venerdì 12 giugno 2015

Una ricerca su migrazioni e migranti in Italia

Migranti e territori, a cura di Marco Omiz­zolo e Pina Sodano, Ediesse, pp. 492, euro 20

Risvolto
Migranti e territori è una collettanea di ricerche condotte da docenti universitari, italiani e stranieri, ricercatori, giornalisti, funzionari pubblici e qualificati rappresentanti del Terzo Settore, che, con rigore metodologico e chiarezza espositiva, analizzano alcuni aspetti di particolare rilievo e attualità delle migrazioni contemporanee. Si tratta di indagini e ricerche aventi ad oggetto temi di grande complessità come il lavoro, i diritti, l’identità, i servizi sociali, l’accoglienza, le diaspore. Ampia è pertanto l’articolazione delle relative indagini: dal saggio sulle considerazioni degli italiani sulle famiglie immigrate al modello mediterraneo di immigrazione; dalla diaspora palestinese e bangladese all’analisi sulla politica della mobilità e il confine militare-umanitario nel Mediterraneo; dalla Primavera Araba in Giordania alla storia del bracciantato italiano e dei braccianti migranti di oggi, con focus sullo stato di alcuni lavoratori indiani in provincia di Latina; dalle condizioni di migliaia di profughi nelle carceri libiche alla residenzialità dei braccianti immigrati nel Mezzogiorno; dall’analisi sempre attuale sui rom all’assistenza sanitaria prevista dallo Stato italiano per tutti gli immigrati, sino al dramma dei profughi eritrei. Un lavoro di ricerca utile per comprendere meglio le migrazioni oggi, considerate una delle maggiori protagoniste del processo di formazione dell’attuale sistema mondiale, e riconoscere diritti e giustizia a quanti vivono condizioni di emarginazione, fragilità sociale e sfruttamento.

Il vocabolario dei viaggiatori per lavoro Angelo Mastrandrea 12.6.2015, 0:01 
Agli «indi­spen­sa­bili immi­granti», per dirla con il grande sto­rico fran­cese Fer­nand Brau­del, alla loro rela­zione con i luo­ghi di arrivo e a tutto ciò che ne con­se­gue (in ter­mini di neo­co­lo­nia­li­smo interno, di cosa com­porti il governo militare-umanitario delle fron­tiere, della costru­zione di una nuova idea di cit­ta­di­nanza, della sov­ver­sione degli ordi­na­menti giu­ri­dici o, per dirla con il socio­logo por­to­ghese Boa­ven­tura de Sousa San­tos, dell’«uso eman­ci­pa­tivo del diritto») è dedi­cato Migranti e ter­ri­tori (a cura di Marco Omiz­zolo e Pina Sodano, Ediesse, pp. 492, euro 20), una rac­colta di sedici saggi la cui ete­ro­ge­neità aiuta a com­pren­dere a tutto tondo come si sta modi­fi­cando la società che abbiamo intorno. 
A comin­ciare dal primo, di Mau­ri­zio Ambro­sini, che dà conto di una ricerca sulla per­ce­zione delle fami­glie immi­grate nello sguardo degli ita­liani, molto utile non solo per son­dare gli umori pro­fondi dei nostri con­cit­ta­dini (che si divi­dono tra chi pensa che i ricon­giun­gi­menti fami­liari siano «un feno­meno da con­tra­strare» per ragioni cul­tu­rali, chi ritiene invece che essi siano «una via d’integrazione» e chi vice­versa crede che la chiu­sura nell’ambiente fami­liare pro­vo­chi sepa­ra­zione dal resto della società), ma altresì per venire a cono­scenza del fatto che ad avere paura degli immi­grati sono di regola per­sone che vivono in pic­coli cen­tri, con bassa cul­tura e istru­zione, anziani, spesso dipen­denti dalla tele­vi­sione e soprat­tutto che non hanno mai avuto a che fare con migranti. Nelle città e tra le per­sone di livello cul­tu­rale medio-alto le cose invece cam­biano radicalmente. 
La que­stione migranti può essere affron­tata da diversi punti di vista: c’è il governo dell’immigrazione a par­tire dalle fron­tiere dove ori­gina la con­di­zione del clan­de­stino e c’è la que­stione del lavoro e dei diritti, fino ad arri­vare al poten­ziale di scar­di­na­mento del sistema che un feno­meno così epo­cale porta impli­ci­ta­mente con sé. È quest’ultimo aspetto a essere inda­gato da Fede­rico Oli­veri, che uti­lizza la nozione di «atti di cit­ta­di­nanza» teo­riz­zata dal socio­logo anglo-turco Engin Isin per giun­gere alla crea­zione di un nuovo sta­tus giu­ri­dico, che si forma in quella forma di resi­stenza alla glo­ba­liz­za­zione che è la migra­zione (in que­sto senso, torna alla mente per­fino il Giu­stino For­tu­nato che defi­ni­sce l’emigrazione a cavallo tra Otto e Nove­cento come una «rivo­lu­zione silen­ziosa» dei meri­dio­nali nei con­fronti di ari­sto­cra­tici e lati­fon­di­sti), nel con­flitto vio­lento con i dispo­si­tivi di con­trollo alle fron­tiere e nelle lotte sociali di que­sto nuovo «pro­le­ta­riato meticcio». 
Il paral­lelo tra pas­sato (l’emigrazione ita­liana) e pre­sente (l’immigrazione verso il Bel­paese) torna pure nel sag­gio di Marco Omiz­zolo, che mette a con­fronto la con­di­zione dei sikh dell’agro pon­tino con quella dei brac­cianti (ed emi­granti) ita­liani d’inizio secolo. Anche qui, di fronte alle scene dei capo­rali che reclu­tano mano­do­pera a bas­sis­simo costo, vale la pena ricor­dare le parole di Leo­poldo Fran­chetti e Sid­ney Son­nino, autori di una delle prime inchie­ste sulla con­di­zione con­ta­dina nell’Italia post-unitaria. «La mat­tina prima dell’alba si vede riu­nita in una piazza di ogni città una folla di uomini e ragazzi, cia­scuno munito di una zappa: è quello il mer­cato del lavoro, e son quelli tutti lavo­ranti, che aspet­tano chi venga a locare le loro brac­cia per la gior­nata o per la set­ti­mana», scris­sero nel 1876 di ritorno dalla Sici­lia. Un secolo e mezzo dopo, nel sud Ita­lia il mer­cato del lavoro non è cam­biato. Sono diversi solo i lavoratori.

La tela logorata della solidarietà
La lacerazione è già in atto e lo dimostra la campagna della Lega Alcuni sindaci di sinistra subiscono questo tipo di pressionedi Stefano Folli Repubblica 12.6.15
LE FOTO di centinaia di immigrati accampati nelle stazioni di Milano Centrale e di Roma Tiburtina, così come le notizie di casi di scabbia individuati fra i clandestini, accrescono ansia e inquietudine nell’opinione pubblica. Non potrebbe essere altrimenti. Ed è ovvio che a questo pensa il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, quando afferma: «Attenti, non alimentate la paura perché è una cattiva consigliera. Le questioni vanno risolte con la disponibilità di tutti». Ma è proprio la disponibilità la merce più rara.
IN ALTRI tempi si sarebbe invocata la solidarietà nazionale, forse l’unico percorso politico plausibile in casi del genere. Oggi non ci pensa nessuno, salvo Bagnasco.
Intanto il problema resta privo di soluzioni a breve termine. Gestire gli arrivi, distribuire le persone nelle varie regioni italiane secondo criteri predefiniti, ottenere maggiore solidarietà dall’Europa: sono obiettivi quasi proibitivi e nel vuoto si avverte una crescente lacerazione del tessuto civile del Paese. Si dice che lo scandalo del malaffare a Roma sia senza precedenti, perché mai si era immaginato che la capitale d’Italia potesse correre il rischio di essere commissariata per infiltrazioni mafiose. Ma anche il dramma dei migranti, nelle sue attuali proporzioni, non ha precedenti. I centri di accoglienza sono per lo più saturi, attrezzarne di nuovi è difficile, la rete del ministero dell’Interno — ossia le prefetture — è tesa fino allo spasimo. Cosa accadrà se dovessero prendere forma i peggiori scenari, ossia l’arrivo via mare di altre decine di migliaia di migranti, qualcuno adombra addirittura due o trecentomila?
La lacerazione è già in atto perché la Lega ha trasformato l’immigrazione nel grande tema dell’estate. Non c’è niente di estemporaneo nella campagna martellante con cui Salvini e soprattutto Maroni, il presidente della Lombardia, battono sul tasto dell’inadeguatezza del governo. Si capisce l’intento politico: raccogliere il massimo del consenso in una miniera che sembra inesauribile proprio perché non ci sono esiti positivi alle viste; e affermare in tal modo una sorta di egemonia su quel che resta di Forza Italia. Difatti il partito berlusconiano non sembra in grado di contrastare il protagonismo leghista, al massimo riesce ad accodarsi alla crociata.
Si diceva di Maroni. Da lui è venuta nelle ultime ore una proposta assai poco realizzabile, almeno a breve termine: una forza Onu in grado di attrezzare campi rifugio per i profughi sul territorio nordafricano, così da regolare a monte il flusso delle partenze ed evitare gli arrivi massicci sulle coste siciliane. È una mossa che serve solo a mettere in difficoltà Renzi, ma è concepita con una certa abilità perché va incontro al malessere del Nord. “Che restino a casa loro”, “Rispediamoli a casa loro” sono frasi tipiche in cui si riconoscono gli elettori leghisti, ma anche tanti che leghisti non sono e nemmeno di destra.
Quanti sono i sindaci di sinistra che, sotto la pressione pubblica, condividono la linea di Maroni e Zaia? Senza dubbio numerosi. Del resto, basta leggere cosa ha detto sull’immigrazione il candidato del Pd a Venezia, Casson, mentre si prepara al ballottaggio («abbiamo già dato, ora basta»). E Casson viene dalla sinistra del partito, non è certo un renziano. Quanto a Cacciari, uno che conosce bene gli umori del Nord, ha definito «chiacchiere ideologiche» le posizioni ambigue del Pd e dello stesso premier.
Il sentiero è stretto. Da un lato, la pressione leghista; dall’altro la linea dell’accoglienza sostenuta da circoli che hanno una certa presa nel mondo del centrosinistra, ma soprattutto nell’Italia meridionale; il Nord va in tutt’altra direzione. In mezzo, la Chiesa che invita alla riconciliazione.
Ma come? Renzi deve riprendere a tessere una tela assai logorata. La risposta a tutti gli interrogativi è in Europa, ma prima bisogna trovare il modo di farsi ascoltare. 

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