domenica 8 novembre 2015

I resoconti di Rebecca West dal processo di Norimberga

bookRebecca West: Serra con ciclamini. Il processo di Norimberga e la rinascita economica della Germania, Skira, Milano, pagg. 176, € 16,00

Risvolto
Per la prima volta in italiano, viene qui pubblicato il reportage sugli ultimi giorni del Processo di Norimberga scritto nel 1946 dalla giornalista e romanziera Rebecca West, acclamata l’anno dopo “migliore scrittrice al mondo” da “Time”. 
Con il suo stile asciutto, sarcastico e ricco di immagini paradossali, l’autrice ci permette di “sfiorare” i leader del Nazismo in attesa di una sentenza ineluttabile e di toccare con mano una Germania certamente prostrata dalla guerra ma impegnata con tutte le proprie forze a trovare una catarsi. Rebecca West tornerà altre due volte in Germania, tra il 1949 e il 1954, descrivendone vividamente l’incredibile ripresa economica, nonostante le pesanti costrizioni imposte dai paesi vincitori, i conflitti interni fra gli alleati, i 10 milioni di esuli che si sono riversati sulle sue terre...
Emblematicamente, allora, l’anziano giardiniere con una gamba sola, tutto preso dalla sua serra e dalla coltivazione di ciclamini da mettere in commercio, diventa per West il simbolo di questa ripresa: “Era fuggito in un’altra dimensione, in cui il dolore non aveva potere su di lui. Era fuggito nel suo lavoro”.
Una rilettura del passat
o fondamentale per capire la Germania di oggi.
Rebecca West, pseudonimo di Cicily Isabel Fairfield (1892-1983), è stata una giornalista, scrittrice e critica britannica.
Tra le sue opere più note, Black Lamb and Grey Falcon (1942, pubblicato in Italia in tre volumi da EDT), analisi approfondita della politica, della cultura e della storia jugoslave, e soprattutto la Trilogia degli Aubrey (Mattioli 1885, 2010).


Rebecca West Il «tradimento» di Norimberga
di Francesco Perfetti Domenica del Sole 24Ore 8.11.15

Al culmine della sua notorietà come giornalista e come scrittrice, Rebecca West si recò nel 1946 a Norimberga per assistere all’ultima fase del processo contro i criminali nazisti. Ne fece per la rivista americana «The New Yorker» un resoconto che non ha nulla in comune con gli altri importanti scritti sull’argomento. In quelle pagine c’era, sì, la descrizione delle ultime sedute del processo, ma anche c’erano certi ritratti indimenticabili e fulminanti, quasi da antologia, degli imputati principali, colti con pochi ma efficaci tratti di penna. Rudolf Hess, per esempio, appariva così «evidentemente pazzo che sembrava una vergogna processarlo». Hermann Göring, poi, il cui aspetto era «fortemente ma oscuramente allusivo al sesso» suggeriva l’idea di «una maitresse di un bordello», mentre Baldur von Schirach, che era stato a capo della Hitler-Jugend, «stupiva perché sembrava una donna in un modo non comune tra quegli uomini che assomigliano alle donne».
Il resoconto della West non riguardava tanto lo svolgimento vero e proprio del processo quanto piuttosto l’atmosfera che vi si respirava sia fra gli imputati sia fra i giudici sia ancora fra i giornalisti presenti. Ma, soprattutto, tentava di capire e di far capire i sentimenti più intimi della popolazione tedesca, alle prese con i problemi della vita quotidiana in un Paese ridotto in macerie, mentre nel Palazzo di Giustizia di Norimberga si svolgeva il dibattimento la cui conclusione non poteva che essere scontata: sentimenti confusi che andavano da una ostentata e falsa indifferenza a un segreto senso di colpa collettiva, da manifestazioni di indignazione a timori inespressi. Il tutto, raccontato in pagine coinvolgenti e di eccezionale potenza espressiva.
Quel processo, avrebbe amaramente scritto la West qualche tempo dopo, si rivelò «un tradimento delle speranze che aveva suscitato» perché «condotto da funzionari malati dalla stanchezza lasciata da una grande guerra, frequentato solo da una manciata di spettatori, inadeguatamente coperto dalla stampa, costantemente frainteso» finì per non imprimere un’immagine chiara sull’animo delle persone che avrebbe dovuto raggiungere. Ma, se pure «fu uno di quegli eventi che non diventano un’esperienza», ebbe pur sempre un suo valore di monito.
Qualche anno dopo, nel 1949 e nel 1954, la West tornò in Germania e gli scritti relativi a questi viaggi confluirono, insieme al resoconto del processo di Norimberga, nel bellissimo volume Serra con ciclamini pubblicato ora, per la prima volta, in edizione italiana. Trovò un Paese diverso, che stava metabolizzando le tragedie del passato e, al tempo stesso, stava avviandosi sulla strada della ricostruzione economica in preda a una «spinta verso l’operosità» e a una incredibile «libidine di lavoro». Le imposizioni dei vincitori e i conflitti fra gli alleati, la divisione di Berlino, la Guerra fredda erano tutti elementi che non incidevano sulla volontà di ripresa, morale e politica oltre che economica, di un popolo del quale il «venditore di ciclamini», un anziano giardiniere, privo di una gamba e intento a coltivare le piante nella sua serra senza più pensare al passato, diventava simbolicamente, nell’immagine della West, un simbolo di speranza per il futuro: «Era fuggito da un’altra dimensione, in cui il dolore non aveva potere su di lui. Era fuggito nel suo lavoro». Quel che colpiva l’osservatore era il fatto che, al di là della divisione politico-amministrativa del territorio imposta dalle grandi potenze, tutti i tedeschi guardassero con sospetto a progetti di assistenzialismo e di economia pianificata e credessero, invece, fortemente nella libera iniziativa: «Pensavano che se la gente avesse fatto quello che voleva, mangiato quello che le piaceva, agito come le piaceva, e venduto quello che le piaceva, le leggi di domanda e di offerta avrebbero funzionato in modo così sano che alla fine ogni cittadino avrebbe avuto una sostanziosa fetta di torta e non ci sarebbe stato motivo perché nessuno dividesse alcunché con chicchessia». Era passato qualche anno, all’epoca di questo nuovo viaggio della West, dal processo di Norimberga. La Germania stava voltando pagina.

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