venerdì 26 giugno 2015

La biografia di Lelio Basso scritta da Chiara Giorgi

Un socialista del Novecento
Leggi anche qui. Ancora complimenti a Chiara

Chiara Giorgi: Un socia­li­sta del Nove­cento. Ugua­glianza, libertà e diritti nel per­corso di Lelio Basso, Carocci, pp. 276

Risvolto

Lelio Basso (1903-1978) è senz'altro un socialista del Novecento. La sua è un’interpretazione del socialismo originale e a tratti eretica, capace di mescolare materiali diversi e autentici del marxismo, della tradizione di pensiero del movimento operaio e delle più radicali teorie democratiche. Dell’originalità del pensiero di Basso è proprio quanto espresso in tre termini, i quali connotano con altrettanta forza il suo socialismo: uguaglianza, libertà e dignità. Così come lo è un’interpretazione peculiare del terreno costituzionale e di quel particolare campo di tensione rappresentato dai diritti. Alla base della sua attività alla Costituente – in primis tradottasi nell’articolo 3 e nell’articolo 49 – vi è l’urgenza di iscrivere nel nuovo contesto l’obbligo di un cambiamento ugualitario come fondamento della nuova democrazia repubblicana. Questo volume ricostruisce alcune delle principali vicende intellettuali e politiche di questa straordinaria biografia, a partire dal fondamentale intreccio tra elaborazione teorica e attività politica proprio di una intera generazione. Nonostante i silenzi che hanno spesso avvolto il vissuto e il pensiero di Basso, egli non solo rappresenta una voce altra, dissonante, della tradizione socialista, ma offre ancora elementi di interesse all'altezza delle attuali sfide poste dall'immaginazione di una società migliore.


Lelio Basso, rigoroso ribelle 
Storia contemporanea. Un'intensa biografia intellettuale di Chiara Giorgi: il libro «Un socialista del Novecento», edito da Carrocci 

Ferdinando Fasce il Manifesto 26.6.2015

Uni­ver­sità Sta­tale di Milano, fine anni venti-primi anni trenta, esami di Filo­so­fia Morale. Tra gli esa­mi­nandi ce n’è uno che non può sfug­gire all’attenzione dei pre­senti. Si muove scor­tato da agenti per­ché sta scon­tando una pena di tre anni di con­fino in quanto «ele­mento peri­co­loso per l’ordine e la sicu­rezza pub­blica, in con­se­guenza della sua attiva pro­pa­ganda fra ele­menti intol­le­ranti dell’attuale stato di cose». 
Si chiama Lelio Basso, classe 1903, già una lau­rea in legge e un’attiva pre­senza entro un ampio nucleo di anti­fa­sci­sti legati alla rivi­sta geno­vese demo­cra­tica Pie­tre e all’organizzazione clan­de­stina della Gio­vane Ita­lia. Iscrit­tosi per una seconda lau­rea in filo­so­fia dopo quella con­se­guita a Pavia, Basso pro­se­gue gli studi dal con­fino di Ponza. Il pro­fes­sore è Pie­tro Mar­ti­netti, auto­rità indi­scussa su Kant, con­vinto anti­fa­sci­sta. L’esame è breve. Il pre­si­dente della com­mis­sione, lo stesso Mar­ti­netti, inter­roga lo «stu­dente» sull’imperativo cate­go­rico kan­tiano. E, senza atten­dere la rispo­sta di Basso, dichiara: «Lei ha mostrato con la sua con­dotta di sapere benis­simo cosa sia l’imperativo cate­go­rico kan­tiano: trenta e lode». 
Que­sta pagina dimen­ti­cata di sto­ria dell’università ita­liana negli anni plum­bei della dit­ta­tura è inca­sto­nata nel bel libro col quale Chiara Giorgi trat­teg­gia un’intensa bio­gra­fia intel­let­tuale di Basso (Un socia­li­sta del Nove­cento. Ugua­glianza, libertà e diritti nel per­corso di Lelio Basso, Carocci, pp. 276). L’ho letta con inte­resse, da non spe­cia­li­sta di que­ste cose, con in testa un vec­chio detto del grande for­ma­li­sta russo Vic­tor Šklo­v­skij. Il detto è che, per dare loro un nuovo e più pro­fondo signi­fi­cato, le parole vanno rivol­tate come un ciocco nel fuoco. Ecco, que­sto libro ci con­sente di ripren­dere in mano, rivol­tate come un ciocco nel fuoco, parole chiave usu­rate e rese opa­che da tanta scia­gu­rata pra­tica poli­tica e civile che pur­troppo ha imper­ver­sato e con­ti­nua a imper­ver­sare. Lo fa resti­tuen­doci il pro­filo di una figura di punta della vita poli­tica, civile e cul­tu­rale ita­liana del Nove­cento, che ha attra­ver­sato con un raro esem­pio di impe­gno e rigore tre quarti di un secolo tanto tra­va­gliato, anche e soprat­tutto per il nostro paese. 
La prima parola è appunto, come dice il titolo, «socia­li­smo». È una parola che entra nella vita di Basso negli anni del liceo, fre­quen­tato a Milano, al Ber­chet, a cavallo della Grande guerra. Guida il per­corso for­ma­tivo di que­sto ragazzo della media bor­ghe­sia pro­vin­ciale savo­nese tra­sfe­ri­tosi con la fami­glia nella «capi­tale morale» nel 1916, il pro­fes­sore di sto­ria Ugo Guido Mon­dolfo, amico e soste­ni­tore di Gae­tano Sal­ve­mini e come lui espo­nente della scuola sto­rio­gra­fica economico-giuridica. È Mon­dolfo a indi­riz­zarlo agli scritti sto­rici di Marx. Ed è da lui e poi ben pre­sto dal fra­tello Rodolfo che Basso trae ispi­ra­zione per un approc­cio uma­ni­stico al mar­xi­smo e al socialismo. 
Come mostrano gli arti­coli degli anni venti scritti sotto lo pseu­do­nimo di Pro­me­teo Demo­filo (let­te­ral­mente un ribelle che sta dalla parte del popolo), que­sto approc­cio si pre­cisa mediante il con­fronto col libe­ra­li­smo gobet­tiano, col neo-protestantesimo (la ten­sione etica e l’attenzione per il numi­noso rima­nendo una costante del pen­siero bas­siano) e, pro­prio negli anni del con­fino, con l’elaborazione di Rosa Luxem­burg. Della quale Basso resterà poi inter­prete pri­ma­rio nel pano­rama ita­liano, facen­done un car­dine della deli­cata dia­let­tica uguaglianza-libertà-ascolto inces­sante delle spinte pro­ve­nienti dalla base che innerva tutta la sua pra­tica e il suo pen­siero. Tutto ciò avviene senza mai per­dere di vista l’aggancio alle con­crete con­di­zioni eco­no­mi­che (Basso sa, ad esem­pio, che cos’è il lavoro impie­ga­ti­zio per averlo spe­ri­men­tato nell’immediato dopo­guerra come ste­no­dat­ti­lo­grafo e cor­ri­spon­dente per un’azienda di mac­chine per maglie­ria) e l’intreccio con la bat­ta­glia antifascista. 
Eccoci così alla seconda parola chiave che la let­tura di Un socia­li­sta del Nove­cento ci resti­tui­sce fuori di ogni vuota reto­rica. «Anti­fa­sci­smo» torna qui come pra­tica che non smette di ripen­sarsi, pre­coce let­tura del regime fasci­sta come «tota­li­ta­ri­smo», corag­giosa espo­si­zione di sé e della pro­pria vita per la tra­sfor­ma­zione radi­cale dello stato di cose pre­sente in una lunga atti­vità clan­de­stina che cul­mina nell’esperienza resi­sten­ziale. E che si pro­ietta poi nella par­te­ci­pa­zione all’Assemblea Costituente. 
In essa Basso prova a tirare i fili del nesso lavoro-democrazia (la terza espres­sione chiave del nostro per­corso) con un con­tri­buto deci­sivo alla reda­zione dell’articolo 3. Che, mostra bene Giorgi sulle orme di Rodotà, invo­cando l’impegno della «Repub­blica» a «rimuo­vere gli osta­coli di ordine eco­no­mico e sociale, che, limi­tando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cit­ta­dini, impe­di­scono il pieno svi­luppo della per­sona umana e l’effettiva par­te­ci­pa­zione di tutti i lavo­ra­tori all’organizzazione poli­tica, eco­no­mica e sociale del Paese», tiene aperta e spinge in avanti la ten­sione tra ordine giu­ri­dico e sociale. Un cuneo «garan­ti­sta» (Anto­nio Negri, La forma stato. Per la cri­tica dell’economia poli­tica della Costi­tu­zione, Fel­tri­nelli, 1977) e, al tempo stesso, una leva eman­ci­pa­trice per il lavoro che bastano da soli a dare la misura di Basso e il debito enorme che gli dobbiamo.

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