sabato 21 novembre 2015

Jack London reporter e fotografo

Jack London: Le strade dell’uomo. Fotografie, diari, reportage, Contrasto, pagg. 196, euro 19,90, a cura di Alessia Tagliaventi, con introduzione di Davide Speranza


Risvolto
“[…] per la prima volta in Italia, a un secolo da quando i lettori italiani hanno imparato ad amarlo, arriva un’opera di Jack London che cambierà la percezione pubblica di questo artista.” Davide Sapienza
Jack London è stato lo scrittore leggendario di inizio Novecento: il famoso, prolifico, discusso, rivoluzionario Jack London, una delle figure più affascinanti emerse dalle vene dell’America. Ma non solo. Nella sua vita, Jack London è stato anche un fotografo (chiamava le sue immagini documenti umani) e la macchina fotografica è stata la compagna inseparabile di avventure e reportage in tutto il mondo.
Le strade dell’uomo, a cura di Alessia Tagliaventi, presenta un’ampia selezione delle sue fotografie, accompagnate da brani tratti da alcuni dei suoi capolavori di narrativa e giornalismo: tappe fondamentali in cui Jack London diventa testimone di grandi eventi del suo tempo, vicende i cui contorni si ampliano e fanno capolino dai documenti umani de Il popolo dell’abisso di Londra, della guerra russo-giapponese, del terremoto di San Francisco e dell’incredibile viaggio dello Snark. London è dunque autore anche delle fotografie di questo libro, che presenta per la prima volta in Italia un'ampia selezione delle sue straordinarie immagini.
I testi proposti nel volume sono estratti da diversi scritti dell’autore: Il popolo degli abissi (1903), lucido e impeccabile reportage sociologico sulle classi emarginate dell’East End londinese di cui viene proposto il primo capitolo e altri estratti; La guerra russo-giapponese (1904), con due articoli del San Francisco Examinier per cui era corrispondente di guerra; Terremoto San Francisco (1906), con l’articolo del Collier’s Weekly dal celeberrimo incipit “San Francisco is gone. Nothing remains of it but memories”; La crociera dello Snark, il diario della traversata del Pacifico compiuta a vela, di cui nel libro si riporta il capitolo introduttivo e altri estratti.
Tutte le immagini che accompagnano i testi permettono al lettore di immergersi ancora più a fondo nella prosa dello scrittore e ne rivelano uno sguardo consapevole e attento tipico del fotogiornalista.

Jack London  L’umanità derelitta e magica negli scatti di un reporterI bassifondi di Londra. Il terremoto di San Francisco. Le isole Samoa Raccolti in volume i diari e le foto realizzati dallo scrittore americano

MICHELE MARI Repubblica 21 11 2015
Pochi mesi dopo essere tornato in California dal Klondike, Jack London scrisse a un amico: «Non ho ancora smesso di prendermi a calci per non aver portato con me una macchina fotografica ». Non osiamo pensare a come sarebbe la corsa all’oro fotografata dall’autore del “Richiamo della foresta”, e il nostro rimpianto aumenta di fronte alla bellezza e all’intensità delle fotografie scattate da London nel corso dei suoi reportage. Fotografie (ne ha lasciate più di 12.000) che spesso sembrano uscire direttamente dai suoi libri, tanto sono
organiche al carattere e allo stile di uno scrittore che come pochi al mondo ha coniugato il senso della realtà (della più cruda e impoetica realtà) con il mito e con il sogno.
Una piccolissima ma eloquente porzione di questo tesoro è riprodotta in un libro curato da Alessia Tagliaventi e introdotto da un londoniano militante come Davide Sapienza ( Le strade dell’uomo, Contrasto). In ciascuna delle quattro sezioni che lo compongono (le condizioni di vita nell’East End londinese, 1902; il fronte coreano della guerra russo- giapponese, 1904; il terremoto di San Francisco, 1906; un viaggio di due anni nel Pacifico, 1907-1909) le immagini sono accompagnate dai testi che London scrisse come reporter, e che in due casi divennero poi un libro ( Il popolo dell’abisso, 1903, e La crociera dello Snark, 1911). Non nascondo la mia predilezione per le due sezioni metropolitane: brulicante di derelitti quella londinese, spettralmente disabitata quella su San Francisco. Per la prima London si travestì da disoccupato, per non suscitare diffidenza e «incontrare la gente da uguale »: cenciosi ed emaciati, gli abitanti «di quella voragine infernale che ha nome East End» gli appaiono come «una razza nuova e diversa», la stessa che sette anni prima, nella Macchina del tempo, Wells aveva collocato sottoterra dandole il nome di Morlocks. Solo i bambini sembrano ancora umani, anzi talmente umani che descrivendoli London sembra parlare di se stesso: «Sono pieni di immaginazione. Hanno una capacità fuori del comune di proiettarsi nel regno del romanzesco e del fantastico. La vita scorre nelle loro vene piena di una gioia tumultuosa». Una foto in particolare mi ha colpito: ritrae una ragazza che sta sfregando un pavimento («una serva dell’East End», recita la didascalia), e che guarda nell’obbiettivo con un sorriso da innamorata: per quanto mimetizzato, mi piace pensare che London le sia apparso come una specie di angelo.
All’alba del 18 aprile 1906 San Francisco fu abbattuta dal terremoto: nei quattro giorni successivi divampò un immenso incendio che completò la distruzione, e che London osservò da alcune miglia di distanza. Invitato da più giornali a scriverne si rifiutò, affermando che nessuna combinazione di parole avrebbe mai eguagliato quella tragedia: accettò invece quando il Collier’s Magazine gli chiese un servizio fotografico. London arrivò in città mentre ancora infuriava l’incendio e avanzò a misura che le fiamme arretravano: eppure le sue fotografie non recano alcuna traccia di agitazione o precarietà; al contrario ci consegnano una San Francisco già “classica”, una moderna Pompei fissata da uno sguardo leopardiano: ma basta distrarsi un attimo e da Pompei ci ritroviamo a Berlino o a Dresda nel 1945, con un’anticipazione che sul piano tecnico ha del miracoloso.
Il momento fatale di Lord Jim fu l’abbandono della nave; quello di London, a prendere alla lettera le sue parole, fu il salvataggio di una nave, allorché un capitano sgomento gli affidò il timone durante una tempesta: «Il successo di cui vado più fiero, il momento supremo di tutta la mia vita, l’ho vissuto a diciassette anni», scrive nella Crociera dello Snark per motivare la scelta di investire i suoi risparmi nella costruzione di un’imbarcazione “su misura” per fare il giro del mondo, tempo stimato sette anni.
A causa di una malattia tropicale che colpì London alle Isole Salomone, il viaggio durò invece due anni, durante i quali il marinaio non si dimenticò mai di essere scrittore e fotografo. Lo vediamo studiare una carta nautica insieme alla sua compagna Charmian e con le gambe penzoloni dalla fiancata dello Snark, ma soprattutto vediamo gli abitanti delle Samoa oppure lo straordinario Ernest Darling, “l’uomo natura” che scelse di vivere nelle foreste di Tahiti, e che in una splendida fotografia, stagliato su un fondale degno di Henri Rousseau, ci appare come il Ben Gunn dell’Isola del tesoro. Ma forse l’immagine in cui lo spirito dell’autore è più evidente è quella che ritrae una banda musicale di quattordici elementi in divisa da parata: sono i lebbrosi dell’isola di Molokai, oggetto di “spaventose leggende” cui London non vuole credere, tanto più dopo aver scoperto che nessun cronista ha mai messo piede sull’isola. Così adesso è davanti a loro, che lo guardano impugnando uno strumento, pronti a suonare a un suo cenno.

Le rovine di San Francisco nella Kodak di London 
Una passione per le immagini: dal terremoto americano del 1906 alla guerra russo-giapponese, alle isole felici del Pacifico 
Paolo Bertinetti  Tuttolibri 9 1 2016
Il 18 aprile 1906, alle cinque e un quarto del mattino, un terremoto di magnitudine 8.30 devastava San Francisco. Jack London, che con Il richiamo della foresta era diventato uno degli scrittori più famosi d’America, dalle cime sopra il suo ranch a Glen Ellen, settanta chilometri più a nord, poteva vedere il cielo rossastro e la colonna di fumo che si innalzava sopra la città. Prese la sua Kodak e subito partì in treno per Santa Rosa, capitale della contea, anch’essa distrutta, e da lì, in piroscafo raggiunse San Francisco, dove passò la notte «inseguendo l’incendio» che divampava per tutta la città. Le sue fotografie furono le prime a cogliere la dimensione apocalittica di quel disastro. Sul settimanale Collier’s quindici giorni dopo uscì un suo articolo in cui raccontava la tragedia. Ma il reportage più impressionante era dato da quelle fotografie, che icasticamente comunicavano il senso della vastità della catastrofe.
Da qualche anno, con la Brownie che la Kodak aveva creato nel 1900, Jack London aveva preso a documentare la realtà non solo con i suoi scritti, ma con le fotografie. Ne fece dodicimila: sono non soltanto un prezioso archivio del suo tempo, ma la dimostrazione di come la fotografia sappia essere arte. Per London quelle istantanee, che chiamava «documenti umani», valevano come i suoi racconti e i suoi romanzi, raccontavano una storia, narravano un pezzo di mondo. Nel caso di San Francisco sono le cose che «parlano». Nel reportage di quattro anni prima, negli slum di Londra, a parlare sono i volti della gente.
Proprio con questo reportage si apre il bel volume Jack London. Le strade dell’uomo, che ospita poi quello sulla guerra russo-giapponese del 1904, quello del terremoto di San Francisco e quello del viaggio nelle isole del Pacifico.
Le fotografie fatte a Londra accompagnavano il libro Il popolo dell’abisso, di tutti quello che London amava di più. Per tre mesi, dall’agosto al novembre 1902, era vissuto nel degradato East End londinese. Laggiù, in quelli che, scrive il rivoluzionario socialista Jack London, erano considerati «bei tempi per l’Inghilterra», decine di migliaia di uomini, donne, bambini, vivevano in una «miseria invincibile»: erano una massa di sventurati senza futuro, «deboli, istupiditi e intontiti dall’alcol», che trascinavano la loro esistenza (breve, per fame e malattie) nelle strade e nei tuguri dell’East End, a due passi dalle ricchezze della City. L’unica cosa bella erano i bambini, che spesso ballavano per strada al suono dell’organetto, e che London ritrae cogliendone i sorrisi. Sapendo però che, come portati via da un Pifferaio magico, poi scompariranno «e non li si vedrà più, né loro né le loro tracce». Diventati adulti, andranno a comporre una massa di «corpi rachitici» deformati dalla miseria.
Una splendida galleria di volti è quella del reportage sulla guerra russo-giapponese. Dai giapponesi London fu arrestato una prima volta per avere fatto delle foto dove era vietato, una seconda volta per essere andato al fronte senza permesso, una terza volta per avere steso con un pugno uno stalliere che rubava del fieno. Ci volle l’intervento del Presidente Roosevelt per sottrarlo alla corte marziale e farlo tornare negli Stati Uniti. Oltre alla vita, poté così salvare le foto fatte in Manciuria e in Corea, che costituiscono un documento umano che ha la forza dell’incanto.
Il volume si chiude con il quarto reportage; e parte con le immagini della costruzione dello Snark, la barca a vela su cui London salpò da San Francisco nell’aprile del 1907 per le isole del Pacifico. A bordo aveva portato una macchina da scrivere (mille parole al giorno erano la sua dieta), diverse macchine fotografiche e un fonografo. Di foto ne fece circa 4000, fissando le immagini di un mondo che ben pochi dei suoi contemporanei potevano conoscere e che in parte finirono nel suo libro La crociera dello Snark. Gli abitanti di Tahiti, di Samoa, delle Isole Marchesi e Salomone sono ritratti senza concessioni al folklore, cercando di restituirne la fierezza e la dignità (anche nella foto in cui ritrae quattro giovani accovacciati accanto al fonografo). 
La crociera si concluse a Sydney, dove London fu ricoverato in ospedale per una rara malattia tropicale. Le conseguenze di quella infezione (oltre all’alcol) fu una delle cause della sua morte. Pochi anni dopo morì nel suo ranch a Glen Ellen, a soli quarant’anni.

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