mercoledì 18 novembre 2015

Adonis: violenza e Islam


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Adonis: Violenza e Islam, Guanda

Risvolto
Conosciamo tutti la follia di certi leader arabi, responsabili dei massacri dei loro popoli, e conosciamo il loro odio nei confronti delle libertà pubbliche. Ma oggi lo Stato islamico, invocando la legge della sharῑ‘a, ostenta una barbarie che supera ogni immaginazione. Il suo compito sarebbe quello di ripulire la terra dell’islam da tutto ciò che minaccia la sua purezza. E in nome di questa purezza si commettono i crimini peggiori: uccisioni, stupri, massacri, saccheggi, vendita di donne, distruzione di siti archeologici e storici… La condanna dell’alterità va di pari passo con la desolazione e la rovina. «È la rovina» scrive Adonis «che caratterizza lo stato attuale del mondo arabo, un mondo in cui si politicizza la religione e si sacralizza la politica.»

Oggi è della massima urgenza riflettere sul senso di questa rovina. A partire da qui il nuovo, scottante libro di Adonis affronta il tema della violenza come aspetto costitutivo dell’islam e, passando al tempo presente, mette a fuoco i temi più drammaticamente attuali: il fallimento della Primavera araba, gli attentati terroristici, la nascita dell’Isis.           

“Riempire le piazze europee e arabe per superare le nostre paure” 


Adonis. Per il poeta siriano, duramente criticato per il sostegno ad Assad, è il terrorismo il vero male del secolo: “L’Occidente adesso deve estirparlo riparando agli errori compiuti in Medio Oriente”
GIULIANO FOSCHINI
PARIGI Nel giardino di un palazzone a La Defense una signora con il burqa e una ragazza con almeno cinque piercing sul volto si aiutano passandosi le buste della spesa. Al terzo piano del condominio Ali Ahmad Said, in arte Adonis — il grande poeta siriano che le cronache ogni anno raccontano a un passo dal Nobel, per poi spiegare che il premio non arriva per colpa delle sue parole in difesa del regime di Assad — riflette su cosa è successo a Parigi.


Perché è accaduto?

«No c’è purtroppo nulla che mi abbia sorpreso. Chi conosce bene la mentalità dei gruppi jihadisti non può esserlo. Perché l’Europa scopre oggi, piangendo, il terrorismo nel suo aspetto più spaventoso. Ma purtroppo in Medio Oriente sono anni che accade. E se oggi sta avvenendo anche qui, nel mondo occidentale che si sentiva al sicuro, una parte di responsabilità è anche dell’Europa che ha fatto l’errore di far cadere le dittature attraverso il terrorismo».
Sta dicendo forse che la colpa è della Francia?
«Non di un paese. Né tantomeno dei suoi cittadini. Ma la politica occidentale ha sicuramente una responsabilità importante. Sappiamo che gli americani hanno deciso di appoggiare e finanziare gruppi terroristici perché servivano loro per rovesciare alcuni regimi arabi. Ne hanno scelti alcuni, penso alla Siria, piuttosto che altri, come l’Arabia Saudita, con i quali invece continuano a fare affari. Nonostante siano regimi tirannici. Ora, dopo che per cinque anni abbiamo lasciato fare al terrorismo in Siria facesse tutto ciò che voleva, l’Europa ha cominciato a capire che il terrorismo, per sua natura, non può essere limitato a un paese. È diventato internazionale. Spero a questo punto non sia troppo tardi. Ma comunque bisogna alzare tutte le barriere possibili per evitare che dilaghi. E l’unico a poterlo fare è l’Occidente. È necessario vedere il terrorismo come il male del secolo, tutto il terrorismo. E fare in modo che gli interessi economici non nascondano questa verità».
Intanto in Europa si stanno riaccendendo i focolai di razzismo anti-arabo.
«Purtroppo il razzismo già esiste. Può diventare più forte, ma le radici già ci sono. Capisco però che su alcuni temi, come per esempio quello molto delicato delle frontiere, è necessario fare delle scelte. Io, personalmente, vorrei cancellare tutte le frontiere del mondo, mi piacerebbe poter andare da Roma a Beirut senza trovare alcun ostacolo. Ma io sono soltanto un poeta».
Anche nel caso dell’attacco di Parigi gran parte degli attentatori erano europei di ritorno dalla Siria. Come spiega il fenomeno dei foreign fighters?
«È un fenomeno di distruzione che non riguarda soltanto gli europei, ma anche gli americani. Penso che la religione abbia una responsabilità limitata. Bisogna piuttosto indagare le ragioni economiche, d’educazione. Bisogna valutare l’aspetto psicologico di questa generazione, l’aspetto socio-economico. Sono disoccupati, spesso vivono in ghetti, in condizioni ben diverse rispetto ai loro coetanei, ai loro compagni di scuola. Non hanno nulla da perdere. Ecco perché ritengo che a spingerli a scelte così radicali sia più la disperazione che la religione. Però non bisogna sottovalutare l’aspetto che chi muore per l’-I-slam otterrà un premio in paradiso. Se si perde la terra, resta soltanto il cielo. Bisogna fare in modo che queste persone non perdano la terra».
Le responsabilità dell’Occidente, dal suo punto di vista, sono chiare. Ma non crede che, dopo i fatti di Parigi ci sia bisogno di una risposta dell’Islam moderato?
«Il problema non è l’Islam. Il mio libro Violenza e Islam (in uscita il 3 dicembre per Guanda, ndr) cerca di spiegare come la struttura del monoteismo islamico sia essenzialmente violenta, come del resto lo sono le altre religioni monoteiste, anche il cristianesimo. Ma una religione non può essere o non essere moderata. Il discorso deve essere spostato su un altro piano: esistono musulmani moderati e musulmani estremisti a secondo della loro lettura dei testi ma anche dei loro interessi ».
E allora che risposta devono dare i musulmani moderati?


«Io sarò ai funerali di quei ragazzi e quelle ragazze morte. Non ho paura. E penso sia importante manifestarlo. Molti non lo faranno perché hanno paura di essere uccisi. Io penso che bisogna essere coraggiosi e dire la verità, altrimenti si tradisce la nostra natura. L’essere umano è apertura verso l’altro e io, in quanto arabo, posso esistere soltanto attraverso l’altro. Per vincere la paura, in Europa come nei paesi arabi, è importante riempire le piazze di verità. Le piazze di tutto il mondo».




Tutte le guerre «arabo-arabe»
In un libro-intervista in uscita da Guanda il poeta siriano sottolinea la continuità della violenza nella storia musulmana fin dalla nascita del primo califfato
Domenicale 22 11 2015
Houria Abdelouahed: Si parla sempre più spesso di radicalizzazione.
Adonis: Non si può comprendere questo fenomeno se non si fa lo sforzo di ripensare la nascita dell’islam. La violenza è intrinsecamente legata alla nascita dell’islam, che sorge appunto come potere. Questa violenza ha accompagnato la fondazione del primo califfato e attinge a certi versetti coranici e ai primi commenti al Testo. 
H: L’Isis ci riporta a un’epoca in cui la gente o si convertiva all’islam o moriva.
A: Questa violenza è stata istituzionalizzata, ormai fa parte della forma statuale. Si aggiunga che i musulmani hanno agito fin dall’inizio da conquistatori. Il secolo che seguì alla morte di Maometto fu molto sanguinoso e la guerra arabo-araba, o la guerra musulmano-musulmana, non è mai finita. Basta leggere le opere sulla storia degli arabi.
H: Ma perché l’islam ha resistito al cambiamento?
A: Non abbiamo tenuto conto, o non abbastanza, della natura umana: il potere, il denaro e la violenza. L’islam ha risvegliato nell’essere umano l’istinto del possesso.
H: Vale a dire: aggiungere ai tentativi di risposta la dimensione psicologica e parlare del pulsionale. Il testo fondatore e i primi testi dei commentatori hanno permesso al maschio di soddisfare pienamente le proprie pulsioni, in particolare quella di possesso e quella sessuale. L’idea del paradiso come luogo di soddisfazione assoluta dove la nozione di mancanza non esiste è indice di una fantasia o di un rifiuto della castrazione. La fondazione ha colto l’essenziale nella natura della pulsione e della fantasia. Si può parlare di una malattia dell’islam, come ha fatto Abdelwahab Meddeb?
A: In La malattia dell’islam, Meddeb parla anche di un islam bello e vero.
H: Ma all’interno dell’universo musulmano ci sono la mistica, la filosofia, la letteratura...
A: Questi movimenti intellettuali non appartengono all’islam in quanto stato o istituzione. I mistici e i filosofi hanno usato l’islam come un velo o come un mezzo per sfuggire ai processi e alle condanne. Dal testo coranico non emerge alcuna filosofia.
H: Certo, la filosofia viene dalla Grecia e la mistica ha attinto a diverse fonti: il platonismo, il neoplatonismo, il cristianesimo, la lingua... Ma coloro che hanno forgiato questo pensiero vivevano all’interno della società musulmana.
A: I mistici dell’islam citavano il Testo per giustificare le loro interpretazioni, ma leggendo le loro opere ci rendiamo conto di quanto siano distanti dal testo coranico. Ibn ‘Arab? , per esempio, ha forgiato un sistema di pensiero che rompe radicalmente con la concezione religiosa e musulmana dell’uomo e dell’universo.
H: Ibn ‘Arab? ¯era un grande filologo. Il suo interesse non era rivolto ai precetti, ma a ciò che la lingua nasconde nei suoi nuclei semantici. Era, come te, un amante della lingua. Il suo pensiero era imperniato su ciò che la lingua può esprimere e sulle realtà che non può dire.
A: Era un poeta e non aveva alcun rapporto con la dottrina, né col dogma, né col pensiero religioso. I suoi scritti, come le parole di al-Hall? j, non avevano niente a che fare con il pensiero ortodosso e con l’insegnamento religioso. Era una strategia e una forma di autodifesa. In fondo, è quello che facciamo anche noi: cerchiamo un islam vero e grande per proteggerci dalla violenza. Si può persino dire che Ibn ‘Arab? ¯ ha liberato la lingua dall’islam. I pensatori appartenenti alla società araba erano obbligati a indossare una maschera chiamata «islam» al solo scopo di aggirare l’ordine di uccidere qualunque musulmano abbandonasse la propria religione. Quelli che non l’hanno fatto hanno subito, come al-Hall? j, persecuzioni e condanne a morte, per non parlare della distruzione delle opere. Niffar? , per esempio, ha scritto un libro che ha dovuto aspettare mille anni prima di essere scoperto. Ancora oggi, pochi lo conoscono.
H: Anche quando un libro viene pubblicato, il suo autore resta sconosciuto. In Egitto una fatw? ¯ si è opposta alla riedizione dei Fut? h? t al-makkiyya (Le rivelazioni meccane) di Ibn ‘Arab? , pubblicati per la prima volta dall’emiro ‘Abd el-Kader. Ciò detto, penso che Averroè, Ab? ¯Bakr al-Raz? , Ibn al-Rawand? , Niffar? ... facciano parte della società araba, in quanto dissidenti.
A: La mistica e la filosofia non fanno parte del pensiero islamico, che è composto solo di fiqh (giurisprudenza) e shar‘ (Legge).
H: Visto che abbiamo parlato di al-Hall? j, mi piacerebbe ricordare queste parole meravigliose: quando Satana si rifiuta di prostrarsi davanti ad Adamo, dicendo che non può cambiare l’oggetto del suo amore, Dio gli dice: «Ti torturerò in eterno», e Satana risponde: «Non mi guarderai?», «Sì» dice Dio. «Allora il tuo sguardo mi innalzerà al di sopra del supplizio. Fa’ di me ciò che vuoi». Al-Hall? j sarà l’anima dannata per amore. E questo scambio fra il divino e l’innamorato stimola un’intera riflessione sulla lingua del mistico, sul segreto, sull’amore, sulla trasgressione e la femminilità.
A: Ci rendiamo conto che la femminilità, come il femminino, travalica la donna e costituisce una posizione. Anche la divinità rappresenta uno stato e una posizione. La femminilità è l’universo stesso. Non è questo, però, l’immaginario dell’islam ufficiale. La mistica ha detto l’amore del femminile e della donna. Ha messo sottosopra il pensiero sulla questione dell’alterità e della soggettività. Invece, nel Testo non c’è alcuna soggettività.
H: Intervenendo a una trasmissione televisiva, hai detto che il dialogo fra Dio e Satana era molto democratico. Erano in disaccordo, ma si parlavano. Dio avrebbe potuto annientarlo seduta stante, ma ha lasciato che dicesse la sua.
A: Oggi non abbiamo neanche più questa possibilità. I musulmani non rispettano nemmeno il loro Testo e il dialogo non è più ammesso. Il credente pensa di detenere la verità assoluta. Perciò, secondo lui, ogni altra credenza è da rifiutare. Questa forma di religiosità ha trasformato la politica islamica in una techne il cui fine ultimo è il potere e la ricerca dei modi per conservarlo. Tutta la storia degli arabi lo conferma. La loro è una cultura di potere. Oggi, da un punto di vista politico ed economico, gli arabi hanno la possibilità di comprarsi il mondo grazie al gas e al petrolio. Tuttavia, non hanno né Averroè, né Ibn Khald? n, né al-Ma‘arr? .

Adonis Islam violento è la sua natura
“Io non mi oppongo alle religioni individuali, l’uomo ne ha bisogno, mi oppongo alle religioni istituzionalizzate, imposte a un’intera società” “L’Isis sarà annientato, ne sono sicuro”intervista di Elisabetta Rosaspina Corriere 30.11.15
Parigi Meglio forse, in questo caso, cominciare dalla fine: «L’Isis sarà annientato, ne sono sicuro» afferma di buon umore Adonis, nome d’arte di uno dei maggiori poeti siriani viventi, Ali Ahmad Sa’id, 85 anni, mentre congeda al telefono un giornalista portoghese. Il suo ultimo saggio, un colloquio con Houria Abdelouahed su Violenza e Islam, che in Italia uscirà il 3 dicembre per i tipi di Guanda, è tra i più venduti in Francia, dopo gli attentati di due settimane fa. Nel suo appartamento straripante di libri e carte, a La Défense, il quartiere d’affari di Parigi dove Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attentati del 13 novembre, si sarebbe fatto esplodere con un complice, se non fosse stato scovato in tempo dai reparti speciali francesi e ucciso a Saint-Denis, il telefonino di Adonis squilla spesso: «Sì, sostengo la politica della Russia, sicuro! — risponde ancora, con vigore, all’ultima domanda del suo interlocutore da Lisbona —. Sostengo la Russia, perché colpisce l’Isis».
La Russia, però, appoggia Bashar al-Assad, signor Adonis. E quando le è stato consegnato il premio Remarque, in Germania, si sono levate molte voci contrarie, anche sul «Corriere della Sera», a causa delle sue considerazioni sulla legittimità di quel dittatore.
«Ma io non ho mai sostenuto Assad! Mi sono battuto contro il partito di Baath e i baathisti dal 1956. Sono quasi sessant’anni. E l’anno dopo ho dovuto lasciare la Siria. Molti di quelli che adesso mi accusano, invece, sono stati funzionali in tutti questi anni ad Assad, lo hanno frequentato per ragioni di interesse. Io, invece, non l’ho mai conosciuto né incontrato. Ho detto soltanto che il problema non è la persona, quanto il sistema, la mentalità, la cultura. L’Occidente vuole imporre un presidente alla Siria, decidere al posto dei siriani. Io credo che sia il popolo a dover scegliere, a dire sì o no. Un presidente non può essere imposto dall’esterno. Spetta al popolo, attraverso libere elezioni».
Le ultime davvero libere, in Siria, risalgono al 1963.
«Ragione di più. Io sono contro il regime e a favore della democrazia. Ma la politica occidentale si è dimostrata poco perspicace nei Paesi arabi. Mossa principalmente da interessi economici e commerciali. Ma non solo. Che cosa rappresentano, per l’Europa, Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar, a parte il gas e il petrolio, per riservare loro tanto appoggio?».
Amicizie pericolose?
«Europa e Stati Uniti non s’interessano agli esseri umani nei Paesi arabi. Questo potrebbe voler dire che l’Occidente detesta i musulmani, li utilizza e basta. Però io non sono un politico e non voglio parlare di politica».
Politica e cultura non c’entrano fra loro?
«La politica dovrebbe fare parte della cultura. Ma, sfortunatamente, ora è la cultura che fa parte della politica. Così purtroppo si deformano a vicenda. Perché se è la politica a regnare, la cultura si trasforma in ideologia e opportunismo».
«Violenza e Islam», il titolo del suo libro, indica che la violenza è connaturata in questa fede?
«Esiste anche in altre religioni, certamente: il filosofo René Girard, da poco scomparso, era l’autore più importante su questo tema. Ma oggi il problema è con l’Islam, nel nome del quale Isis e compagni perpetrano i loro attacchi. Nel seno dell’Islam c’è l’Islam, mentre il Cristianesimo comprende varie confessioni, cattolica, protestante, ortodossa. Nell’Islam esiste l’ortodossia dei sunniti, che accettano soltanto una lettura letterale del Corano. Senza interpretazioni metaforiche o simboliche. Per questo non c’è spazio per arte e poesia tra gli ortodossi, c’è soltanto la giurisprudenza. La cultura del potere e della sua conservazione, a qualunque costo. L’Islam nasce proprio come religione di conquista. E, nelle conquiste, la violenza è inevitabile».
Il suo è un punto di vista assolutamente laico?
«Sì, parto da una posizione totalmente laica, però io non sono contro le religioni individuali. L’uomo ne ha bisogno, per gestire il suo rapporto con l’aldilà. È un diritto e lo rispetto. Mi oppongo invece a una religione istituzionalizzata, imposta politicamente e culturalmente a un’intera società, come avviene in Iran, in Arabia Saudita, in Marocco, negli Stati teocratici. La teocrazia è l’esatto opposto della democrazia, che esige il riconoscimento della diversità, la pluralità, la libertà di fede e di pensiero. Bisogna lottare perché la religione diventi una questione personale, che impegna soltanto il credente. Una società che non riconosce il diritto a non credere o che ingabbia le donne e le tratta come schiave non è una società umana».
Da dove spunta l’Isis?
«Prima ancora, gli americani hanno creato Al Qaeda e poi, con la caduta di Saddam Hussein in Iraq, alcuni Paesi arabi hanno finanziato e armato i jihadisti. Ma neanche gli Stati Uniti sono del tutto estranei».
Sempre colpa dell’Occidente?
«Mi colpisce che gli occidentali, a cominciare dagli americani, siano stati in silenzio di fronte alla devastazione dell’Iraq e della Siria, due Paesi che sono all’origine della nostra civiltà. L’errore è di identificare i popoli con i loro regimi e abbandonarli al saccheggio e alla barbarie dei terroristi. Lo stesso sta accadendo ora in Yemen, e non parliamo della Libia. Senza dimenticare la Turchia e il suo ruolo criminale. La comunità internazionale si è svegliata soltanto ora, dopo quanto accaduto a Parigi. Con 10 anni di ritardo».
Non è solo per una questione di fede che ora l’Europa è sotto attacco, vero?
«Naturalmente. Ci sono ragioni economiche, sociali, perfino psicologiche. Ma dietro i kamikaze c’è gente ben organizzata e ben pagata. L’Isis è diventato uno Stato, con un budget più importante di quello di molti governi arabi. Alle sue spalle ci sono regimi ben noti a tutto il mondo. L’Europa deve svegliarsi e fare la guerra a questa organizzazione psicopatica finché non avrà sterminato i selvaggi. Che non vanno confusi con i musulmani: aggredire una donna in metrò perché velata, come è successo, è un tragico errore. Le donne vanno aiutate a strapparsi il velo, a trovare un lavoro. Perché una donna che trova lavoro è una donna libera» .




L’Islam è violenza se pretende di annullare la storia Per il poeta siriano Adonis il Corano è sopraffazione Ma nei secoli sono molti anche gli esempi contrari Claudio Gallo  Stampa 9 12 2015
Nel Corano Noè chiede al Signore di punire gli scettici: «Non lasciare sulla terra, dei Negatori vivo nessuno». In una sura precedente, dedicata ai miscredenti della Mecca, si dice «Il giorno in cui li stringeremo di stretta tremenda e suprema, allora Ci vendicheremo». Nella biografia di Maometto curata da Ibn Hisham, uno dei compagni del Profeta si vanta: «Tagliai la testa di Abu Jahl e la consegnai al Profeta dicendo: “Oh Messaggero di Dio, ecco la testa del nemico di Dio”». Si potrebbe continuare a lungo: la violenza contro i nemici del Signore attraversa il libro sacro dell’Islam come una lama affilata, così come accade nel Tanàkh (la Bibbia ebraica), che i primi musulmani presero a modello, e nella Bibbia cristiana.
Dalla fondazione
A ricordarci la spietata sete di vendetta e l’odio per l’altro che percorre l’ultima religione monoteista, è il poeta siriano Adonis (Ali Ahmad Said) nel suo dialogo con la psicanalista francese Houria Abdelouahed dal titolo Violenza e Islam (Guanda, pp 187, euro 14). Minacciato di morte e bandito dagli integralisti islamici, dai ribelli siriani e da Damasco, Adonis, 85 anni e origini sciite, è rimasto legato al vecchio socialismo arabo. Per il poeta, l’Islam è intrinsecamente violento: «Tutta la storia ce lo testimonia. L’Islam si impose con la forza, dando luogo così a una storia di conquiste (…); la violenza nasce già con la sua fondazione».
Nel Libro, la proporzione tra misericordia e castigo è decisamente a favore di quest’ultimo. Adonis conta 80 versetti sull’inferno (geenna), mentre 66 evocano il paradiso e 72 lo descrivono come un luogo di godimento infinito. I versetti che parlano di miscredenza e dei suoi derivati sono 518, supplizi e simili compaiono 370 volte. Su 3000 versetti, 518 sono sul castigo. Ammiratore di Freud e della rivoluzione francese, Adonis fa un passo ulteriore: la violenza dell’Islam è inscritta nella sua natura monoteistica e infatti la ritroviamo nelle altre religioni del Dio unico. Il monoteismo sarebbe il risultato di due fattori: «In primo luogo lo sviluppo del senso dell’economia. In secondo luogo, lo sviluppo del senso di potere. Questi due elementi sconvolsero il mondo antico, ricco di grandi civiltà politeiste, e uccisero l’idea stessa di pluralità». Già Hume, Comte e William James la pensavano più o meno così.
La stessa preoccupazione per la violenza originaria del monoteismo fa da sfondo a Il lato oscuro della fede (pp. 52, euro 8), il dialogo (di una decina di anni fa) tra Hans Küng e Paul Ricoeur, appena uscito da Medusa. Spiega il filosofo francese: «Sarebbe troppo facile dire: non è la religione, ci si serve della religione per..., ecc. È proprio per l’attaccamento delle religioni alla loro missione profonda, quella di dire una Parola che le trascende (...), che può esserci una pretesa a dominare gli altri, a imporre con la forza».
Una sola versione
Molti, come Adonis, credono che alla fine esista un solo tipo di Islam, da cui deriva anche il credo disumano dei terroristi suicidi. Nella storia, tuttavia, l’Islam ha conosciuto incarnazioni molto diverse, senza contare che nel revanscismo radicale musulmano non c’è solo la religione ma anche la politica: la reazione a un’aggressione occidentale che va dal colonialismo alle guerre recenti.
Lo storico Zachary Karabell, che nel suo Peace Be Upon You (Alfred A. Knopf, 2007) ha raccontato la secolare convivenza delle tre religioni dell’unico Dio: «Non si può negare che oggi alcune parti del mondo musulmano siano segnate da alti livelli di violenza, ma è altrettanto vero che ci sono stati analoghi episodi di violenza in Colombia e in molte zone dell’Africa sub-Sahariana. L’Occidente ha dimenticato l’eredità di 14 secoli che, certo, hanno visto conflitti, ma anche alti livelli di tolleranza e di quieto vivere». Nel suo straziante libro di qualche anno fa sulla scomparsa del Cristianesimo dai paesi dove si si diffuse all’inizio, Dalla montagna sacra (Rizzoli, 1996), William Dalrymple racconta come in certi santuari cristiani e musulmani pregassero insieme. L’esodo dei cristiani mediorientali, che nei loro Paesi hanno sempre avuto un ruolo cruciale di mediazione, è uno dei fattori che oggi favorisce l’estremismo nelle società musulmane.
Il credo più moderno
Il grande tibetologo britannico David Snellgrove in Religion as History, Religion as Myth (Orchid Press, 2006) è convinto che, tra i monoteismi, l’Islam sia il più moderno e il meno lontano dalla visione scientifica del mondo. Dicendo così, non pensa certo agli stati del Golfo ma al cosiddetto Islam liberale, a Paesi come la Malaysia, l’Indonesia, specialmente Java.
In realtà, la faglia che spacca il mondo islamico divide due mondi incomunicabili: chi segue il senso letterale e chi interpreta. La versione iper-rigorista dell’Islam diffusa dal salafismo (di cui fa parte il wahhabismo, ufficialmente professato in Arabia Saudita) è anche la religione dell’Isis, di Al Qaeda e degli altri gruppi estremisti. Per loro c’è solo il senso letterale. La rivelazione coranica ha esaurito l’intera verità e, in qualche modo, ha annullato il tempo. L’unica azione possibile del credente è la sottomissione al volere di Dio, una volontà chiaramente indicata nel Corano e negli Hadit, i detti del Profeta. Bene e male sono bianco e nero, le immagini scritturali più sanguinose, destinate a beduini del VI secolo, sono vere alla lettera.
Leggere o interpretare?
Anche se il salafismo rappresenta una piccola minoranza tra i musulmani nel mondo, da almeno quarant’anni la sua variante wahhabita si sta espandendo ovunque, sospinta dai dollari del petrolio saudita. Lo ha denunciato, tra gli altri, il regista britannico Adam Curtis che ha girato per la Bbc un memorabile documentario, Bitter Lake (2015). Il radicalismo aggressivo sta intaccando l’Islam moderato e l’Islam mistico dei sufi, fino all’Estremo Oriente, dove il contatto con hinduismo e buddhismo ha talvolta dato vita a sintesi sorprendenti.
L’esempio più estremo è forse l’imperatore Moghul Akbar il Grande che nel XVI secolo fece costruire in India un padiglione per discutere con i saggi di tutte le religioni, atei compresi. I dibattiti furono interrotti dopo qualche anno, un po’ per il sabotaggio dei teologi musulmani, ma soprattutto perché le conversazioni finivano sempre in rissa. In troppi possedevano la verità.

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