lunedì 15 giugno 2015

Il famigerato neutrino


Il fantasma dell’universoLucia Votano: Il fantasma dell’universo. Che cos’è il neutrino, Carocci, Roma,pagg.166, € 13,00

Risvolto
Ben prima della luce, a un decimillesimo di secondo dal Big Bang, i neutrini sono apparsi nell'universo. Dopo un secondo il brodo primordiale si era raffreddato abbastanza da consentire loro di muoversi liberi e ancora oggi, dopo quasi quattordici miliardi di anni, sono numerosissimi. Ma che cosa sono i neutrini? Elusivi come fantasmi, camaleontici, viaggiano indenni attraverso la materia arrivando dritti sino a noi dagli angoli più remoti e nascosti dell’universo. Per saperne di più seguiremo i fisici che li studiano in laboratori sotterranei o in luoghi estremi come i ghiacciai polari o le profondità marine.

I misteri dei neutrini/2 Una finestra sulla nuova fisica
di Vincenzo Barone Il Sole Domenica 14.6.15
Ogni minuto, milioni di miliardi di neutrini (provenienti perlopiù dal Sole) attraversano il nostro corpo senza lasciare traccia – e senza ovviamente che ce ne accorgiamo. Queste misteriose particelle sono così riluttanti a interagire col resto del mondo che non hanno bisogno – come pensava una nostra ministra dell’istruzione – di un apposito tunnel per andare dal Cern di Ginevra, dove sono prodotte in collisioni subnucleari, fino ai laboratori del Gran Sasso, dove vengono osservate: compiono tranquillamente il viaggio tra la Svizzera e l’Abruzzo in due millisecondi e mezzo, attraversando indisturbate uno spicchio del nostro pianeta.

Ma non ci sono soltanto i neutrini solari e quelli degli acceleratori: ci sono anche i neutrini dei raggi cosmici e delle supernovae, quelli generati nei primissimi istanti dopo il Big Bang, che pervadono tutto lo spazio, quelli di altissima energia che arrivano chissà da dove, quelli provenienti dall’interno della Terra, e persino quelli «a kilometro zero», che produciamo noi stessi, circa 5000 al secondo – un po’ di più se mangiamo banane, perché sono emessi da un isotopo del potassio che abbonda in quel frutto. Tutti i neutrini che giungono fino a noi recano preziose informazioni sulle loro sorgenti e sui processi che li hanno originati - in definitiva, sul funzionamento dell’universo. Per osservare questi straordinari, ma elusivi, messaggeri, bisogna ricorrere a mezzi estremi: laboratori costruiti sotto terra per schermare i raggi cosmici (il più grande al mondo è quello dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare sotto il Gran Sasso) e giganteschi “telescopi”, costituiti da reti di rivelatori disseminati in chilometri cubi di materia – ghiaccio in Antartide, acqua nelle profondità del Mediterraneo (uno di questi apparati è in costruzione al largo di Capo Passero in Sicilia).
La storia dei neutrini – che è legata a doppio filo a quella della fisica italiana, ed è ora raccontata, assieme all’attualità della ricerca, in un piacevole librino scritto da una delle nostre maggiori esperte, Lucia Votano – ha inizio negli anni Trenta del secolo scorso, quando i fisici si trovarono di fronte a un enigma: nel decadimento beta, un processo in cui un nucleo radioattivo si trasforma in un altro nucleo emettendo un elettrone, l’energia degli elettroni prodotti risultava in completo disaccordo con quella prevista. Il grande Niels Bohr, sempre pronto a soluzioni rivoluzionarie, ipotizzò che nei processi nucleari l’energia non si conservasse. Un altro genio della fisica, Wolfgang Pauli, ebbe un’idea diversa: suggerì che nel decadimento beta, oltre all’elettrone, venisse generata un’altra particella, neutra (cioè priva di carica elettrica) e non osservata. La chiamò “neutrone” (i veri neutroni, costituenti dei nuclei assieme ai protoni, non erano stati ancora scoperti), ma Fermi gli fece notare che in italiano il suffisso “-one” fa pensare a qualcosa di grosso, mentre alla nuova particella, che doveva essere estremamente leggera, si adattava meglio il diminutivo “neutrino”. Fu questo il nome che si impose e che è oggi usato in tutte le lingue. L’idea di Pauli, oltre a rivelarsi corretta, rappresentò anche una pietra miliare sul piano metodologico: per la prima volta, infatti, derogando al principio di parsimonia che vieta di far proliferare le entità naturali, veniva postulata l’esistenza di una nuova particella – una strategia teorica ripetuta poi più volte con successo (si pensi al bosone di Higgs, “inventato” mezzo secolo prima della sua scoperta).
Fermi costruì la teoria del decadimento beta e della forza che lo determina – la forza debole – aprendo la strada al Modello Standard, la moderna teoria delle particelle e delle interazioni fondamentali. Il neutrino di Pauli fu scoperto sperimentalmente solo nel 1956 da due ricercatori americani, Cowan e Reines. Negli stessi anni, il panorama si ampliò: l’ex allievo di Fermi Bruno Pontecorvo, uno dei «ragazzi di via Panisperna», trasferitosi in Unione Sovietica, suggerì l’esistenza di un secondo tipo di neutrino, e ipotizzò che i neutrini potessero “oscillare”, cioè cambiare periodicamente da un tipo all’altro. Il neutrino predetto da Pontecorvo fu osservato nel 1962, e un terzo tipo di neutrino venne scoperto nel 1975.
Negli ultimi decenni l’interesse per i neutrini è progressivamente aumentato, perché si è capito che essi portano dritto al cuore dei meccanismi fondamentali della natura. Una delle loro proprietà su cui si concentra maggiormente l’attenzione dei fisici è la massa. Se fino a qualche anno fa si pensava che i neutrini fossero particelle di massa nulla, oggi si sa invece che hanno masse piccolissime, milioni o miliardi di volte più piccole di quella dell’elettrone, che deteneva il record precedente di leggerezza. Lo si è scoperto proprio studiando il fenomeno dell’oscillazione previsto da Pontecorvo (che avviene solo se i neutrini hanno massa). Ma non sappiamo perché queste masse – ancora non precisamente determinate - sono così piccole, e non è chiaro come incorporarle nel Modello Standard, che originariamente non le prevedeva. La natura stessa dei neutrini rimane enigmatica. Una domanda che ci si pone è se siano particelle come le altre, con un’antiparticella associata (l’antineutrino), o particelle del tutto differenti, come quelle immaginate nel 1937 da Ettore Majorana, il geniale fisico siciliano misteriosamente scomparso. Un neutrino di Majorana coincide col proprio antineutrino (il che lo farebbe sparire da certe reazioni di decadimento, che i fisici sperano di osservare) e acquista massa con un meccanismo diverso da quello delle particelle ordinarie. È stata inoltre ipotizzata l’esistenza di un’ulteriore varietà di neutrini, i neutrini “sterili” (così chiamati perché non sentono nessuna delle forze subnucleari), che potrebbero essere tra i componenti della materia oscura, quella materia che non si può osservare direttamente ma che è quattro-cinque volte più abbondante della materia nota.
Il fatto che le particelle più leggere e più sfuggenti che conosciamo racchiudano così tanti segreti dell’universo non può non affascinare. E il bello deve ancora venire. Molti ritengono infatti che i neutrini rappresentino la più promettente finestra sulla “nuova fisica”, quella che ci si aspetta che esista al di là del Modello Standard. Il loro studio - che vede in posizione di primissimo piano i ricercatori italiani - potrebbe nei prossimi anni cambiare radicalmente la nostra visione del mondo fisico.

I misteri dei neutrini/1 Enigmatici come Majorana
Oggi si fanno grandi investimenti in ricerca per verificare la teoria del geniale scienziato scomparso nel 1938 in modo misteriosodi Sylvie Coyaud Il Sole Domenica 14.6.15
In febbraio si è appreso dal tribunale di Roma che tra il 1955 e il 1959 Ettore Majorana viveva in Venezuela in base a una foto che stando ai familiari non gli somiglia per nulla. In aprile, Il Giornale riferiva che dal 1958 fino alla morte nel 2005, all’età di 99 anni, Majorana costruiva insieme a Rolando Pelizza un generatore di antimateria o «raggio della morte»: alimentato con una pila da 12 volt, raggiunge i 5 miliardi di gradi in pochi «fermisecondi», dice l’ing. Cappiello di Milano che ne ha acquisito la proprietà intellettuale... In altri paesi la stessa leggenda metropolitana ha per protagonista Nicola Tesla o una celebrità locale. In Italia, era toccato a Guglielmo Marconi fino a Il raggio della morte, un libro degli agenti della finanza Gerardo Severino e Giancarlo Pavat uscito nel 2013, in cui l’inventore è sempre Marconi però Franco, il genio ventenne che prima di morire nel 1944 consegnò i piani del generatore al signor Pelizza. Ai cronisti giudiziari, il seguito è noto dagli anni Settanta come il «raggiro della morte» per i miliardi di lire girati in paradisi fiscali europei grazie all’interesse manifestato da governanti italiani e statunitensi e da membri dei rispettivi servizi segreti. Il signor Pelizza che ne deteneva l’esclusiva - a suo dire di allora la doveva a documenti di Marconi fu Guglielmo – era pregato di dimostrarne l’efficacia distruggendo un vecchio satellite americano. Purtroppo una nuvola s’intrometteva ogni volta tra il raggio e il bersaglio.
Fuori dalla fantascienza, Majorana aleggia sulla fisica odierna come in una citazione di Carlo Marx. Enti di ricerca investono milioni di euro, dollari, yen e yuan per verificare una sua teoria che dovrebbe chiarire i misteri del neutrino - i più importanti per la fisica del 21mo secolo secondo molti fisici – e che si scontra dal 1937 con quella di un altro gigante del Novecento, P.A.M. Dirac.
La fisica dei neutrini è nell’infanzia, scriveva Tommaso Dorigo in occasione di una conferenza dei «Neutrino Telescopes» (anche se gli strumenti non somigliano affatto a telescopi). Dal 1998 però, ha scoperto che oscillano tra un stato elettronico, uno muonico, uno tauonico e forse uno “sterile”. Che conservano l’impronta della loro origine, centro del Sole, galassia vicina o lontana, acceleratore di Ginevra o di Chicago. Siccome nulla li devia, se escono al Polo Sud è certo che sono entrati nel pianeta dal Polo Nord un attimo prima.
Lucia Votano, la prima donna a dirigere i laboratori dell’Infn sotto il Gran Sasso e ora in pensione, ha appena pubblicato Il fantasma dell’universo. Che cos’è il neutrino, breve e vivace fin dal titolo allusivo: uno dei ghost-buster del Gran Sasso si chiama Opera… «La domanda se il neutrino abbia le caratteristiche ipotizzate da Dirac o piuttosto da Majorana è ancora attualissima – dice - e la prova è che per risponderci si stanno costruendo apparati di sensibilità sempre maggiore. Gli esperimenti cercano un decadimento nucleare molto raro e ancora mai osservato: il decadimento doppio beta senza neutrini». Se questi fossero “di Majorana” sarebbero la propria antiparticella e svanirebbero, i neutroni del nucleo atomico si trasformerebbero in due protoni con l’emissione di due elettroni soltanto.
Anche le non osservazioni sono preziose. Nel luglio scorso, i fisici che da due anni lavorano con il rilevatore Exo-200 senza vedere nulla hanno posto alcuni vincoli al decadimento: il neutrino avrebbe una massa di 0,2-0,4 elettronvolt. Energia positiva poca, ma deve conservarsi e saltar fuori da qualche parte nelle briciole delle collisioni. Da teorico, Gaetano Salina dell’Infn è soddisfatto di questi risultati: «se sperimentalmente si trova un chiaro segnale di massa, la teoria di Majorana è più fisica di quella di Dirac», che prevede un’energia negativa. E poi «neutrini massivi danno speranza di nuova fisica oltre il modello standard. E si può andare oltre il funerale della fisica delle particelle celebrato con il Nobel a Peter Higgs».
A Lucia Votano viene in mente una culla al posto di una bara. «La questione Dirac o Majorana è importante anche per capire l’evoluzione dell’universo. Se il neutrino è di Majorana può avere contribuito a creare una disimmetria tra materia e antimateria. Al momento del Big Bang particelle e antiparticelle erano in uguale numero, ma durante l’evoluzione successiva è intervenuto qualcosa che ha favorito l’una rispetto all’altra».
Sotto l’Antartide sono stati intrappolati neutrini venuti dai confini del cosmo. E sulla stazione spaziale un mese fa, un esperimento del Cern al quale partecipava Samanta Cristoforetti ha raccolto nuovi dati sul rapporto tra protoni e anti-protoni nei raggi cosmici. Altri tasselli da incastrare, ma nell’ipotesi Dirac o Majorana? Abbiate pazienza, i neutroni sono «enigmatici quanto Majorana», onnipresenti eppure tremendamente schivi, dicono i fisici di Exo-200, di Orca, Minerva, Cuore, Icarus che insieme a Carlo Rubbia e al suo gruppo ha traslocato dall’Abruzzo al FermiLab di Chicago. Ignorano i campi magnetici, non interagiscono quasi mai con altre particelle. Nei ghiacci antartici o del lago Baikal, in fondo a miniere in Giappone e negli Stati Uniti, al largo della Sicilia o di Daya Bay in Cina, giganteschi rilevatori cercano di registrare almeno il lampo turchino - la «luce di Cerenkov» - del loro passaggio. Nell’esperimento Opera che provava a fermarne uno ogni tanto tra i miliardi di miliardi spediti dal Cern al Gran Sasso, lungo un percorso ormai noto come il «tunnel della ministra Gelmini», tra il 2008 e il 2012 si sono trovati quattro candidati a un’interazione da neutrino sterile che si mescola con uno tau. Un successo.
Decine di esperimenti a varie profondità terrestri e marine vorrebbero vedere se capita alle particelle di decadere come Dirac o Majorana comanda. In realtà non si occupavano di neutrini in sé, ma di fermioni non fermionici (i fisici sono negati per la filologia!), con una carica né positiva né negativa, ma neutrale, come il fotone, prive di alcune proprietà dei fermioni normali o con quelle opposte. Majorana semplificò le equazioni di Dirac, un bel regalo per gli sperimentalisti di oggi, anche quelli che studiano le proprietà di nuovi materiali.
Negli isolanti topografici, configurazioni che nessuno immaginava negli anni Trenta, si misurano – con probabilità statistica - dei quasi elettroni di Majorana, effimeri segnali in nanofili di metallo dopati, in materiali superconduttori o superfluidi. Manca però la prova definitiva, quel decadimento senza se e senza ma. Verrà dal Cern di Ginevra, dove il grande collisore di adroni ha raggiunto recentemente l’energia ideale, come pensano Goran Senjanovic e i suoi colleghi? O dall’Oriente?
Per non sentirsi disoccupata, Lucia Votano ha deciso di collaborare a un colossale acchiappa-fantasmi cinese di nome Juno, Giunone in inglese, ma l’acronimo sta per Jiangmen Underground Neutrino Observatory. Con una precisione quaranta volte maggiore, somiglia parecchio a Borexino, sotto il Gran Sasso, così non si sentirà spaesata. In gennaio ha assistito alla posa della prima pietra, tra cinque anni comincerà a fare la pendolare tra Roma e Jiangmen. Non vede l’ora. 

Nessun commento: