giovedì 19 novembre 2015

La Chiesa cattolica e la comunicazione di massa

La comunicazione di una 'Chiesa in uscita'Armando Fumagalli: La comunicazione di una "Chiesa in uscita”. Riflessioni e proposte, Vita e Pensiero, pp. 132, euro 14

Risvolto
Papa Francesco sta coinvolgendo la Chiesa, quindi tutti i singoli cristiani, in un ripensamento delle modalità di relazione con il prossimo. E fra le modalità di queste relazioni una delle prime è la comunicazione. In questo volume, che ripensa e riscrive alcuni saggi pubblicati e/o discussi in occasioni recenti, Armando Fumagalli tocca alcuni nodi della comunicazione tanto della Chiesa intesa come istituzione, quanto dell’approccio alle dimensioni comunicative e al dialogo culturale da parte dei singoli cristiani: il rapporto fra ragione ed emozioni nella comunicazione, l’uso dello storytelling, l’importanza centrale ancora oggi della comunicazione più ampiamente ‘popolare’ che passa attraverso le forme dell’audiovisivo di massa come il cinema e la televisione, lo stile comunicativo degli ultimi tre Papi.
Il volume tocca inoltre alcuni casi concreti particolarmente interessanti: un ‘nuovo approccio’ alla comunicazione pro-life che viene da una fondazione americana e l’esperienza inglese, in rapida diffusione in diversi Paesi del mondo, di Catholic voices, un team di laici, persone delle più diverse professioni, a disposizione dei media per spiegare il punto di vista della Chiesa cattolica su questioni dibattute di attualità.


«Il pubblico vuole valori tradizionali» 
Fumagalli esamina le sfide mediatiche della Chiesa di oggi, ancora indietro rispetto a Papa Francesco, e spiega: «Le emozioni contano più della ragione» 
19 nov 2015  Libero ALESSANDRO RIVALI 
È appena uscito in libreria La comunicazione di una "Chiesa in uscita”. Riflessioni e proposte (Vita e Pensiero, pp. 132, euro 14), il nuovo saggio di Armando Fumagalli, ordinario di Semiotica presso la Cattolica di Milano, dove è anche direttore del Master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema, che esamina le sfide mediatiche della Chiesa di oggi: dal nuovo stile, caldo e popolare, di papa Francesco alla necessità di saper dosare ragione ed emozioni nel proprio relazionarsi con il mondo. Particolarmente affascinanti i capitoli dedicati ai principi dello storytelling e ad alcuni sorprendenti casi di comunicazione efficace, come il discorso di Steve Jobs a Stanford o il fenomeno delle Catholic Voices, il network nato per supportare il viaggio di Benedetto XVI nel Regno Unito.  
Papa Francesco ha dato una scossa al mondo della comunicazione cattolica, ma non tutti nella Chiesa sono pronti a seguirlo su questa via. Facciamo una rapida disamina di questo mondo, tra sfide, aperture e rigidità? 

«Il compito essenziale della Chiesa cattolica è l’annuncio della Redenzione. È essenzialmente un compito comunicativo. Oggi le grandi realtà che hanno a che fare con la comunicazione (enti, aziende ecc.) investono non tanto sui mezzi tecnici, ma sulle persone e sulla loro professionalità. Tutti i Papi dalla seconda metà del XX secolo in poi sono stati grandissime personalità e hanno detto cose di grande rilevanza, ma se prendiamo la Chiesa come istituzione, l’investimento su professionalità della comunicazione per far arrivare il messaggio non distorto, e farlo arrivare forte e chiaro, è ancora a mio parere quello di un’altra era. Ci sono stati e ci sono passi avanti, ma la strada da percorrere è ancora assai lunga. Poi Papa Francesco ha il dono di parlare usando immagini vive, esempi semplici e chiari, aneddoti, con una forma di comunicazione che gli deriva dalla sua esperienza di rapporto con la gente semplice di Buenos Aires. È un tipo di comunicazione che “buca” i cancelli dell’apparato informativo: diventa facilmente notizia, titolo di giornale... e la sua testimonianza di povertà ha giustamente conquistato tutti». 

«L’uomo moderno ha bisogno di chiarezza… va al cinema, e tutto gli appare chiaro… apre la radio e la televisione e tutto gli riesce comprensibile… va a Messa e di quello che lì si svolge non capisce niente». Questa è una frase dell’arcivescovo Montini, il futuro Paolo VI, del 1957. Siamo ancora a questo punto tra i credenti? 

«Allora la Messa veniva celebrata ancora in latino. Nei lavori preparatori del Concilio, come ricorda Andrea Tornielli nella sua biografia, Paolo VI era favorevole a mantenere una parte della Messa in latino, ma a passare alle lingue moderne per le letture e altre parti, proprio per un fatto di comprensibilità. Ma al di là di questo aspetto concreto quello che possiamo osservare è che rispetto agli anni ’50 la comunicazione “laica” (cinema, serie tv, spot, reality show, pagine pubblicitarie sui giornali e Internet) ha fatto enormi passi avanti: è diventata molto più colorata, convincente, seduttiva, coinvolgente. La comunicazione della Chiesa ha fatto qualche passo avanti, ma molti meno. Dovrebbe innestare il turbo...». 

Benedetto XVI è stato un pontefice straordinario eppure al centro di un colossale misunderstanding mediatico, perché? 

«Nel libro sostengo che nella comunicazione le emozioni contano molto, spesso assai più della ragione. E Benedetto XVI è stato accolto da emozioni prevalentemente negative, dettate da pregiudizi che si sommavano contro i tedeschi, contro i teologi e contro il Sant’Uffizio e la Santa Inquisizione, tre macroaree di pregiudizi che sono andati a sommarsi in una sola persona. E lui non aveva spin doctor (come hanno i governi e i politici) che lavorassero per abbattere questi pregiudizi. Erano assai pochi a leggere i suoi bellissimi discorsi e le sue bellissime encicliche. Erano molti a cercare di coglierlo in fallo su qualsiasi cosa dicesse e che si potesse interpretare contro di lui».

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