mercoledì 24 giugno 2015
"Autoannientamento" e indignazione a senso unico: l'Occidente non stermina, sono gli altri che si suicidano volentieri
Inca, il suicidio di una civiltà
Come fu
possibile che 168 soldati spagnoli, nel 1532-33, conquistassero un
impero efficiente e ben organizzato di 12 milioni di persone? La
questione riproposta da una mostra a Parigi
di Antonio Aimi La Stampa 24.6.15
È il tramonto del 16 novembre 1532. Atahualpa, l’imperatore inca, sta
entrando nella piazza di Cajamarca. È uno dei momenti della storia in
cui tutto si condensa e si rapprende. I tempi lunghi dei cicli
economici, delle mutazioni antropologiche, tecnologiche, religiose e
politiche sono soggetti all’arbitrio e ai capricci dei singoli.
Atahualpa è seduto su una lettiga con le aste rivestite d’argento,
indossa un collare con grandi smeraldi e la mascapaicha, la corona di
lana, fili d’oro e rarissime penne che rappresenta il potere del capo
supremo dell’impero inca. E del più grande impero dell’America
precolombiana, Atahualpa è veramente il signore incontrastato, perché da
poche settimane i suoi generali hanno sconfitto e catturato Huascar, il
fratellastro. È preceduto da trecento giovani che cantano e puliscono
il terreno con le mani e da un migliaio di soldati in uniforme da
parata, accanto a lui si trovano i più alti dignitari dell’impero.
Tonnellate di oro
Arrivato al centro della piazza, Atahualpa fa fermare la lettiga,
portata da ottanta dignitari che indossano tuniche azzurre. Si chiede
dove siano gli strani guerrieri barbuti che hanno tanto insistito per
invitarlo in quella piazza. Poi si avvicinano un uomo vestito con una
lunga tunica bianca e un ragazzino. L’uomo con la tunica bianca, tramite
l’interprete, il ragazzino, comincia a dirgli cose che non capisce e
gli porge una cosa che non ha mai visto. Il resto è noto: Atahualpa
getta per terra quell’oggetto sconosciuto, una Bibbia, e il domenicano
Vicente de Valverde corre via gridando. Subito dopo attorno
all’imperatore si scatena l’inferno.
Ed è noto anche il seguito della storia, la cattura di Atahualpa, la
promessa della libertà in cambio di una stanza piena di oggetti d’oro e
d’argento, il pagamento del riscatto (5,7 tonnellate d’oro e 11,89
tonnellate d’argento, che oggi, tanto per avere un ordine di grandezza,
avrebbe un valore di oltre 180 milioni di euro) e l’uccisione
dell’imperatore in violazione dei patti e delle stesse leggi spagnole.
A questa nuova epica moderna, che ha plasmato la storia di gran parte
dell’America meridionale, è dedicata la mostra che si è inaugurata ieri
al Musée du Quai Branly di Parigi. L’esposizione, come ci spiega la
curatrice Paz Núñez Regueiro, «vuole mostrare come si percepirono gli
Spagnoli e gli Inca, come dialogarono e si affrontarono, e come entrambi
i campi cercarono di allearsi con diverse fazioni per affermare il loro
potere». Lo fa presentando circa 120 reperti (armi, terrecotte,
rarissime tuniche dell’élite incaica, stampe, oggetti di pietra, codici
del XVI e XVII secolo) che offrono un interessantissimo squarcio sulla
cultura inca.
La storia fatta con i se
Inevitabilmente la mostra ripropone una questione che da quasi cinque
secoli intriga tutti coloro che conoscono la storia della Conquista del
Perù: come fu possibile che 168 soldati (106 fanti e 62 cavalieri)
conquistassero un impero efficiente e ben organizzato di almeno 10-12
milioni di persone?
E inevitabilmente le risposte sono sempre le solite: la superiorità
delle armi europee, tecniche di guerra volte all’annientamento del
nemico, la defezione delle etnie da poco conquistate dagli Inca
(l’impero non aveva più di 92 anni), la guerra civile tra Atahualpa e
Huascar, le profonde, successive divisioni all’interno del lignaggio
reale di Cuzco. Certo, tutto è stato detto e scritto in migliaia di
libri. Rimangono, però, due domande impertinenti che le pubblicazioni
scientifiche non riescono a cancellare.
1) A Cajamarca il destino di Atahualpa era segnato, o gli avvenimenti avrebbero potuto prendere un’altra piega?
2) Se a Cajamarca gli avvenimenti avessero preso un’altra piega, la
conquista del Perù, al di là degli accidenti dell’histoire
événementielle, era comunque una tappa obbligata, come ad esempio la
colonizzazione dell’Africa del XIX secolo, oppure la storia dell’America
sarebbe stata diversa?
I reali rapporti di forza
Domande del genere, ovviamente, sono schiacciate dal vecchio detto che
«la storia non si fa con i se». Cosa giustissima, ovviamente; tuttavia,
se si osserva il dettaglio della situazione sul terreno, si possono
osservare lucidamente i reali rapporti di forza e dare così una
possibile risposta alla prima domanda, esattamente come si fa nelle
analisi delle battaglie del passato.
Per farlo occorre tenere presente alcuni dati:
1) per quanto la maggior parte del suo esercito fosse altrove e per
quanto le stime dei cronisti siano sempre eccessive, a Cajamarca
Atahualpa aveva almeno 20.000 soldati;
2) non era assolutamente intimorito dagli Spagnoli, anzi aveva mandato
spie per verificare la pericolosità, ad esempio, dei cavalli;
3) i racconti che gli stranieri fossero visti come delle divinità sono
bufale inventate molto tempo dopo e sono smentite da tutti i testimoni
oculari;
4) aveva certamente intenzioni ostili, documentate, forse, anche dagli strani regali mandati a Pizarro;
5) per quanto la salita delle Ande non fosse particolarmente difficile,
esponeva il piccolo esercito invasore a pericoli di cui gli stessi
spagnoli erano ben consapevoli (divisione tra l’avanguardia e il resto
del magro esercito di Pizarro, non conoscenza del terreno ecc.).
Da questi dati emerge che i rapporti di forza erano a favore degli Inca
in modo nettissimo e che sarebbe stato relativamente facile schiacciare
il piccolo esercito di Pizarro mentre saliva verso le Ande.
La hybris di Atahualpa
Come mai, quindi, Atahualpa lo lasciò arrivare fino a Cajamarca e andò a
cacciarsi nella trappola? Probabilmente fu accecato dalla hybris e
dalla presunzione che, in ogni caso, quei guerrieri barbuti non
avrebbero rappresentato un vero pericolo.
Dare risposte alla seconda domanda senza cadere nella fantastoria è,
invece, molto difficile. Tuttavia - ricordando che ogni ipotesi, pur
utile a capire i percorsi al contempo razionali e irrazionali della
storia, sarà sempre priva di ogni riscontro fattuale - si può
ragionevolmente ipotizzare che se lo sparuto drappello di conquistadores
fosse stato sbaragliato, l’impero inca avrebbe potuto imboccare con
successo la strada di un processo di occidentalizzazione dall’alto
analogo a quello sperimentato dal Giappone nella seconda metà del XIX
secolo.
Lo fanno pensare le caratteristiche geografiche ed ecologiche
dell’impero, la debolezza strutturale degli insediamenti spagnoli
nell’America del XVI secolo, la capacità di copiare e utilizzare la
tecnologia militare e civile europea dimostrata dagli Inca nelle guerre
successive, l’efficienza di una società caratterizzata dal modo di
produzione asiatico. Ed è evidente che, nel caso di questo scenario, un
impero ben organizzato, «padrone» della maggior parte delle miniere
d’argento allora conosciute, avrebbe egemonizzato tutta l’America
meridionale e avrebbe giocato un ruolo di primo piano nella storia del
mondo.
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