lunedì 26 ottobre 2015

L'aggressione coloniale italiana all'Etiopia e il regime dia partheid nel nuovo libro di Nicola Labanca

Copertina La guerra d'EtiopiaNicola Labanca: La guerra d'Etiopia 1935 1941, il Mulino pp. 271 E 20

Risvolto
Il 3 ottobre 1935 il regime fascista attaccò l’Etiopia. Dopo sette mesi di combattimenti, nell’isolamento internazionale, nel maggio 1936 truppe italiane entravano in Addis Abeba e Mussolini dichiarava costituito l’Impero, l’Africa Orientale Italiana. Ma la conquista di fatto non fu mai portata a termine: dal 1936 al 1940 si susseguirono continue operazioni militari di «pacificazione coloniale». Poi il Corno d’Africa divenne uno dei teatri della seconda guerra mondiale e nel 1941 fu il primo territorio perso da un regime dell’Asse. In fondo, la guerra d’Etiopia non era finita nel maggio 1936: finì con la sconfitta italiana del 1941. Nel frattempo però all’AOI, alla nuova colonia italiana del fascismo, erano state imposte una legislazione ed una normazione razziste.

Che silenzio assordante sull’Italia colonialista
Lo storico Nicola Labanca ricostruisce la nostra politica in Abissinia concentrandosi sulla vergogna delle leggi razziste: una vera e propria apartheid
di Simonetta Fiori Repubblica 25.10.15
Nell’autobiografia delle vergogne nazionali è rimasto sullo sfondo, come una fotografia imbarazzante. Italiani che non sposano le nere. Di più: non frequentano gli stessi locali e gli stessi luoghi di lavoro. E ai “meticci”, figli della colpa, impediscono ogni diritto: di essere riconosciuti dal genitore cittadino o di andare a scuola con i colonizzatori bianchi. Quello impiantato negli anni Trenta in Africa Orientale fu l’impero più razzista, più sistematicamente vessatorio e divisivo, tra quasi tutti i regimi coloniali delle potenze europee. È la tesi sostenuta da Nicola Labanca, studioso dell’espansione coloniale, nel suo nuovo libro che documenta la costruzione in Etiopia, Eritrea e Somalia di un razzismo legalizzato in anticipo di un anno e mezzo sulle leggi antisemite adottate nella penisola. Un altro colpo inferto al mito degli “italiani brava gente”.
Il saggio di Labanca ha anche il merito di sottrarre la guerra d’Etiopia alla veste un po’ stretta di impresa coloniale, collocandola all’interno di un gioco di interessi internazionali che sfoceranno nella seconda guerra mondiale. E guarda a quella vicenda anche con gli occhi di uomini e donne africani vessati dalle nostre pretese imperiali: ancora troppo poco sappiamo degli amministratori coloniali costretti a improvvisare la gestione di un impero sproporzionatamente grande, tra buona volontà, inesperienza e talvolta malafede. Una rimozione testimoniata anche dal silenzio che ha avvolto in queste settimane l’ottantesimo anniversario della guerra d’Etiopia, in un paese che ha fatto degli anniversari il nuovo totem memoriale. Certo è difficile essere fieri della legislazione che il 19 aprile del 1937 diede avvio alla istituzionalizzazione del razzismo, con il divieto di relazioni matrimoniali con gli indigeni. Una norma che allora non turbò le coscienze, in linea con “la superiorità civile e morale” dell’uomo bianco sull’uomo nero. La norma del 1937 segnò il principio di un nuovo canone razzista che secondo Labanca ha poche analogie con il resto del mondo coloniale. Non che gli altri imperi si distinguessero per liberalità e inclusione, essendo la separazione razziale pratica quotidiana. Ma ciò che distinse gli italiani fu la traduzione in norma codificata di quella che altrove rimase una consuetudine. E in una classificazione generale di razzismo coloniale che va dal silenzio omertoso di tanti sistemi giuridici alle gerarchie razziali degli spagnoli in America Latina (fondate su un’inventata limpieza de sangre ), l’Italia si mostra molto più vicina alla «brutale semplificazione binaria del sistema sudafricano » (nel dopoguerra si sarebbe chiamato apartheid). Solo nel 1947 ci saremmo liberati di quelle leggi ingombranti. A condizione però di non parlarne più. 


Apartheid in Etiopia sotto MussoliniCorriere 30.10.15Siamo abituati a considerare il maggio 1936, con la presa di Addis Abeba e la proclamazione dell’impero da parte di Mussolini, come il momento conclusivo della guerra d’Etiopia. Ma la lotta proseguì: il 19 febbraio 1937 il viceré italiano Rodolfo Graziani venne gravemente ferito in un attentato e la rappresaglia fu tremenda. Poi infuriò a lungo una guerriglia spietata. Intanto i britannici, con il crescere della tensione internazionale, cominciavano a progettare l’attacco all’Africa orientale italiana che avrebbero attuato nel 1941, ponendo fine all’impero del Duce. Per questo il libro di Nicola Labanca La guerra d’Etiopia (pagine 271, e 20) tratta l’intero periodo 1935-41, per inserire l’invasione, di cui ricorre in queste settimane l’ottantesimo anniversario, nel quadro più ampio delle premesse da cui scaturì il secondo conflitto mondiale. Molto importante la parte che l’autore dedica alla legislazione razziale introdotta dal fascismo nel Corno d’Africa sin dall’aprile 1937, che si allargò in seguito fino a prevedere una rigida segregazione tra bianchi e neri, una sorta di apartheid che non aveva paragoni nei territori sotto il dominio di altre potenze coloniali. 

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