giovedì 11 giugno 2015

Contro la retorica celebrativa del macello europeo

La Grande Menzogna di Valerio Gigante,  Luca Kocci e Sergio Tanzarella
Vale­rio Gigante, Luca Kocci e Ser­gio Tan­za­rella: La Grande Men­zo­gna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima guerra mondiale, Dis­sensi, 2015

Risvolto

Lo sapevate che mentre i cappellani militari italiani – a cui venne proibito di utilizzare la parola “pace” – benedivano le armi che servivano ad uccidere o intonavano Te Deum di ringraziamento per le stragi perpetrate nei confronti dei nemici, plotoni di prostitute venivano inviate dagli Stati maggiori al fronte per tenere alto il morale della truppa? Che nonostante la martellante propaganda e l’esaltazione dell’eroismo dei soldati, suicidi, automutilazioni, disturbi mentali di ogni tipo e alcolismo erano tra i fenomeni più diffusi tra i militari in trincea? Che le mazze ferrate erano tra gli strumenti in dotazione agli eserciti per finire come bestie al macello i soldati agonizzanti, specie dopo aver usato contro di loro i gas asfissianti? Che i fanti che esitavano a lanciarsi all’assalto del nemico venivano trucidati dai carabinieri appostati alle loro spalle? Che per essere fucilati bastava anche solo tornare in ritardo dopo una licenza, oppure venire sorpresi a riferire o scrivere una frase ingiuriosa contro un superiore? E che ai prigionieri di guerra italiani, considerati vili, imboscati e disertori, il nostro governo, unico tra i Paesi belligeranti, non inviò alcun aiuto che ne alleviasse le terribili condizioni di detenzione?
Questi ed altri fatti sono noti agli studiosi ed agli specialisti ma non al lettore (italiano) medio, perché buona parte della pubblicistica divulgativa ha quasi sempre presentato la prima guerra mondiale in termini eroici, ridimensionando o nascondendo gli aspetti più tragici del conflitto.
Questo libro vuole invece raccontare in maniera documentata e rigorosa, ma con un ritmo agile e un approccio adatto anche ai “non addetti ai lavori”, alcune delle questioni meno conosciute e più controverse dell’ingresso, della partecipazione e della memoria della “grande guerra” degli italiani. Un “antidoto” alle celebrazioni retoriche ed acritiche del centenario dell’ingresso dell’Italia nella I guerra mondiale. Un invito ad una memoria generatrice di coscienza, che sia strumento per leggere il presente e soprattutto produrre futuro. Il più possibile diverso dal passato che ancora grava, pesantemente, sulle nostre spalle.

Le trincee iniziali del «totalitarismo» 

Saggi. «La Grande Menzogna», un volume collettivo sulla Prima Guerra Mondiale per Dissensi 

Alessandro Santagata il Manifesto 11.6.2015, 0:01 

I cen­te­nari, e le ricor­renze sto­ri­che in gene­rale, sono da sem­pre un’occasione per uti­liz­zare pub­bli­ca­mente la memo­ria e ope­rare una sua rivi­si­ta­zione.
Il 5 mag­gio 1915, l’anniversario della spe­di­zione gari­bal­dina dallo sco­glio di Quarto, fu sfrut­tato da D’Annunzio per spro­nare il governo all’intervento in guerra. Durante gli anni del regime, il primo con­flitto mon­diale ha rap­pre­sen­tato un epi­so­dio fon­da­men­tale della nar­ra­zione sull’«Italia in cam­mino» e le gior­nate del 24 mag­gio e del 4 novem­bre sono state decli­nate all’interno del calen­da­rio litur­gico nazionale. 
Non stu­pi­sce dun­que che anche que­sto cen­te­na­rio del 2014–2015 abbia favo­rito ini­zia­tive di rifles­sione sulla nostra sto­ria nazio­nale; e che al tempo stesso sia stato il pal­co­sce­nico per una cele­bra­zione patriot­tica, acri­tica e lon­tana dalle acqui­si­zioni della sto­rio­gra­fia. Sui media e nelle mani­fe­sta­zioni pub­bli­che sono tor­nate in cir­co­la­zione le tesi della «quarta guerra di indi­pen­denza» e dell’«affratellamento» nelle trin­cee, inter­pre­tato in chiave «europeista» . 
Dal biso­gno di pren­dere le distanze da tutto ciò prende le mosse il libro di Vale­rio Gigante, Luca Kocci e Ser­gio Tan­za­rella La Grande Men­zo­gna (Dis­sensi, 2015). Il volume nasce con l’intento di «rac­con­tare in modo rigo­roso, ma con un approc­cio divul­ga­tivo» l’orrore della car­ne­fi­cina di massa e della fal­sità con la quale «ancora oggi molti vor­reb­bero con­ti­nuare a ricordarla». 
Con il sup­porto di un ricco appa­rato d’immagini (foto­gra­fie di sol­dati muti­lati e dei campi di pri­gio­nia, volan­tini e san­tini inneg­gianti alla vio­lenza), sono riper­corsi i pas­saggi attra­verso i quali si è arti­co­lata la pro­du­zione seriale di morte e i mec­ca­ni­smi di giu­sti­fi­ca­zione che hanno pre­ce­duto, accom­pa­gnato e seguito la guerra guer­reg­giata. Ecco allora che a fianco dell’intellettuale pro­pa­gan­di­sta, inqua­drato nelle fila del «Ser­vi­zio P» dell’esercito, tro­viamo il prete-psicologo (Ago­stino Gemelli), impe­gnato a ela­bo­rare una prassi dell’obbedienza che uni­sca il sacro al medicale. 
Del resto, Chiesa e potere poli­tico con­di­vi­dono la con­vin­zione che il corpo dei sol­dati debba essere oggetto di un con­trollo costante, anche attra­verso la rego­la­men­ta­zione della ses­sua­lità nelle case di pro­sti­tu­zione. Nella men­ta­lità dei ver­tici, pla­smata dal disprezzo verso le masse, lo stru­mento pri­vi­le­giato rimane però la vio­lenza: la vio­lenza al fronte, per repri­mere le spinte disfat­ti­ste, quella nelle fab­bri­che con l’imposizione alla forza lavoro di un con­trollo di tipo mili­tare, e poi ancora verso i pri­gio­nieri di guerra ita­liani, trat­tati alla stre­gua di tra­di­tori. Ora, a par­tire dagli anni Set­tanta la sto­rio­gra­fia si è inter­ro­gata sulle forme di resi­stenza indi­vi­duale e col­let­tiva rileg­gendo il con­flitto come una grande cesura cul­tu­rale e men­tale. Ad oggi sem­bra però ancora defi­ciente, almeno in Ita­lia, la rifles­sione sulle ragioni dell’ubbidienza di massa ad una guerra appa­ren­te­mente assurda. 
Come a suo tempo ha sot­to­li­neato George Mosse, la bana­liz­za­zione della vio­lenza poli­tica e l’educazione all’odio verso il nemico, spesso attin­gendo a for­mu­la­zioni discor­sive di tipo raz­ziale e ses­si­sta, sono state due porte di accesso alla moder­nità auto­ri­ta­ria. Da que­sto punto di vista, la prima guerra mon­diale ha costi­tuito una pale­stra ideo­lo­gica per la costru­zione del con­senso in una società di massa. 
Al di là della que­stione del nazio­na­li­smo pri­mo­no­ve­cen­te­sco e del suo rap­porto com­pli­cato con la tra­di­zione patriot­tica, si fa ancora fatica ad uscire da una visione poli­tica della Grande Guerra per affron­tare la dimen­sione storico-culturale che col­lega il mas­sa­cro del 14–18 all’affermazioni dei tota­li­ta­ri­smi. Si tratta di un punto spi­noso e che non si pre­sta dav­vero alla reto­rica da cen­te­na­rio. Ben ven­gano libri come que­sto che pro­vano a lan­ciare un sasso in uno sta­gno più largo di quello degli storici.

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