgenitsyn Repubblica 27.5.15
IL TESTO Il brano inedito in Italia che qui pubblichiamo è un estratto del testo Vivere senza menzogna! scritto da Aleksandr Solgenitsyn il 12 febbraio 1974 a Mosca E ora pubblicato, insieme ad altri testi dello scrittore premio Nobel russo, nella raccolta Il respiro della coscienza (Jaca Book pagg. 236 euro 20) in libreria da domani

CI siamo così irrimediabilmente disumanizzati che per la modesta pappatoria di oggi siamo disposti a dar via tutti i nostri princìpi, l’anima, tutti gli sforzi dei nostri predecessori e le opportunità dei nostri posteri — qualsiasi cosa pur di non arrecare turbamento alla nostra precaria esistenza. Non sappiamo più cosa siano l’orgoglio, la fermezza, un cuore fervido. Non ci spaventa nemmeno la morte nucleare, la terza guerra mondiale (ci sarà pure un buco dove nascondersi) — una sola cosa temiamo: di dover fare quei pochi passi che ci separano dal coraggio civico!
Purché non ci si debba allontanare dal gregge, andandocene un po’ per conto nostro — e se poi ci ritroviamo senza il filoncino di pane bianco, lo scaldabagno a gas, il permesso di soggiorno a Mosca? C’è un concetto capace di assicurarci una vita tranquilla finché campiamo e ce l’hanno inculcato in tutte le salse ai circoli di educazione politica, finché ci è entrato bene in testa: l’ambiente, le condizioni sociali, non se ne esce, l’essere determina la coscienza, e allora cosa c’entriamo noi? Noi non possiamo farci niente. Possiamo al contrario fare tutto! Ma preferiamo mentire a noi stessi, per metterci il cuore in pace. Non sono affatto “loro” i colpevoli di tutto, siamo noi stessi, soltanto noi! Ci obietteranno: ma in effetti che cosa si può fare concretamente? Ci hanno tappato la bocca, non ci prestano ascolto, non chiedono il nostro parere. Come fare per costringere quelli ad ascoltarci? Non c’è comunque modo di far cambiare loro idea.
La cosa più naturale sarebbe non rieleggerli! — già, se nel nostro paese ci fossero le rielezioni. Dunque, un circolo chiuso? Davvero senza via d’uscita? E possiamo solo aspettare passivamente che, di punto in bianco, qualcosa succeda da sé? Ma quel qualcosa che ci sta addosso non si scollerà mai da sé, se noi tutti continueremo ad accettarlo, ossequiarlo e rafforzarlo ogni giorno, se non ci decideremo ad affrontarlo cominciando da dove è più vulnerabile. Dalla menzogna.
Quando la violenza irrompe nel pacifico consorzio umano il suo volto arde di tracotante certezza ch’essa espone, grida perfino, sulle proprie insegne: «Io sono la Violenza! Fate largo, muovetevi o vi metto sotto!». Ma la violenza invecchia altrettanto rapidamente e di lì a pochi anni già non è più così sicura di sé e per darsi un contegno, per rendersi più presentabile si cerca immancabilmente un’alleata ed è la Menzogna. Infatti la violenza non ha altro modo di mascherarsi se non la menzogna, e la menzogna non può persistere se non per mezzo della violenza. E la violenza non ha bisogno di farci sentire tutti i giorni, su ogni spalla, il peso della propria zampa: essa pretende da noi solo che ci sottomettiamo alla menzogna, che partecipiamo un giorno dopo l’altro alla menzogna — e tanto basta per essere sudditi fedeli.
E proprio qui troviamo la chiave, da noi finora trascurata, e invece così semplice e accessibile, per la nostra liberazione: la non partecipazione personale alla menzogna! Se infatti sempre più gente non vuole avere a che fare con la menzogna, essa inizia a scomparire. Come una malattia contagiosa, che esiste finché ci sono persone da infettare. Non ci viene chiesto di scendere in piazza, non siamo abbastanza maturi per proclamare in pubblico la verità, esprimere ad alta voce quel che pensiamo — non fa per noi, troppo rischioso. Ma almeno rifiutiamoci di dire quello che non pensiamo. Presa coscienza del limite oltre il quale inizia la menzogna (e la sensibilità al riguardo è soggettiva) — ritrarsi da questa cancrenosa frontiera! E allora ciascuno di noi si faccia coraggio e scelga: o restare servo cosciente della menzogna (oh, certo, non perché vi sia propenso, ma per mantenere la famiglia, per tirare su i figli, e nello spirito della menzogna!) oppure decidere che è giunto il momento di riscuotersi, di diventare una persona onesta che merita il rispetto dei figli e dei contemporanei. (...) Sì, all’inizio non sarà facile. Qualcuno perderà temporaneamente il lavoro. Ai giovani che vogliono vivere secondo verità questo complicherà parecchio fin dall’inizio la loro giovane esistenza: infatti anche le verifiche a domande e risposte sono infarcite di menzogna e bisogna scegliere. Ma per nessuno che voglia mantenersi onesto rimangono comunque scappatoie di sorta: non c’è giorno, per nessuno di noi, neanche nelle più inoffensive scienze tecniche, nel quale non si debba scegliere in che direzione andare: verso la verità o verso la menzogna, verso l’indipendenza dello spirito o il servilismo spirituale. E chi non avrà avuto coraggio bastante neanche per difendere la propria anima eviti perlomeno di menar vanto per le proprie idee progressiste, non si pavoneggi dei suoi titoli di accademico, artista del popolo, benemerito di questo o di quello, o generale e dica semplicemente a se stesso: sono una bestia e un vigliacco, voglio solo restarmene al calduccio e a pancia piena.
Per gente come noi intorpidita dall’inazione, perfino questa via — la più moderata tra le varie forme di resistenza — risulterà tutt’altro che facile. Più facile comunque, senza paragoni, dell’immolarsi col fuoco o anche di uno sciopero della fame: le fiamme non ti avvolgeranno le membra, gli occhi non ti scoppieranno per il calore e un po’ di pane nero e un bicchiere d’acqua potabile si troveranno sempre per la tua famiglia. Quel grande popolo d’Europa che abbiamo ingannato e tradito — il popolo cecoslovacco — non ci ha forse mostrato che un petto inerme può resistere anche ai carri armati se in esso batte un cuore degno? Sarà una via irta di ostacoli? — però la meno gravosa di quelle possibili. Una scelta non facile per il corpo — ma l’unica per l’anima. Una via non facile — tuttavia anche da noi ci sono persone, decine di persone, che da anni si attengono a questi criteri, vivono secondo verità. Non si tratta allora di avviarsi per primi su questa via ma di unirsi a chi l’ha già fatto! Quanto più numerosi e concordi saremo nell’intraprenderla, tanto più agevole e breve ci sembrerà! Se saremo migliaia, non potranno tenerci testa, neanche ci proveranno. Se diventeremo decine di migliaia, il nostro paese cambierà talmente da non riconoscerlo più.
Se invece ci facciamo vincere dalla paura, smettiamo almeno di lamentarci di quelli che ci toglierebbero anche l’aria per respirare — siamo noi stessi a farlo! Incurviamo ancor di più la schiena, aspettiamo di vedere come va, e i nostri amici biologi contribuiranno ad avvicinare il giorno in cui potranno leggerci nel pensiero e riprogrammare i nostri geni.
Se anche stavolta ci lasceremo vincere dalla paura vorrà dire che siamo delle nullità, che per noi non c’è nessuna speranza e che ci meritiamo il disprezzo di Puškin: «A che pro alla mandria della libertà i doni?... / Il loro sol retaggio da generazioni / Sono il giogo, la frusta ed i sonagli». 


Il Solgenitsyn «inedito» già pubblicato nel 1974 «Repubblica» spaccia com e m ai uscito un pam phlet dello scrittore russo stam pato da M ondadori M a per la sinistra è davvero tale: non lo hanno m ai letto e non capiscono che oggi starebbe con Putin 28 mag 2015  Libero ANTONIO SOCCI
Da pagina 1 (...) un sussulto. Come se mi fosse stato proposto un «inedito» di Dante che inizia così: «Nel mezzo del cammin di nostra vita...». In effetti «l’inedito» proposto da Repubblica, intitolato «Vivere senza menzogna», era già stato pubblicato dalla Mondadori nel 1974, proprio con quello stesso titolo (e da quarant’anni si trova nella mia libreria). INFORTUNIO RIVELATOREAleksandr Solgenitsyn (1918-2008). A sin, la pagina di «Repubblica» sul suo presunto inedito, in realtà - v. la copertina a destra - pubblicato da M ondadori nel 1974
In questi giorni quel testo viene riproposto (ritradotto) da Jaca Book in uno splendido volume che raccoglie alcuni scritti del premio Nobel russo sotto il titolo Il respiro della coscienza. Il giornale scalfariano dunque poteva lanciare queste pagine come estratto del nuovo libro, ma presentare come «brano inedito in Italia» un testo pubblicato dal maggiore editore della penisola nel 1974 mi sembra surreale (a meno che i lettori di Repubblica siano tutti come Bergoglio che, abbeverandosi solo al giornale scalfariano come fosse il Vangelo, crederà pure all’inedito).
Naturalmente, un infortunio del genere può capitare in qualsiasi giornale e non è giusto infierire. Ma in questo caso forse, più che di banale svista, si può parlare di episodio significativo che ha una logica e una storia. È assai probabile, infatti, che per la maggior parte dei lettori, dei giornalisti e degli intellettuali di sinistra i testi di Solgenitsyn si possano considerare inediti, nel senso che non sono mai stati letti o considerati da loro: Solgenitsyn non è mai stato un autore del salottismo di sinistra, ma l’esatto contrario.
Peraltro dalle pagine di Repubblica di ieri non si capisce affatto, con chiarezza, che la Menzogna contro cui egli si scagliava era quella dell’Ideologia e del regime comunista.
Pierluigi Battista, in un suo saggio, notava che, mentre in Francia l’uscita di Arcipelago Gulag si abbatté come un ciclone sulla cultura di sinistra «innescando un drammatico ripensamento», invece «in Italia, nel 1974, gli intellettuali accoglievano quel libro con freddezza, magari accompagnando la gelida accoglienza con la divulgazione (come è accaduto) della leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet, oppure semplicemente ignorandolo».
Il mio maestro, Franco Fortini, sebbene di sinistra, scriveva lealmente sul manifesto che «non c’è da stupirsi che sia tanto diffusa l’insofferenza e frequente il disprezzo per Solgenitsyn. Resta il rifiuto autodifensivo di accettare l’idea di una catastrofe storica. Per paura di confondersi ai nemici del comunismo si continua e da tanti anni a non ridefinire il comunismo... Inganniamo i giovani perché continuiamo a illuderci».
In quel 1974 io ero proprio fra quei giovani che venivano ingannati. Appena arrivato al liceo mi ritrovai nel profondo rosso: un clima di plumbeo conformismo e di violenta intolleranza. Tutti - specie se figli di ricchi borghesi - inneggiavano a Marx, Che Guevara, Mao e compagnia. E i giornali italiani e gli intellettuali, con rarissime eccezioni, alimentavano il pensiero unico. Si doveva stare nel gregge per non rischiare...
Fu proprio in quei mesi che scoprii - oltre ad Arcipelago Gulag - quel formidabile pamphlet di Solzenicyn: Vivere senza menzogna. Una lettura folgorante, la svolta della mia vita. Solzenicyn parlava della situazione di oppressione soffocante che si viveva nei regimi comunisti, ma, mentre lo leggevo, trovavo un perfetto affresco del clima che si respirava nelle nostre scuole. Lo scrittore parlava pure dell’indottrinamento di regime nelle scuole e ne sapevamo qualcosa... Infine sottolineava bene il nesso fra la violenza e la menzogna di cui hanno bisogno gli intolleranti per comandare.
Quello che sedusse me, adolescente, fu il formidabile attacco del grande dissidente alla viltà del conformismo («Per la modesta zuppa di oggi siamo disposti a sacrificare qualunque principio, anche la nostra anima... ci basta non staccarci dal gregge»). Ma soprattutto mi entusiasmò la sua vigorosa esortazione a ribellarsi alla menzogna, a dire basta ai despoti del pensiero unico.
Le sue parole diventarono la bussola della mia vita: «Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini per opera mia. La nostra via è: non sostenere in nessun caso consapevolmente la menzogna». Capii subito che questa libertà ha un prezzo molto alto e cominciai a pagarlo. Ma per nulla al mondo ci avrei mai più rinunciato. Per decenni. Fino a questi giorni.
Tuttavia non avrei mai pensato di dover ritrovare quello stesso plumbeo regime di conformismo oggi, dopo 40 anni, nella mia Chiesa. E di dover sopportare quella stessa solitudine e dover subire come allora anatemi, intimidazioni, disprezzo e infamie, solo per aver rotto l’omertà e il conformismo generale che domina oggi nella Chiesa bergogliana, erede di quel cattocomunismo che già allora andava a braccetto con la bandiera rossa.
Repubblica con un perfetto autogol ieri ci ha regalato una pagina folgorante di Solgenitsyn che è il perfetto antidoto contro quel «pensiero unico» di cui proprio Repubblica è un pilastro.
Quella che stiamo vivendo è infatti un’inimmaginabile e planetaria «dittatura del relativismo» (Ratzinger) come mai si era vista prima. Un regime del politically correct che vede perfino il papa argentino come cappellano di corte dell’imperiale ideologia onusiana. Ciò che Repubblica non dice è che Solgenitsyn, fra Barack Obama e Vladimir Putin, non avrebbe mai scelto Obama. E avrebbe condiviso la condanna putiniana di quei Paesi occidentali che «stanno rinnegando le loro radici, tra cui i valori cristiani che sono alla base della civiltà occidentale. Stanno negando i principi morali e la propria identità: nazionale, culturale, religiosa e perfino sessuale».      

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