giovedì 22 ottobre 2015

La relazione di Jacques Bidet al convegno su Marx di Alessandria



 Prigionieri in un triangolo delle competenze 
Tempi presenti. L’egemonia del neoliberismo nella società. Anticipiamo la relazione che il filosofo francese terrà in un convegno ad Alessandria organizzato da «Critica marxista» e Fondazione Luigi Longo 

Jacques Bidet manifesto 22.10.2015, 0:15 

I grandi dibat­titi sulla società hanno sem­pre posto al cen­tro la rela­zione tra mer­cato e orga­niz­za­zione, fra que­sti due modi di coor­di­na­zione razio­nale dell’azione sociale. Marx indaga il capi­ta­li­smo in ter­mini di strut­tura, come stru­men­ta­liz­za­zione del mer­cato, della razio­na­lità mer­can­tile, avve­nuta attra­verso la mer­ci­fi­ca­zione della forza-lavoro. Ma è in ter­mini di ten­denza sto­rica di que­sta strut­tura con­cor­ren­ziale che egli giunge all’organizzazione, trat­tata a par­tire dallo svi­luppo della grande impresa. Egli inter­preta l’organizzazione come un altro tipo di razio­na­lità, oggi nelle mani dei capi­ta­li­sti, ma che finirà per sfug­gire loro e che for­nirà, quando la pro­prietà pri­vata e il mer­cato saranno abo­liti, il tes­suto stesso del socia­li­smo. È que­sto il nucleo duro del grande mito eman­ci­pa­tore del XX secolo. 
Oggi ne misu­riamo i limiti. La rifles­sione cri­tica ha del resto preso mol­te­plici forme. Per parte mia, io pro­pongo di ripren­dere, di cor­reg­gere e di allar­gare il pro­ce­di­mento di Marx a par­tire dal suo «comin­cia­mento». La società moderna si carat­te­rizza per il suo rife­ri­mento alla ragione. Ma que­sta non è che la sua meta­strut­tura, che non è posta, come pre­tesa pre­sun­ta­mente con­di­visa di libertà-eguaglianza-razionalità, che nelle con­di­zioni della strut­tura di classe, che a sua volta la presuppone. 

Appro­pria­zioni privilegiate 
La società moderna è ana­liz­za­bile dun­que nei ter­mini di una stru­men­ta­liz­za­zione della nostra ragione sociale. Que­sta si declina secondo le due media­zioni pri­ma­rie che sono il mer­cato e l’organizzazione. Le quali, in effetti, sono due modi della micro­re­la­zione inte­rin­di­vi­duale posti al di là dell’immediatezza discor­siva. La loro stru­men­ta­liz­za­zione li tra­sforma in fat­tori di classe co-costitutivi dei macro-rapporti di classe moderni. Essa si rea­lizza attra­verso un duplice pro­cesso di appro­pria­zione pri­vi­le­giata: della pro­prietà sul mer­cato e della com­pe­tenza sull’organizzazione. La classe domi­nante, o pri­vi­le­giata, com­prende così due forze sociali, i «capi­ta­li­sti» e i «dirigenti-competenti». L’altra classe, che io chiamo «fon­da­men­tale» o popo­lare, si divide in strati e fra­zioni che si distin­guono in fun­zione delle rela­zioni dei loro mem­bri con i pro­cessi del mer­cato e dell’organizzazione; impli­ca­zione, influenza, esclu­sione. La strut­tura sociale moderna è dun­que al tempo stesso bina­ria e ter­na­ria: da ana­liz­zare come rap­porto fra due classi e tre forze sociali. Il neo­li­be­ri­smo rap­pre­senta una figura par­ti­co­lare di essa. 
Riprendo i con­cetti economico-politici del Capi­tale, a par­tire dalla teo­ria del valore e del plu­sva­lore. Ma allargo e, in que­sto senso, cor­reggo il suo approc­cio. Ci sono cer­ta­mente due classi. Ma nel seno della classe domi­nante vi sono due forze sociali distinte. Ne segue che la società moderna è da leg­gere a par­tire da una figura trian­go­lare. Mi oppongo dun­que agli schemi a tre classi (con una classe inter­me­dia o con due classi domi­nanti) e all’idea di una cop­pia domi­nante che sarebbe com­po­sta dal capi­tale (la società civile) e dallo Stato. L’idea di un pri­vi­le­gio del potere-proprietà sul mer­cato, carat­te­riz­zante il capi­tale, non fa pro­blema. Ma l’idea di un altro pri­vi­le­gio, quello del potere-competenza entro l’organizzazione, richiede di essere spiegata. 


Un potere sul sociale 

La com­pe­tenza non è il sapere, che non è pro­prietà dei domi­nanti: è piut­to­sto la «com­pe­tenza social­mente rice­vuta», richie­sta per la dire­zione degli altri. Come ha scritto Michel Fou­cault, c’è un altro potere oltre a quello eco­no­mico. Non è quello di com­prare e di ven­dere, di assu­mere e di inve­stire. È quello di segnare lo spa­zio e i tempi, di defi­nire i limiti, gli iti­ne­rari, le tappe, i pro­grammi, le prove, i com­piti, i cri­teri, le norme, gli esseri nor­mali e devianti, i fini per­ti­nenti e i mezzi ade­guati per edu­care, curare, giu­di­care, inclu­dere ed esclu­dere. Il socio­logo Pierre Bour­dieu ha mostrato come que­sto potere si eser­citi spe­ci­fi­ca­mente e si ripro­duca sotto forma di mono­po­lio, come esso cioè formi un blocco sociale, a dispetto della sua interna diversità. 
Asso­cio que­sto «potere com­pe­tente» al con­cetto di «orga­niz­za­zione». Esso si eser­cita, in effetti, nella pro­du­zione, nell’amministrazione, nella sanità, secondo l’altro modo di «coor­di­na­zione razio­nale sulla scala sociale». Al di là della coor­di­na­zione imme­dia­ta­mente discor­siva, coo­pe­ra­tiva, asso­cia­tiva, non ci sono che due media­zioni con­ce­pi­bili, il mer­cato e l’organizzazione, l’uno sot­to­messo alla pro­prietà, l’altro alla com­pe­tenza, con­cre­ta­mente intrec­ciati peral­tro in modi mol­te­plici. Que­sti sono i due poli del potere per i quali con­flig­gono le mino­ranze pri­vi­le­giate e il popolo senza privilegi. 
Le due forze domi­nanti sono tra loro in un rap­porto insieme di attra­zione e di oppo­si­zione. Cia­scuna vuole la supre­ma­zia. Una teo­ria dell’egemonia non ha dun­que per oggetto la rela­zione tra una classe domi­nante e una classe domi­nata, ma la rela­zione all’interno di que­sto trit­tico ago­ni­stico.
L’egemonia che è qui in que­stione com­porta due dimen­sioni, sem­pre interrelate. 
Secondo la dimen­sione strut­tu­rale, un «regime di ege­mo­nia» defi­ni­sce un tipo di rap­porto fra le sue tre forze sociali pri­ma­rie. Le grandi muta­zioni tec­no­lo­gi­che – dalla mac­china a vapore a quelle infor­ma­ti­che – ride­fi­ni­scono il campo di azione poten­ziale di cia­scuno dei due fat­tori di classe, mer­cato e orga­niz­za­zione, oltre che le con­di­zioni della lotta per il loro con­trollo e padro­neg­gia­mento. Le classi non sono infatti dei gruppi sociali. Sono dei cli­va­ges (dif­fe­renze) strut­tu­rali che si ripro­du­cono, defi­nendo gli spazi entro i quali com­pa­iono dei gruppi più o meno effi­meri come il «grande padro­nato» o la «classe ope­raia (indu­striale)». In que­sto con­te­sto, non sono le classi, ma dei gruppi così defi­niti, che svi­lup­pano le «stra­te­gie di egemonia». 
Que­sta ege­mo­nia strut­tu­rale è sem­pre in rela­zione con una ege­mo­nia siste­mica, che rin­via alla con­fi­gu­ra­zione del Sistema-mondo, in potenza colo­niale, satel­lite, relai, Stato-tampone. Qui non c’è «pre­sup­po­sto meta­strut­tu­rale» di libertà-eguaglianza-razionalità, ma uno «stato di guerra» che non cessa in tempo di pace. Il siste­mico si mani­fe­sta costan­te­mente nello strutturale. 

Pro­fonde differenze 
A par­tire da que­ste pre­messe, la con­fi­gu­ra­zione moderna dell’egemonia com­porta tre ter­mini, desi­gnati come «Capi­tale», «Élite» e «Popolo».
«Capi­tale» desi­gna i capi­ta­li­sti, gli azio­ni­sti e con essi il corpo degli agenti la cui fun­zione è l’accumulazione di plu­sva­lore, che si rico­no­scono per i bene­fici che ne trag­gono. «Élite» desi­gna l’élite auto­pro­mossa di potere-sapere: i «competenti-dirigenti», coloro i quali hanno «rice­vuto com­pe­tenza» per diri­gere, e il cui lavoro è, nello stesso tempo ed essen­zial­mente, l’esercizio di un potere. «Popolo» desi­gna il popolo, la classe popo­lare, o il pro­le­ta­riato non nel senso dei «senza-parte», ma dei «senza-privilegio»: la loro pro­prietà non si accu­mula, il loro sapere non con­fe­ri­sce loro potere. Esso si ripar­ti­sce in diverse fra­zioni, secondo che pro­do­mini il fat­tore orga­niz­za­zione (sala­riati del pub­blico) o il fat­tore mer­cato (gli indi­pen­denti), o ancora una certo equi­li­brio tra que­sti due fat­tori (sala­riati del pri­vato). Ma esso si divide soprat­tutto in strati gerar­chiz­zati. Per­ché l’assenza di pri­vi­legi non signi­fica l’assenza di influenza su que­sti «fat­tori di classe»: le lotte popo­lari, in effetti, si tra­du­cono in acqui­si­zioni sociali e poli­ti­che, in ter­mini di sala­rio, di diritto. Ma non tutti vi hanno egual­mente accesso: secondo il sesso, la pro­fes­sione, la gene­ra­zione, l’origine locale o nazio­nale (inter­fe­renza siste­mica), ci si trova in posi­zione ine­guale riguardo all’impiego e ai diritti, fino all’«esclusione» – esclu­sione da tutte que­ste acqui­si­zioni. Que­sto instaura una pro­fondo cli­vage. Ma gli esclusi si tro­vano presi nel mede­simo rap­porto duale di classe: negli stessi mec­ca­ni­smi del mer­cato e nelle norme dell’organizzazione, non «valendo» niente rispetto ad essi. L’esclusione degli uni non ha per con­tro­par­tita l’inclusione degli altri (nell’ordine sociale vigente). Essa inde­bo­li­sce la posi­zione di tutti. 
Per chia­rire le cose, ho pro­po­sto di modi­fi­care la ter­mi­no­lo­gia con­sueta: il libe­ra­li­smo è la logica dei capi­ta­li­sti. Il socia­li­smo quella dei dirigenti-competenti. Il comu­ni­smo, quella del popolo, ossia l’abolizione del rap­porto di classe. 
Essendo l’egemonia un rap­porto a tre ter­mini — Capi­tale, Elite, Popolo -, il feno­meno dell’alleanza fra due ele­menti con­tro il terzo vi gioca un ruolo cen­trale. Alleanza non signi­fica però assenza di anta­go­ni­smo. Si può ripren­dere a que­sto pro­po­sito la distin­zione clas­sica fra con­trad­di­zione prin­ci­pale e con­trad­di­zione secon­da­ria, que­sta ultima essendo più o meno neu­tra­liz­za­bile sotto la forma di un’alleanza. 

Inven­zione di un ordine naturale 
Alla svolta degli anni Ottanta del secolo scorso, il regime neo­li­be­rale batte in brec­cia il regime dello Stato sociale nazio­nale. I capi­ta­li­sti pre­val­gono sull’«Élite», che si separa dal popolo. Riap­pare così la con­fi­gu­ra­zione strut­tu­rale che era pro­pria del periodo «bor­ghese», dove la con­trad­di­zione prin­ci­pale è quella che oppone «Capi­tale» ed «Élite» a «Popolo», men­tre la con­trad­di­zione secon­da­ria è quella tra «Capi­tale» ed «Élite». In che cosa con­si­ste dun­que la novità di que­sto regime? 
Non si tratta di una nuova dot­trina. Il libe­ra­li­smo, del resto, non è una dot­trina. Si tratta di una pre­tesa. E la pre­tesa neo­li­be­ri­sta non con­tiene nulla di nuovo. È la stessa del libe­ra­li­smo: quella dei «capi­ta­li­sti», che giu­sti­fica le loro pra­ti­che e le loro stra­te­gie. Essa ha tro­vato da secoli la sua espres­sione clas­sica, pura e per­fetta. Con John Locke, il libe­ra­li­smo è dato imme­dia­ta­mente in forma estrema nella tesi di un «ordine natu­rale», quello della pro­prietà pri­vata e del mer­cato capi­ta­li­stico, che il colono ha il diritto di imporre con­tro ogni altro occu­pante, su ogni terra adatta a essere lavo­rata in vista di un pro­fitto. Una logica sociale che nasce già estre­mi­sta, o, se si vuole, intrin­se­ca­mente «neo­li­be­ri­sta» (un rin­vio d’obbligo è ai lavori di Ellen Meik­sins Wood e Dome­nico Losurdo). 
In che cosa con­si­ste dun­que la novità? Sta in un cam­bia­mento dei rap­porti di forza all’interno della strut­tura. Il «libe­ra­li­smo» clas­sico aveva per cor­re­lato l’imperialismo, la schia­vitù nel sistema-mondo e un domi­nio eco­no­mico e poli­tico senza freni sul lavoro sala­riato. Tut­ta­via, ha potuto pre­sen­tarsi come mode­rato. Se, in effetti, in qual­che modo lo era, è per­ché la sua logica estre­mi­sta era limi­tata e con­te­nuta da forze strut­tu­rali con­tra­rie. Da un lato, infatti, l’altro polo della classe domi­nante, quello delle «Élite» dei competenti-dirigenti cono­sceva, in ragione del qua­dro nazional-statale del suo emer­gere, una ascesa paral­lela, in rap­porti di con­ver­genza o di anta­go­ni­smo varia­bili a seconda del luogo e del tempo. Inol­tre, il «Popolo» era già onni­pre­sente, e si mani­fe­stava in rivolte e rivo­lu­zioni ricor­renti. Il neo­li­be­ri­smo non sarà nient’altro che la rea­liz­za­zione del vec­chio sogno chia­mato «libe­ra­li­smo»: la dit­ta­tura del capitalismo. 


INCONTRI

«I ritorni di Marx» ad Alessandria 
Ini­zia oggi a Ales­san­dria il con­ve­gno inter­na­zio­nale «I ritorni di Marx» orga­niz­zato dalla Fon­da­zione Luigi Longo e dalla rivi­sta «Cri­tica Mar­xi­sta». I lavori dell’incontro ini­zie­ranno alle 16.30 (Hotel Dia­mante, Viale della Val­letta 180). Dopo i saluti del pre­si­dente della Fon­da­zione Luigi Longo, la parola pas­serà ad Aldo Tor­to­rella: Mario Pianta par­lerà di «Come capire la crisi. Accu­mu­la­zione ed ege­mo­nia nell’economia mondo». Anto­nella Palumbo pre­sen­terà una rela­zione su «marx eco­no­mi­sta clas­sico? Gare­gnani e la legge mar­xiana del valore». Per venerdì sono pre­vi­ste le rela­zioni di Ste­fano Petruc­ciani, Vla­di­miro Giac­ché, Emi­liano Bran­cac­cio, Andrè Tosel, Jac­ques Bidet (del quale pub­bli­chiamo stralci della rela­zione). Sabato, infine, rela­zio­nid i Roberto Finelli, Lia Ciga­rini e Guido Liguori.

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