giovedì 15 ottobre 2015

La crisi del capitalismo finanziario in un dialogo

Aldo Masullo e Paolo Ricci: Tempo della vita e mercato del tempo. Dialoghi tra filosofia ed economia sul tempo: verso una critica dell’azienda capitalistica,  Franco Angeli

Risvolto
Un filosofo e un economista si confrontano sui grandi mutamenti che la contemporaneità ci pone dinnanzi. Crisi finanziaria, insostenibilità dei processi economici, globalizzazione fanno parte del proscenio sul quale i due dialoganti si muovono e si interrogano per comprendere meglio il tempo, nella vita e nell’azienda.
I dialoghi sono il frutto di un fortunato incontro tra un grande Maestro della filosofia ed un brillante economista, i quali si soffermano, confrontandosi, sui grandi mutamenti che la contemporaneità ci pone.
Crisi economica, insostenibilità dei processi produttivi, globalizzazione finanziaria fanno parte della scena sulla quale i due dialoganti si muovono e si interrogano per comprendere meglio il tempo, nella vita e nell'azienda.
Nella società dell'economia, così come alcuni studiosi amano chiamare la vita di comunità globale, si registrano più fallimenti che successi: povertà diffuse, disuguaglianze crescenti, diritti umani negati, disastri ambientali, sono segni tangibili di questo tempo, del nostro tempo. Del tempo che evapora nella vita, del tempo che scorre nell'economia.
Nei dialoghi emergono, proprio attraverso il tempo, le contraddizioni dell'azienda capitalistica e i possibili nuovi paradigmi su cui provare a rifondare l'economia.

Aldo Masullo
, professore emerito di Filosofia morale alla Università Federico II di Napoli, è tra i protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo. Teorico di una filosofia "fenomenopatica", è stato tra i più raffinati interpreti dell'idealismo tedesco e della fenomenologia e ha dedicato i suoi studi ai temi dell'intersoggettività, della temporalità, della genealogia dell'umano e dell'etica. Tra i suoi numerosi libri: La comunità come fondamento (1965), Antimetafisica del fondamento (1971), Il senso del fondamento (1967, 2008), La metafisica. Storia di un'idea (1980, 1996), Fichte: l'intersoggettività e l'originario (1986), Filosofia del soggetto e diritto del senso (1990), Il tempo e la grazia (1995), La potenza della scissione (1997), Paticità e indifferenza (2003), Filosofia morale (2005), La libertà e le occasioni (2011), Piccolo teatro filosofico (2012), Stati di nichilismo (2013).
Paolo Ricci, professore ordinario di Economia aziendale alla Università del Sannio, insegna alla Università Roma Tre; ha svolto studi prevalentemente nel campo dell'accountability pubblica, del controllo di gestione e della responsabilità sociale d'impresa. È presidente dell'Associazione nazionale GBS (Gruppo di studio per la ricerca scientifica sul Bilancio Sociale) di Milano e fa parte di diversi comitati scientifici di istituzioni ed enti di ricerca. Presidente dell'Accademia di belle arti di Napoli. Tra i suoi scritti: Piccolo manuale di patologia aziendale (1996), Introduzione all'economia aziendale (2003), Il soggetto economico nell'azienda pubblica. Chi comanda davvero nell'azienda pubblica e perché (2010), Riformite (2012), L'economia dell'azienda: paradigmi e declinazioni (2012).


Il Quotidiano del Sud Manierismo politico… (di Vera Mocella)… Vedi...
la Repubblica (ed.Napoli) Tecnologia e crisi economica… (di Laura Valente)… Vedi..

La finanza è un fantasma
Saggi. «Tempo della vita e mercato del tempo» di Aldo Masullo e Paolo Ricci: il disastro dei numeri al posto della complessità umana del mondo

Quello del capi­ta­li­smo finan­zia­rio è «un tempo immo­bile, il tempo del pre­sente, solo del pre­sente», nel quale un’ottica di breve periodo diventa fun­zio­nale a obiet­tivi di gua­da­gno imme­diato, di ren­dita cal­co­la­bile in giorni e in ore, di con­sumo dell’inessenziale. La tem­po­ra­lità del capi­tale è una tem­po­ra­lità esclu­si­va­mente quan­ti­ta­tiva che ignora le dina­mi­che reali e pro­fonde dei corpi umani indi­vi­duali e col­let­tivi. Il tempo infatti è la stessa uma­nità, è «la vita che viene avver­tita nel suo tem­po­rale viversi» e la cui «sva­lu­ta­zione è la nostra vita impo­ve­rita». Una vita che sem­bra dun­que smar­rire la com­ples­sità qua­li­ta­tiva del mondo in un puro dato nume­rico, la cui valu­ta­zione è affi­data a sog­getti oscuri e sin troppo coin­volti, i quali «ren­dono il red­dito, così deter­mi­nato, una quan­tità astratta. Que­sto fa capire anche quanto un rating o un qua­lun­que altro giu­di­zio su un’impresa siano dav­vero molto opi­na­bili, legati a un esile filo di inte­ressi non­ché di deci­sioni a volte anche assunte in maniera molto arbitraria».

Il cri­mine più radi­cale della finanza che domina la poli­tica e le rela­zioni è dun­que la fine del tempo vis­suto dei rap­porti per­so­nali, anni­chi­lito nel tempo con­ven­zio­nale di milioni di scambi vir­tuali che avven­gono nello stesso istante: «Alle attese e ai timori dei viventi che diri­gono si sosti­tui­sce il gioco senz’anima e senza tempo delle pro­ce­dure finan­zia­rie», il cui esito «è distru­zione di tempo pre­sente, di vita reale, men­tre in cam­bio si offrono fan­ta­smi di futuro».

Il più insi­dioso, per­ché inav­ver­tito e appa­ren­te­mente mode­rato, di tali fan­ta­smi è il rifor­mi­smo, «vero mito del nostro tempo; né il pro­fitto, né il capi­tale, né la ric­chezza indi­vi­duale hanno otte­nuto tanto con­senso quanto ne ha otte­nuto l’idea che il mondo e il modo di vivere vadano con­ti­nua­mente modi­fi­cati, senza sosta, senza fine».

Una pato­lo­gia del nuovo invade i corpi sociali e le sin­gole menti. Il valore di un’idea, di un pro­getto, di una pro­po­sta non risiede più nei con­te­nuti ma nel pre­sen­tarsi come nuovi rispetto all’esistente. Un nuovo, natu­ral­mente, che è del tutto ideo­lo­gico e finto poi­ché die­tro il suo affac­cen­darsi per rot­ta­mare sta sem­pre la ripe­ti­zione del pri­vi­le­gio, dell’ingiustizia, del più vec­chio dei gesti umani: il comando del più forte.
La ridu­zione della com­ples­sità del tempo alla sua sola forma pre­sente è l’espressione più chiara del dispe­rato desi­de­rio che il potente — per­sona o strut­tura che sia — nutre di fer­mare il dive­nire per instal­larsi in esso come immo­bi­lità. Tutta la fre­ne­sia degli scambi finan­ziari che avvol­gono la Terra in una rete senza più senso è l’apparenza die­tro la quale sta un essere morti già da vivi, negando la mol­te­pli­cità, il dive­nire, la mul­ti­di­re­zio­na­lità della vita e del tempo. Un arche­tipo che infi­ni­ta­mente ripete il mede­simo ciclo, in modo che nulla sfugga alla pre­ve­di­bi­lità e quindi al con­trollo delle forze ormai in gran parte imper­so­nali che vanno distrug­gendo società e per­sone in nome di un«uscita dalla crisi» e di un futuro che non arri­ve­ranno mai ma ai quali sacri­fi­care la sostanza viva del presente.

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