mercoledì 14 ottobre 2015

Racconti di viaggi

Christoph Ransmayr: Atlante di un uomo irrequieto, Feltrinelli, pagg. 368, euro 20

Risvolto

Ho visto…”: così iniziano tutti i settanta episodi di questa narrazione; lo sguardo partecipe e al tempo stesso distaccato di Ransmayr guida il lettore attraverso continenti, epoche, paesaggi del nostro pianeta vicini e lontanissimi, dai vulcani di Giava ai ghiacci del Polo Nord, dalle rapide del Mekong alla corrente del Danubio, dai passi dell’Himalaya all’isola degli ammutinati del Bounty. La concatenazione dei racconti crea una nuova geografia mentale del mondo, che in un susseguirsi di immagini vertiginose fotografa la vita, la morte e il destino dell’uomo sotto tutte le latitudini. 

La potenza poetica della lingua, l’esattezza, l’attenzione estrema al dettaglio, lo sguardo imperturbabile fanno di questo libro un gioiello della letteratura e un imperdibile invito al viaggio.

Uno dei più grandi autori in lingua tedesca è anche un grande viaggiatore e con Atlante di un uomo irrequieto ci regala un meraviglioso giro del mondo in settanta racconti brevi.


Le inquiete mappe dell’umanità 
Carte geografiche e immagini Sumatra e il Polo Nord Cicale, albatri e balene. Il viaggio nell’infinita varietà del mondo di Christoph Ransmayr

MELANIA MAZZUCCO Repubblica 14 10 2015

Non manco mai l’appuntamento con Christoph Ransmayr. Attendo con impazienza i libri di questo fenomenale scrittore austriaco — da molti ormai, finalmente, considerato il più grande contemporaneo di lingua tedesca. Essi appaiono a intervalli lunghi e irregolari. Saluto perciò con gioia l’uscita di “Atlante di un uomo irrequieto”, nella elegante traduzione di Claudio Groff (cui va il merito di restituirci la desueta parola “spruzzaglia” e la felice sfumatura dell’aggettivo del titolo, che nell’originale rimandava piuttosto all’ansietà e all’angoscia). L’irrequietezza è infatti la cifra stilistica di Ransmayr, che, per ricordare solo i volumi pubblicati anche in Italia, ha svariato dal romanzo d’esplorazione polare (“Gli orrori dei ghiacci e delle tenebre”, 1984) alla riscrittura delle “Metamorfosi” di Ovidio (“Il mondo estremo”,
1988), dal romanzo distopico ( Il morbo Kitahara , 1995) al poema ( La montagna volante , 2006).
L’atlante è una raccolta sistematica di carte geografiche, di tavole, o figure: e il libro è esattamente questo, una mappa del mondo e dei suoi abitanti in 70 tappe, che si susseguono secondo un ordine misterioso e arcano, ma non casuale. Ognuna è una rivelazione e un’epifania. Ransmayr cammina nello spazio come nel tempo: la cronologia abbraccia cinquant’anni, la geografia cinque continenti.
Come un mantra, una litania potenzialmente infinita, tutti i racconti cominciano nello stesso modo: “Ho visto”. La scrittura scaturisce da un’immagine — una figura umana, un oggetto assurdo, minaccioso o incongruo, il gesto di un animale. Come se manovrasse l’obiettivo di una macchina fotografica, un binocolo o un telescopio (strumenti che ricorrono spesso tra le mani dell’autore), Ransmayr la mette progressivamente a fuoco, collocandola nel paesaggio circostante. In esso si ritaglia il ruolo dell’osservatore: colui che guarda, vede, nota. Ma soprattutto ascolta ognuno — sia esso persona, bestia, acqua, stella o pietra — e sa perciò restituire voce al “suono primordiale” dell’universo. Ne risulta un viaggio affascinante nella infinita varietà del mondo, nella bellezza incontaminata o devastata della natura, nella resistenza, nella fantasia, nella irragionevole speranza degli esseri umani, degli animali, degli dei.
L’Atlante è così una straordinaria galleria di persone incontrate per via — eremiti, fotografi, cacciatori di canti degli uccelli, un cieco di Sumatra cantante di karaoke tra le mangrovie, un giocatore di golf al Polo Nord, un cileno venditore di biglietti della lotteria, il custode del cimitero ebraico abbandonato di Trebíc, lo scrivano invisibile del Kham… Ma anche di animali e piante: anaconda, squali, pteropi, varani, le larve luminose della Nuova Zelanda che simulano il cielo stellato, le cicale di Yokohama, i salmoni dell’Ontario, l’albatro che può dormire in volo, l’araucaria brasiliana capace di assaltare il cielo e vivere quasi in eterno, il cane psicopompo di Pinara… Gli episodi originati da un ricordo d’infanzia nell’alta Austria non si differenziano dagli altri. Identico lo sguardo, limpido e inesorabile.
“Ho visto”, ripete sempre. Ma nell’avvertenza ci segnala che uno dei 70 racconti nasce invece da un viaggio di secondo grado: il racconto di sua moglie. Ciò perché, come svela anche in Seconda nascita , ci si può spingere nell’ignoto anche senza muoversi. Quando scrisse il suo primo romanzo, nel paesaggio artico Ransmayr c’era stato solo grazie ai libri degli altri. Allo stesso modo, il lettore dell’ Atlante sarà stato a Giava e Rapa Nui. Ransmayr dice pochissimo di sé (la stanchezza fisica, la fatica del viaggio, qualche dato biografico). In realtà l’Atlante è il suo libro più personale, un autoritratto che denuda il movente della sua scrittura, e forse di ogni scrittura, poiché in fondo, come dice a se stesso alle Isole Mauritius, «l’afflizione per tutte le cose perdute» è «solo un’ombra della salvezza». Rivela la sua visione del mondo, l’infinita curiosità e pietas verso il creato; l’interesse per i riti, le processioni e le cerimonie di ogni culto e religione (mai aridamente etnografico, sempre animato dalle domande eterne sul rapporto dell’uomo con la vita, il dolore e la morte); l’ossessione per la follia, i manicomi e i cimiteri; la predilezione per gli uccelli e le creature volanti, per l’astronomia (il cielo, le costellazioni, le galassie), e per i segnavia: i mucchi di pietra o le bandiere tibetane, i “cavalli del vento”.
Tutto fluisce in una prosa cristallina, insieme scientifica e poetica, il cui nitore quasi calligrafico è franto da frasi lapidarie e sentenze filosofiche di profondità abissale, come lo sguardo della balena in cui si imbatte Ransmayr durante un’immersione. Essa potrebbe distruggerlo con la sua immensità, e invece lo ignora e lo grazia.
Anche Ransmayr ignora il suo lettore. È abituato a camminare da solo — anche quando si avventura nella neve del Nepal con un amico, prosegue col suo passo: ciascuno regola il ritmo secondo il proprio respiro e le proprie forze. Per questo è il migliore compagno di viaggio che ci si possa augurare. Sui sentieri come nelle pagine. Ti porterà in cima alle montagne sacre di tutto il mondo, sulle coste delle isole più remote, e fino a Yamal — la fine del mondo: e dovunque andrà, tu gli camminerai dietro, senza mai perderlo di vista, tenendolo come punto di riferimento. In fondo, leggere è come andare in pellegrinaggio: «Per il resto della vita ciascuno conservava qualcosa che veniva conservato anche da altri, e portava così attraverso il suo tempo qualcosa di tutti gli altri ».
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1 commento:

Unknown ha detto...

Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne legge solo una pagina..................Viaggi in Nepal & Viaggi in Tibet