martedì 10 novembre 2015

Neomalthusianesimo: siamo assai e bisogna sfoltire un po' di sottouomini africani

livi bacci massimo - il pianeta strettoMassimo Livi Bacci: Il pianeta stretto, il Mulino, pagg. 163, euro 14

Risvolto
Fra una sola generazione la Terra conterà due miliardi e mezzo di persone in più. Il problema è che si tratterà di una crescita assai disuguale: mentre la popolazione dei paesi ricchi rimarrà quasi stazionaria e invecchierà, quella dei paesi poveri raddoppierà o triplicherà addirittura nelle aree più deprivate, come quelle dell'Africa subsahariana, con una forte prevalenza delle generazioni più giovani. In questo quadro Livi Bacci riflette sul cammino del mondo nel XXI secolo, analizzando le implicazioni che uno sviluppo demografico così squilibrato avrà per la stabilità sociale interna ai vari paesi, per le migrazioni internazionali e i rapporti di forza tra le nazioni oltre che, naturalmente, per l'ambiente.



Malthus fatto a pezzi da “Nature”FRANCO GABICI Avvenire 2 gennaio 2016

Una Terra troppo stretta L’allarme dei demografi 

La crescita di popolazione nei paesi poveri aumenta disuguaglianze e migrazioni. Un saggio di Livi Bacci

LUCIO CARACCIOLO
Negli ultimi diecimila anni la Terra si è ristretta di mille volte. Ogni essere umano disponeva agli albori dell’èra agricola di 13,5 chilometri quadrati, pari a un quarto di Manhattan. Nel 2050, quando saremo dieci miliardi, il suo spazio sarà ridotto a un millesimo, pari a un campo di calcio. Da questa constatazione muove l’appassionante studio di Massimo Livi Bacci, demografo dell’Università di Firenze, sui percorsi della popolazione mondiale nel tempo e nello spazio storico ( Il pianeta stretto, il Mulino, pagg.169, euro 14). E sulle sfide geodemografiche attuali, in un mondo antropizzato per più della metà della sua superficie e sempre più diseguale sotto il profilo del popolamento. Con le conseguenze ambientali, economiche e geopolitiche che chiunque non voglia mettere la testa sotto la sabbia può già intravvedere. Livi Bacci osserva che il fattore demografico tende a essere sottovalutato nel dibattito delle organizzazioni internazionali impegnate a disegnare scenari sul futuro dell’umanità e a proporre criteri per gestirne le criticità. Il mantra dello “sviluppo sostenibile” — concetto già sufficientemente vago — tratta come ancillare la questione demografica. Quasi che il raggiungimento dei limiti fisici e biologici del pianeta, per vari aspetti prossimo per altri ancora lontano, non abbia molto a che vedere con l’andamento demografico. Di recente, l’esplodere in Europa della questione migratoria — cui Livi Bacci dedica un penetrante capitolo, inquadrandola nel contesto della “quarta globalizzazione” — ha almeno in parte riportato l’attenzione mediatica sulle sue radici geodemografiche.
L’autore rifugge ogni determinismo. Confida anzi nella capacità umana di regolare i propri comportamenti demografici sotto la pressione delle mutevoli circostanze ambientali, geopolitiche ed economiche. Ciò che negli ultimi due secoli ha disegnato la “transizione demografica”, ovvero la prevalenza delle scelte dei singoli individui, sia per quanto riguarda la riproduzione che la sopravvivenza, sui meri condizionamenti biologici. Ma questa transizione resta largamente incompiuta nelle aree più sfortunate del pianeta. Sicché le tendenze demografiche nel mondo sono fortemente diseguali: mentre intorno al 2050 nei paesi relativamente benestanti la popolazione, mediamente sempre più anziana, resterà stazionaria o declinerà (come in Europa, Cina e Giappone), nell’Africa subsahariana e in alcune regioni asiatiche il numero degli abitanti raddoppierà, in un contesto di povertà e di instabilità geopolitica. La diversa cadenza della “transizione demografica” contribuisce ad alimentare la disuguaglianza fra paesi poveri e poveri ricchi e a rendere sempre più problematico l’equilibrio fra pressione della popolazione e risorse disponibili nelle aree critiche del pianeta. Si consideri solo questo dato: nell’Asia orientale 1,6 miliardi di persone hanno una fecondità inferiore a 1,6 figli per donna, sotto la soglia di rimpiazzo fra generazioni — lo stesso vale per il mezzo miliardo di europei. Al polo opposto, nell’Africa subsahariana, un miliardo di persone hanno una fecondità media di 5 figli per donna. Quest’ultimo dato significa che il Mediterraneo è destinato a diventare sempre più una ripida paratia di separazione — sfidata a rischio della vita da milioni di migranti — fra due mondi in crescente divaricazione demografica. Con le conseguenze, specie in campo migratorio e geopolitico, che stiamo cominciando a sperimentare. Cacciata dalla porta, la demografia rientra dalla finestra. Chi continua a sottovalutarla o a escluderla dalle analisi sulle criticità del pianeta e dalle strategie geopolitiche, lo fa a proprio rischio e pericolo.

Demografia L’uomo va a più velocità, il mondo noAnalisi senza catastrofismi della crescita della popolazione: impetuosa in Africa, ferma in Europadi Sandro Modeo Corriere La Lettura 22.11.15
Rispetto al «tempo profondo» dell’evoluzione (miliardi di anni), tutto è avvenuto in una sequenza relativamente breve: 10-12 mila anni, il periodo intercorso fra la prima transizione dell’ Homo sapiens (il passaggio neolitico dalla caccia-raccolta all’agricoltura-allevamento, dal nomadismo alla stanzialità) e quella attuale, innescata dalla rivoluzione industriale. In quello scarto, noi umani siamo aumentati di mille volte (da 10 milioni ai probabili 10 miliardi del 2100); sempre di mille volte abbiamo visto contrarsi lo spazio pro-capite (da un quarto dell’isola di Manhattan alla superficie di un campo da calcio); mentre abbiamo aumentato «solo» di cento volte — dal traino animale alle fibre ottiche — il consumo individuale di energia.
È un’invasione antropica della Terra — incipit del nuovo libro del demografo Massimo Livi Bacci, Il pianeta stretto — che non sembra risparmiarne una sola molecola: se oltre metà dei suoi 134 milioni di chilometri quadrati erano occupati, già nel 1990, soprattutto da coltivazioni e pascoli (ma anche da strade, ferrovie e porti), la percentuale restante (boschi e foreste, ghiacci e deserti) risente ormai comunque, sul piano climatico e della biodiversità, della nostra presenza. Il punto è che la chiave interpretativa di quest’invasione e delle sue conseguenze per il pianeta e per noi stessi — di tanti disagi economici, sociali, sanitari, psicologici — consiste proprio nella questione demografica; una questione ormai rimossa o ridotta da tanti analisti a fantasma latente, quando invece potrebbe essere la spiegazione che vanno cercando e che hanno sotto gli occhi, un po’ come la «lettera rubata» del racconto di Poe.
Riprendendo e integrando, col Pianeta stretto , la ricognizione svolta nell’ormai classica Storia minima della popolazione mondiale , Livi Bacci ha quindi il merito primario di riportare dallo sfondo al primo piano i processi demografici. Processi che hanno a lungo registrato a livello globale un sostanziale «equilibrio» tra nascite e morti, nonostante un trend ascendente a sua volta compensato da guerre, shock climatici e epidemie: 100 milioni di abitanti nell’età del bronzo, 250 allo scoccare dell’era cristiana, 750 all’inizio della rivoluzione industriale. È proprio qui che subentra il break con le sue enormi implicazioni, dato che a un primo raddoppio (da 1 a 2 miliardi tra 1800 e 1927) ne seguono un secondo (da 2 a 4 tra 1927 e 1974) e un terzo (da 4 a 8 entro il 2023), con la cifra di proiezione (i citati 10 miliardi del 2100) che vede in ogni caso nel secolo in corso un incremento assoluto più o meno pari a quello novecentesco.
Nella cornice di questo squilibrio, Livi Bacci ricostruisce l’asincronia-asimmetria decisiva: quella tra i tempi dei Paesi occidentali (dove il salto demografico è cominciato a inizio Ottocento e si è concluso con la generazione baby-boom del Novecento) e quelli dell’Africa (specie sub-sahariana) o di certe aree asiatiche, dove invece il processo è cominciato nella seconda metà del Novecento e si concluderà nei prossimi decenni. A sintesi-emblema, bastino, tra i tanti, un paio di dati: quello che vedrà la stessa Africa subsahariana passare nei prossimi 35 anni da 962 a 2.123 milioni di abitanti (un largo raddoppio) e quello che vedrà il rapporto Russia-Pakistan capovolgersi simmetricamente (nel 1950 i russi erano il triplo dei pakistani, nel 2050 saranno un terzo). È una diffrazione che si traduce in un opposto quadro prognostico-diagnostico: tanti Paesi occidentali dovranno rilanciare la natalità per pagare le pensioni, affrontare i costi di vecchiaie prolungate e non delegare il rimpiazzo generazionale solo ai migranti; tanti Paesi africani e asiatici dovranno invece ridurla d’urgenza, eleggendo le pratiche contraccettive a timone operativo, ma anche diminuendo la mortalità infantile (dissuasione a fare tanti figli) e diffondendo istruzione e consapevolezza, chiavi per un contenimento demografico non più legato a pratiche come l’aborto selettivo sulle femmine.
Riconducendo alla pressione demografica anche il mutamento climatico (vedi l’aumento di 80% di gas serra, tra 1970 e 2010, dovuto per il 50% proprio all’incremento di abitanti), i flussi migratori (compensazioni redistributive tra Paesi ricchi e invecchiati e altri poveri e giovani) e gli assetti socio-economici (con la definitiva e crescente prevalenza di addensamenti urbani rispetto alle campagne), Livi Bacci, pur non condividendo posizioni apocalittiche, sembra distanziarsi anche dai teorici della «fine della demografia». Da chi, cioè, intravede all’orizzonte una sorta di assestamento che porterà le popolazioni a stabilizzarsi di numero e le migrazioni ad azzerarsi. E questo suo sguardo oggettivo — intrinseco alla disciplina demografica — ci aiuta a considerare i dati senza ombre ideologiche: per esempio, quelli su certi flussi migratori (il +83% di musulmani nell’Ue «a 27» tra 1990 e 2010), di cui nessuna retorica dell’accoglienza può velare l’impatto problematico; o quelli su certi deficit di volontà politica (i 7-9 miliardi di dollari utili contro Aids, malaria e Tbc in Africa ammontano a metà fra un terzo e un quarto delle esportazioni mondiali di armi 2013), che nessuna retorica può far digerire.
Non tutto, nel percorso di Livi Bacci, ha la giusta messa a fuoco: le categorie di Eros e Thanatos come equivalenti dell’«istinto riproduttivo» e dell’«istinto di sopravvivenza» suonano quanto meno ambigue. In compenso, circola nel libro un costante contrappunto ironico, come nell’evocazione di Simeone lo Stilita, il monaco siriano del IV-V secolo d.C. vissuto per 37 anni in cima a una colonna nutrendosi al minimo, e quindi eletto a «modello per l’ambientalismo più estremo». È un utile esorcismo verso visioni meno lievi: non tanto o non solo quelle di futuri sovrappopolamenti distopici, quanto quelle — in cui siamo già immersi — di tante megalopoli-mondo e delle loro disagiate periferie.

Trend inversi tra Europa e AsiaCastronovo Domenicale 3 1 2016
Nei diecimi la anni di storia dell’uomo che intercorrono fra l’età segnata dalla nascita dell’agricoltura e dell’allevamento (col passaggio dal nomadismo alla stanzialità) a quella attuale innescata dalla rivoluzione industriale e dall’espansione dell’urbanesimo, la popolazione si è man mano moltiplicata, da dieci milioni a dieci miliardi, quali si prevedono entro il prossimo mezzo secolo. Di conseguenza, ognuno di noi dispone oggi (in uno spazio occupato anche da una gran moltitudine di fabbriche, servizi e infrastrutture) di una superficie molto più ridotta rispetto a quella che si trovarono a utilizzare i nostri lontani antenati; in compenso, consumiamo individualmente molta più energia, sino a cento volte maggiore nei Paesi più ricchi, rispetto alle poche migliaia di calorie dei nostri remoti progenitori (fra la loro energia corporea e muscolare e quella fornita, all’occorrenza, da qualche animale da tiro, dai ruscelli per i mulini, o dal vento per le vele delle imbarcazioni).
Massimo Livi Bacci ha rievocato, nei suoi tratti distintivi e nelle sue implicazioni, questa complessa evoluzione demografica, a cui ha corrisposto un’incessante occupazione antropica della Terra, nelle pagine di un saggio agile e istruttivo. Dalla sua analisi è dato riscontrare come la crescita della popolazione e quella delle risorse sia avvenuta con sequenze e modalità differenti nel corso del tempo e in misura profondamente diversa a seconda delle varie aree geografiche.
In pratica, se dai 100 milioni di abitanti nell’età del bronzo ai 750 in quella inaugurata dalla macchina a vapore i trend ascendenti della popolazione non hanno registrato durante questo lungo percorso variazioni incrementali di particolare rilievo nel rapporto fra nascite e morti a livello globale, dopo di allora hanno invece preso a correre sempre più rapidamente e ad assumere dimensioni quantitative assai consistenti. Tant’è che a un primo raddoppio della popolazione fra il 1800 e il 1927 (da uno a due miliardi), ne è seguito un secondo (da due a quattro miliardi) in neppure mezzo secolo (fra il 1927 e il 1974), e adesso è in corso un ulteriore raddoppio (da quattro a otto miliardi di abitanti entro il 2023), a cui si aggiungeranno (come si dà per certo) altri due miliardi di persone nel giro di una sola generazione. Si è manifestata perciò, dagli anni Venti del Novecento in poi, un’eccezionale impennata nel processo di sviluppo demografico (malgrado si sia trattato d’un periodo funestato dalla Seconda guerra mondiale e da tante altre tragedie), in quanto essa è stata resa possibile dai notevoli progressi realizzati in ogni campo dell’economia, nella medicina e sanità pubblica, nelle strutture sociali e civili.
Peraltro, negli ultimi due secoli la crescita demografica e quella delle risorse non è stata tendenzialmente omogenea, ma anzi fortemente difforme e asimmetrica tanto nelle sue traiettorie temporali che nei suoi risvolti materiali e potenziali. Mentre nei Paesi occidentali l’ascesa numerica della popolazione, iniziata ai primi del Diciannovesimo secolo, ha toccato il culmine subito dopo la metà del Novecento (col boom economico e un miglioramento generale delle condizioni di vita), in alcune regioni dell’Asia centrale e del Sud-est, nonché nell’Africa sub-sahariana, l’incremento demografico ha preso avvio dalla seconda metà del secolo scorso e procede ora speditamente, quando in Occidente e soprattutto in Europa sta verificandosi invece una riduzione pronunciata degli indici di natalità, in coincidenza con una crescente longevità. Tuttavia, un rilancio della natalità e l’apporto dell’immigrazione potrebbero evitare nei Paesi più avanzati un collasso del sistema del Welfare. A loro volta, in alcuni Paesi del Sud-est asiatico e dell’America Latina, oggi sempre più affollati, adeguate pratiche contraccettive ed efficaci politiche sociali potrebbero scongiurare un’esplosione demografica insostenibile.
A queste e ad altre circostanze e strategie di segno positivo o tali da assorbire determinate conseguenze di segno negativo, fa riferimento Livi Bacci, distanziandosi da certe ipotesi pregiudizialmente pessimiste sullo scenario del Ventunesimo secolo che vanno oggi per la maggiore. Perciò, come egli auspica, è fondamentale che si diffonda la coscienza del limite.

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