sabato 26 settembre 2015

50 anni dopo "Apocalittici e integrati"

50 anni dopo apocalittici e integrati
Alfabeta2 è il paradiso dei negrieri [SGA].

Anna Maria Lorusso (a cura di): 50 anni dopo Apo­ca­lit­tici e inte­grati di Umberto Eco, Alfa­beta 2 – Derive Approdi, pp. 149, euro 16

Risvolto
Quando nel 1964 uscì Apocalittici e integrati, fu un immediato successo. Elaborato quasi estemporaneamente da Eco per rispondere a un concorso, fu presto tradotto dagli Stati Uniti alla Corea, dalla Spagna alla Grecia, al Sud America. Ma il successo di questo libro non si è consumato col tempo. Dopo cinquant’anni, continuiamo a parlare di Apocalittici e integrati per riflettere ad esempio sulle promesse (o le condanne) del web. Continuiamo a ragionare sul kitsch. I fumetti sono ormai entrati a far parte delle nostre biblioteche e i super- eroi abitano mondi che non sono solo di basso consumo.

Cosa è rimasto di quel libro? Cosa lo rende ancora attuale e cosa ne ha decretato il successo da allora? I maggiori esperti italiani di media, semiotica e comunicazione riflettono qui, in dialogo con Eco, su quel volume: alla luce della situazione attuale e delle sue nuove, integrabili, apocalissi.
Interventi di:
Umberto Eco e Alberto Abruzzese, Daniele Barbieri, Marco Belpoliti, Clotilde Bertoni, Luigi Bonfante, Vanni Codeluppi, Fausto Colombo, Paolo Fabbri, Guido Ferraro, Riccardo Finocchi, Stefano Jacoviello, Francesco Mangiapane, Giacomo Manzoli, Gianfranco Marrone, Federico Montanari, Daniela Panosetti, Isabella Pezzini, Maria Pia Pozzato, Lucio Spaziante.

La rivincita degli integrati 
Pensiero critico. A cinquant’anni dalla pubblicazione del testo di Umberto Eco, un sentiero di lettura sulla cultura di massa nell’era della Rete 

Vanni Codeluppi il Manifesto 26.9.2015
In una società che appare essere sem­pre più domi­nata dalla per­so­na­liz­za­zione e dall’individualismo, esi­ste ancora qual­cosa che possa essere chia­mato cul­tura di massa? È vero che la dif­fu­sione del Web ha enor­me­mente poten­ziato negli ultimi anni le pos­si­bi­lità espres­sive di cia­scun indi­vi­duo, ma è anche un dato di fatto che l’industria cul­tu­rale con­ti­nua più che mai a sfor­nare pro­dotti che otten­gono un enorme suc­cesso com­mer­ciale attra­verso la loro dif­fu­sione a livello pla­ne­ta­rio. È il caso dun­que di doman­darsi se può esserci ancora uno spa­zio oggi per una rifles­sione sulla cul­tura di massa. E con esso anche uno spa­zio che possa con­sen­tire lo svi­luppo di una visione cri­tica di tale cultura. 
La ricerca sulla cul­tura di massa in Ita­lia ha pro­ba­bil­mente il suo testo fon­da­tivo in Apo­ca­lit­tici e inte­grati di Umberto Eco. Tale testo è uscito nel 1964 e, in occa­sione del cin­quan­te­simo anni­ver­sa­rio dalla pub­bli­ca­zione, è stato esplo­rato a fondo da venti autori in un volume curato da Anna Maria Lorusso: 50 anni dopo Apo­ca­lit­tici e inte­grati di Umberto Eco (Alfa­beta 2 – Derive Approdi, pp. 149, euro 16). Se dopo tanti anni ci si inter­roga ancora su Apo­ca­lit­tici e inte­grati, è pro­ba­bil­mente a causa della pro­po­sta for­mu­lata da Eco in que­sto volume di guar­dare alla cul­tura di massa delle società avan­zate da una nuova pro­spet­tiva. Una pro­spet­tiva basata sull’idea che, come ha sot­to­li­neato Gian­franco Mar­rone, uno dei venti autori del volume curato da Lorusso, «Per stu­diare la cul­tura di massa e i suoi media biso­gna arre­trare lo sguardo, e andare in cerca non delle verità dell’ultimo momento, delle varia­zioni di super­fi­cie delle cose e delle idee, delle forme e degli stili, ma degli schemi inva­rianti su cui que­ste stesse muta­zioni si fon­dano». Eco dun­que ha arre­trato lo sguardo per poter osser­vare meglio ciò su cui si con­cen­trava la sua attenzione. 


La mente incarnata 

Gra­zie all’approccio che ha adot­tato, Eco, come ha osser­vato Lorusso nella sua intro­du­zione, ha potuto stu­diare i con­te­nuti dei media e met­tere in evi­denza che essi sono un oggetto che va con­si­de­rato molto seria­mente. Pos­sie­dono cioè la stessa dignità della cul­tura tra­di­zio­nale. Ma Eco ha anche mostrato in Apo­ca­lit­tici e inte­grati che il fun­zio­na­mento dei media dev’essere esa­mi­nato, più che in ter­mini di effetti pro­dotti sui desti­na­tari del mes­sag­gio, all’interno di un cir­cuito sociale nel quale pro­du­zione e rice­zione inte­ra­gi­scono reci­pro­ca­mente. E nel quale dun­que chi riceve il mes­sag­gio è in grado anche di modi­fi­care quest’ultimo. Si tratta dell’idea del pri­mato dell’interpretazione del let­tore e dello spet­ta­tore, un’idea sulla quale Eco ha basato gran parte della sua rifles­sione semio­tica suc­ces­siva. È un’idea comun­que attra­verso la quale Eco, come ha osser­vato un altro dei venti autori coin­volti da Anna Maria Lorusso e cioè Marco Bel­po­liti, ha mostrato in Apo­ca­lit­tici e inte­grati che poteva affron­tare la cul­tura di massa senza essere né un apo­ca­lit­tico, né un integrato. 
Eco nel volume Apo­ca­lit­tici e inte­grati, più che pro­porre un metodo di lavoro, l’ha mostrato in azione, uti­liz­zan­dolo per ana­liz­zare nume­rosi casi, che vanno ad esem­pio da Super­man a Char­lie Brown, da San­do­kan a Rita Pavone. L’ha appli­cato cioè a vari pro­dotti che l’industria cul­tu­rale aveva creato e lan­ciato con suc­cesso sul mer­cato. Ci si può però doman­dare se oggi sia ancora pos­si­bile ragio­nare in que­sti ter­mini, dato che la dif­fu­sione dell’uso del Web ha radi­cal­mente modi­fi­cato il con­cetto di pro­dotto cul­tu­rale e la rela­zione che gli indi­vi­dui pos­sono avere con esso. 
A dire la verità, Eco in Apo­ca­lit­tici e inte­grati intuiva già quello che è suc­ces­si­va­mente avve­nuto e par­lava della neces­sità di stu­diare i media nelle loro cor­re­la­zioni, cioè con­si­de­rando la loro natura inter­me­diale, il loro «tra­dursi» reci­pro­ca­mente. Ma l’espansione del Web ha enor­me­mente poten­ziato le capa­cità rela­zio­nali dei media, modi­fi­cando pro­fon­da­mente lo sce­na­rio cul­tu­rale. Oggi, infatti, i pro­dotti cul­tu­rali ope­rano in una dimen­sione che è quella del net­work, in cui devono assu­mere mol­te­plici forme e vivere infi­nite vite. E in cui anche il pub­blico non è più pas­sivo, ma si inscrive total­mente all’interno del pro­cesso di pro­du­zione dell’immaginario culturale. 
È neces­sa­rio dun­que chie­dersi se un approc­cio come quello pro­po­sto da Eco oggi possa essere ancora adot­tato. La rispo­sta è com­plessa, ma alcuni signi­fi­ca­tivi spunti di rifles­sione su que­sta que­stione ci ven­gono offerti da Nicola Dusi nel suo recente volume Dal cinema ai media digi­tali. Logi­che del sen­si­bile tra corpi, oggetti, pas­sioni (Mime­sis, pp. 253, euro 22). 
Dusi si inter­roga su come i nume­rosi cam­bia­menti inter­ve­nuti nel sistema media­tico con­tem­po­ra­neo abbiano por­tato l’analisi semio­tica a ripen­sare i suoi tra­di­zio­nali stru­menti di ana­lisi. Ciò ha voluto dire porsi soprat­tutto il pro­blema del rap­porto tra testo audio­vi­sivo ed espe­rienza cogni­tiva, sen­so­riale e affet­tiva dello spet­ta­tore. Non a caso Dusi ha affron­tato nel suo volume l’analisi di nume­rosi casi (che appar­ten­gono a diversi ambiti media­tici: cinema, trai­ler, serie tele­vi­sive, videoarte, ecc.) e l’ha fatto con­di­vi­dendo soprat­tutto l’idea della semio­tica con­tem­po­ra­nea che la mente è «mente incar­nata» e dun­que quando spe­ri­menta l’atto di visione è stret­ta­mente legata al mondo e ai sensi del corpo umano. 

Il tempo sospeso del Grande Fratello 
Un’altra inte­res­sante rifles­sione sulla cul­tura di massa con­tem­po­ra­nea è stata svi­lup­pata da Let­te­ria G. Fas­sari, docente alla Sapienza Uni­ver­sità di Roma, sui can­di­dati al rea­lity show Grande Fra­tello, un pro­dotto esem­plare della cul­tura media­tica con­tem­po­ra­nea in quanto pie­na­mente inter­me­diale. Fas­sari ha scelto di son­dare con vari stru­menti di ricerca oltre 700 par­te­ci­panti ai pro­vini di sele­zione del Grande Fra­tello. I prin­ci­pali risul­tati del suo lavoro sono con­te­nuti nel volume Poplife. Il rea­li­ty­smo tra mime­ti­smo e chance sociale (Carocci, pp. 117, euro 13), dal quale emerge un’esplicita ana­lisi cri­tica, che però è rela­tiva, più che ai con­te­nuti del pro­gramma con­si­de­rato, alla con­di­zione di vita dei can­di­dati che aspi­rano a entrare nel pro­gramma stesso. Una con­di­zione nella quale le per­sone hanno la neces­sità di riu­scire a col­lo­carsi all’interno di un flusso infor­ma­tivo in cui lavo­rare e comu­ni­care ten­dono a coin­ci­dere. Diventa per­tanto fon­da­men­tale per esse saper comu­ni­care al meglio con il pros­simo. Anche per­ché ciò oggi non è una sem­plice richie­sta pro­ve­niente dalla società, ma un vero e pro­prio obbligo sociale impo­sto dalle reto­ri­che della crea­ti­vità e della per­for­mance. Il dovere degli indi­vi­dui di adat­tarsi a dei ritmi che ven­gono loro impo­sti dall’esterno non riguarda dun­que più sola­mente il tempo di lavoro, ma l’intera esistenza. 
In que­sta situa­zione, per i can­di­dati al Grande Fra­tello il modello del rea­lity si pre­senta come una ras­si­cu­rante via di fuga da una realtà che offre ben poche oppor­tu­nità di rea­liz­zare un pro­prio pro­getto di vita. Ovvero si pre­senta come uno «spa­zio sospeso» nel senso in cui lo inten­deva lo psi­coa­na­li­sta Donald Win­ni­cott, in quanto si tratta di un luogo che non appar­tiene né alla realtà esterna, né al mondo inte­riore del sog­getto. In esso, infatti, ci si nasconde, si sospende il giu­di­zio su di sé e si può anche pro­vare a rein­ven­tarsi. Insomma, la casa del Grande Fra­tello è vista da coloro che aspi­rano ad entrarvi anche come uno spa­zio in cui è pos­si­bile sot­trarsi al mondo della pro­du­zione e dell’utilità pro­dut­tiva e in cui, per­sino, è pos­si­bile sfer­rare un attacco «alla vit­to­ria del prin­ci­pio del lavoro in un mondo in cui il lavoro non c’è più». 
Fas­sari si domanda cosa possa suc­ce­dere qua­lora que­sto orien­ta­mento verso la fuga dalla realtà diventi per­ma­nente. Qua­lora cioè, come oggi spesso accade alle gene­ra­zioni più gio­vani, l’intera vita venga affron­tata cer­cando con­ti­nua­mente di entrare in un qual­che «spa­zio sospeso». La sua rispo­sta è influen­zata da alcune recenti rifles­sioni svi­lup­pate in ambito psi­coa­na­li­tico, per le quali un orien­ta­mento di que­sto tipo inde­bo­li­sce nell’individuo la spinta all’azione eser­ci­tata dall’immaginario e deter­mina dun­que una grave crisi della capa­cità di gene­rare forza creativa.

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