mercoledì 9 dicembre 2015

Alcune lettere di Proust a Polignac

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Proust e il principe Pierre quell’amicizia (non) ritrovata 
Alberto di Monaco rende pubbliche le lettere dello scrittore a suo nonno 

Leonardo Martinelli Stampa 10 12 2015
Da anni gli appassionati di Marcel Proust, ancora numerosi in Francia, coltivavano il mito di alcune lettere dell’autore della Recherche, rimaste segrete, eppure (si diceva) così belle. Verità? Finzione? Con Proust non si sa mai. E invece quella corrispondenza esisteva davvero, nascosta in uno strano portaritratti di plastica, come quelli che si comprano nei luoghi di vacanza (la Costa Azzurra, ad esempio). Un principe ha custodito gelosamente quell’oggetto nella sua camera, fino all’ultimo giorno della sua vita: era Ranieri III di Monaco. Un altro principe, Alberto II, ha deciso (con una buona dose di coraggio, perché quelle lettere infrangono segreti intimi di uomini d’altri tempi) di renderle pubbliche.
Sono quattro lettere e un telegramma, che Proust scrisse al suo amico Pierre de Polignac, discendente di una delle più antiche casate della nobiltà francese, ma che ai tempi di quelle missive, negli Anni Venti del secolo scorso, era già diventato Pierre, principe di Monaco, dopo aver sposato Charlotte, unica erede della casata dei Grimaldi. Lei era figlia di Luigi II, alla guida del Principato dal 1922 fino al ’49, quando, ad appena 26 anni, gli succederà il nipote Ranieri, figlio di Pierre e Charlotte. L’amico di Proust, sceso giù sulle rive del Mediterraneo dopo quel matrimonio (giudicato insolito dalla sua cerchia di amici parigini), non regnò mai. Ma, personaggio sensibile e responsabile, compensò i frequenti vuoti di potere del suocero e il disinteresse della moglie per le cose pubbliche, arrivando a influenzare non poco la sorte di Monaco.
Ritorniamo alle lettere. Il principe Alberto le ha consegnate (ancora nel portaritratti di plastica) agli archivi del Palazzo, dove sono raccolti documenti che vanno da certe preziose carte medievali alla corrispondenza tra Grace Kelly e i più celebri attori di Hollywood. Le lettere di Marcel a Pierre sono state esaminate dai grandi esperti dello scrittore, tra cui Jean-Yves Tadié, uno dei più accreditati. Si tratta di letteratura: inevitabile, quando c’è di mezzo Proust. Come tutte le altre sue missive, sono piene di affetto e rimproveri, fino a vere prese di giro, nei confronti del destinatario come di sé stesso. Una riporta al centro la riproduzione del ritratto fatto allo scrittore dal pittore Jacques-Emile Blanche. Una postilla recita: «Non ho mai avuto un naso così nero e peloso».
Pierre, nato nel 1895, faceva parte del cenacolo di giovani intellettuali, raccolti a Parigi intorno al maestro. Fu diplomatico, amico di Paul Morand: era estremamente colto. Per uno dei personaggi della Recherche, Robert de Saint-Loup, Proust si ispirò a vari amici. E, sembra, anche a Pierre. Scriveva che «era uno di quegli intellettuali e conversatori difficili da far smettere di parlare». Nel 1920 si sposò con Charlotte, che Luigi II aveva avuto da Marie-Juliette Louvet, attrice di quart’ordine e poi lavandaia nella caserma dove il principe soggiornò, militare nel terzo reggimento di cacciatori d’Africa della Francia (poi, però, sposò la donna e riconobbe anche la figlia). A Parigi non capirono mai la scelta di Pierre.
Nelle lettere a un certo momento qualcosa andò storto, perché Proust chiese un aiuto (la ricerca di danarosi finanziatori) per la pubblicazione di un’edizione lussuosa di All’ombra delle fanciulle in fiore. Pierre non rispose, forse un po’ deluso da quell’amico che voleva servirsi delle sue entrature principesche. Stizzito, lo scrittore gli mandò un telegramma (compreso nel materiale consegnato da Alberto II: tutto sarà pubblicato nella rivista Annales Monégasques), dove chiese una risposta imminente.
I due non ebbero più rapporti. Anche se, più tardi, Proust ammise che Pierre era «qualcuno che non voglio più vedere ma che apprezzo infinitamente». Il principe ebbe una forte influenza sul figlio. Soprattutto spinse Ranieri ad arruolarsi con i francesi alla fine della Seconda Guerra mondiale, così da lavare l’onta della più che sospetta germanofilia di Luigi II. Pierre morì nel 1964. Si era separato da Charlotte: fino alla fine fu un mecenate, invitò numerosi artisti a Monaco. Non parlava mai di Proust. Perché era un vero signore.


“Il vostro fidanzamento mi strazia” Ecco le lettere censurate tra Proust e il principe di Monaco 
Alberto II ha fatto cadere il segreto di Stato che nascondeva la corrispondenza tra l’autore della “Recherche” e Pierre de Polignac, padre del sovrano Ranieri III

DARIA GALATERIA Repubblica 9 12 2015
«Non ho mai avuto quel naso nero e peloso», scrive Marcel Proust a Pierre de Polignac: «è una creazione dello stampatore». Il famoso ritratto di Jacques Emile Blanche, che ritrae uno squisito Marcel in abito da sera con un fiore all’occhiello, è stato in effetti scherzosamente ritoccato – da Proust stesso, si immagina – con due baffi da mandarino cinese, e una piccola macchia da muso di gatto sul naso. L’immagine accompagna una delle lettere che Proust ha scritto all’amico, diventato Principe di Monaco. Il pettegolo e mondanissimo Abate Mugnier, il confessore del bel mondo parigino, sosteneva che Proust lo avesse inondato di lettere in albergo, a ogni tappa del viaggio di nozze.
Il conte Pierre de Polignac aveva fatto, nel 1920, un matrimonio regale. Aveva sposato, infatti, a Monaco Charlotte, la figlia del futuro Louis II di Monaco e di un’attrice, lavandaia nella caserma dove si trovava il principe, tra i cacciatori d’Africa. Louis II l’aveva riconosciuta, titolata come duchessa di Valentinois e legittimata per la successione alla corona; sposandola, Pierre de Polignac aveva dovuto rinunciare al suo nome illustre per assumere quello della consorte, e consentire così alla stirpe dei Grimaldi di non estinguersi. Nel 1923, era nato Ranieri, futuro Ranieri III e marito di Grace Kelly.
Le lettere scambiate tra Proust e Pierre de Polignac, considerate “compromettenti”, erano sempre rimaste nella stanza da letto di Ranieri, che le conservava dentro un album porta-foto insieme ad altri ricordi e documenti preziosi e riservati. Ma ora il nipote di Pierre, il principe Alberto II, ha levato il segreto di Stato che copriva le lettere di Proust. Escono, affidate alla cura del grande proustiano Jean-Yves Tadié e a Jean-Marc Quaranta, che hanno decifrato le carte e le hanno annotate. Per vederle riprodotte e leggere i commenti dei due studiosi, bisognerà procurarsi il prossimo numero della rivista Annales monégasques, revue d’histoire de Monaco pubblicata dagli Archivi del Palazzo, che sotto la direzione dello storico Thomas Fouileron conserva i tesori e i segreti della dinastia – comprese le lettere della principessa Grace agli amici di Hollywood.
Le lettere di Proust sono quattro, più un telegramma. L’ultima missiva è di venti pagine. Proust invita il principe, il vecchio amico, a scrivere, sembra addirittura offrire possibili consigli: «Alcuni esseri dotati non sanno da soli mettersi in comunicazione con l’arte». Intanto gli chiede la sottoscrizione a un’edizione di lusso di All’ombra delle fanciulle in fiore, nel formato detto, dal 1741, “Grand raisin” (Grande uva): «Mi fareste un grande piacere se poteste interessare una o due persone ricche e liberali a un’edizione di gran lusso». Ma al “raisin in quarto” (32x24 cm) il principe di Monaco risponde inviando uva sultanina; ironia o sdegno? si chiede, sul Figaro, lo scrittore e storico dell’arte Adrien Goetz. Proust è ferito: «Sono tre settimane che vi ho inviato una lettera infinitamente lunga e soprattutto così importante per i vostri libri, e il mio. Non ho ricevuto una parola da voi e mi preoccupa che rispondiate a tanta amicizia con così poca». Proprio nel 1920, Proust decide che nella Recherche la figlia del farsettaio Jupien – che il grande suo innamorato, l’aristocratico barone di Charlus, ha voluto adottare – prenderà il nome di mademoiselle d’Oloron («evitare», annota Proust, «il nome Vermandois, a causa di Pierre de Polignac »: sarebbe un nome troppo simile a Valentinois). Proust scriverà di questa sua attenzione all’amico. Ma mondanamente, scherzerà sull’amico di un tempo, che ora bisogna chiamare Altezza Serenissima. Racconterà per lettera la serata del 13 giugno 1922, nella casa, «una delle più belle di Parigi», di madame Hennessy. Proust vi ascolta e riporta una conversazione: «Oddio, sono due ore che cantano. Ma chi è questa signora che a sua volta vuole cantare?». «È la sorella di sua Altezza Serenissima». «Quale Altezza?». «Pierre ». «Ah! in effetti canta canzoni monegasche ».
Sono lontani i tempi in cui Proust poteva invitare a cena, «vicino al letto, nel piccolo provvisorio appartamento ammobiliato » in cui vive, il primo dell’anno, insieme a due o tre amici, il bellissimo e molto biondo conte Pierre de Polignac. Pierre tornerà da Proust il 4 gennaio: ma a febbraio Proust gli scrive: «Caro amico, il vostro fidanzamento mi ha dato una grande gioia e un profondo strazio. La prima volta che ho avuto della simpatia per voi, stavate per partire per la Cina» (Polignac è diplomatico). «Questa volta, che l’amicizia era ormai grande, partite per sempre. Ma è una tristezza consolata dall’arte perché avevo previsto nel romanzo il vostro matrimonio».

Proust  La vendetta d’amore nascosta nella “Recherche”Pubblicate le lettere che svelano il tema segreto della RechercheLa rottura di un legame e la sua trasfigurazione romanzesca Pubblicate in Francia le lettere dello scrittore a Pierre de PolignacBERNARDO VALLI Rep 18 11 2016
TRE anni fa, nel 2013, è stato celebrato il centenario della pubblicazione di Dalla parte di Swann, il primo dei sette volumi di Alla ricerca del tempo perduto. Poi apparsa al completo nel 1929, quando Marcel Proust era morto da sette anni. Ancora oggi, dopo quasi un secolo, scoperte soltanto in apparenza marginali consentono di misurare quanto di quel che gli accadeva nel quotidiano lo scrittore riversasse nel suo romanzo. Sono conferme della grande rivincita proustiana sulla vita. È come se per lui, nella letteratura, si realizzi quel che non gli riesce nell’esistenza ordinaria. La mondanità esplorata nei riti, nei personaggi, nei mutamenti sociali, e l’amore seguito lungo il tormentato percorso dalla passione alla gelosia, all’abbandono, rivivono nelle sue pagine.
SEGUE A PAGINA 43
Di questa trasposizione sono ulteriori e preziose testimonianze le cinque lettere inedite di Proust al giovane Pierre de Polignac e un’ altra a Robert de Montesquiou (“Lettres au duc de Valentinois”, Gallimard) pubblicate con l’analisi di un meticoloso e brillante detective letterario, Jean-Marc Quaranta.
Il quale, prima di accompagnarci nella lettura dell’epistolario riemerso, ci ricorda come Marcel Proust abbia sostenuto, contro Sainte-Beuve, che l’io creatore è ben distinto dall’io sociale. La vita di un artista
non sarebbe, dunque, la chiave per capirne l’opera. Semplificando, era un’ingiunzione dello scrittore ai critici. Ai quali diceva: giù le mani dalla mia esistenza privata, quando siedo in un salotto non sono quello che scrive. Era, la sua, una reazione all’abusata abitudine di leggere l’opera attraverso la biografia dell’autore. Il muro difensivo di Proust, per quel che lo riguarda, non si è però rivelato insuperabile. Non che sia stato demolito del tutto. Della sua esistenza, vissuta (come riassume Jean-Marc Quaranta) tra una reclusione quasi monastica al servizio della letteratura e una sete di mondanità con incontri e scambi col prossimo, tanti angoli sono rimasti nell’ombra o sono stati cancellati dal tempo. La curiosità sempre viva spinge, però, a un’indagine assillante e amorosa. Ed è avido chiunque desideri entrare nell’opera di Proust, e quindi sapere quel che c’è della sua vita nelle pagine dove l’io sociale si nasconde sotto l’ io creatore. Sainte-Beuve, il grande critico dell’Ottocento, è stato quasi dimenticato, ma il metodo che incarnava ha resistito e in particolare per il suo “avversario”.
L’amicizia che si conclude con le lettere scritte nel 1920 e pubblicate soltanto adesso (dopo che l’ attuale principe di Monaco, Alberto II, le ha rese note) era cominciata tre anni prima, alla vigilia della partenza di Pierre de Polignac per Pechino. A ventidue anni il figlio del conte Maxence de Polignac e di Suzanne de la Torre y Mier debuttava nella carriera di diplomatico. I primi contatti con Proust non erano stati facili. Il giovane nobile, discendente di un antico casato, descritto come bello e seducente, non deve essere stato attirato a prima vista dallo scrittore di quarantasei anni e dall’aspetto piuttosto malandato. Ma poi sono prevalse le qualità intellettuali e personali e tra i due è nata un’amicizia, favorita dai mecenati della famiglia di Pierre, nipote di Edmond de Polignac e di Winaretta Singer, due artisti che Marcel frequentava. Nel 1920, l’anno della rottura, Pierre de Polignac si sposa con la duchessa di Valentinois, nipote adottiva del principe di Monaco, e cessa di essere il conte di Polignac per diventare il duca di Valentinois. Ed è a quel punto che nasce il litigio tra i due amici. I motivi che l’avrebbero provocato possono essere stati tanti: la non risposta di Pierre all’invito di Marcel ad acquistare un’edizione di lusso di All’ombra delle fanciulle in fiore; lo scrittore lo considera un imperdonabile sgarbo; il silenzio di Pierre ai ripetuti messaggi di Marcel; un appuntamento mancato; il matrimonio con la duchessa di Valentinois. Quest’ultimo motivo può apparire il più attendibile, vista la tendenza dello scrittore alle amicizie passionali, e il suo interesse per l’aristocrazia e in particolare per un nobile giovane e bello. L’omosessualità di Proust favorisce quest’ultima interpretazione. Nella bella lettera di venti pagine all’amico perduto scrive: «Caro amico, il suo fidanzamento mi ha dato una grande gioia e un profondo strazio. La prima volta che ho provato simpatia per lei, lei partiva per la Cina; questa volta, nel corso di una grande amicizia, lei parte per sempre».
Jean-Marc Quaranta, il detective letterario, avverte che lo snobismo di Proust era meno acuto di quel che si creda; e che il suo amore era forse più complesso di quello che uno si immagina. Era certamente sedotto dal fascino, dall’intelligenza, dalla finezza dell’amico. Ed è altrettanto probabile che avesse percepito in lui un uomo «distante dal gentil sesso». Il mondano, il lettore di Saint-Simon appassionato di genealogia, era inoltre abbagliato dai titoli nobiliari del conte de Polignac, del duca de Valentinois, del principe di Monaco. Ma ridurre la rottura con Pierre a una collera dello snob o dell’innamorato respinto, significa semplificare la psicologia di un essere che semplice non era. L’amicizia di Proust era ritmata da bruschi, anche violenti cambiamenti d’umore, da improvvisi slanci generosi, da astuzie psicologiche che lasciavano perplessi i destinatari.
Diceva Jean Cocteau che talvolta rimproverava agli intimi intrighi di un machiavellismo contorto, oppure sgarbi cosi assurdi che era impossibile sentirsi colpevole. Bisognava allora fingere di esserlo, stare al gioco, non contraddirlo, e provargli appena possibile la propria innocenza. «È il labirinto del mercanteggiamento orientale senza il quale l’amicizia per Marcel Proust non avrebbe alcun fascino», conclude Cocteau.
Quelle appena rivelate sono senz’altro lettere d’ amore a un nobile giovane e bello, ma sono anche lettere d’amore per la letteratura nella quale Proust vede la sola cosa capace di dare un senso alla vita. E infatti non perde l’occasione per dare, all’amico che sta per perdere, preziosi consigli sull’arte di scrivere. Lo esorta: «Lavori. Scritta in una lettera o in un libro, una frase ha lo stesso valore, e certe sue frasi non mi lasciano dubbi sul suo talento». E cita gli esempi da seguire: quello di Maeterlinck che si accontentò all’inizio di tradurre Novalis; e quello di Fromentin che di una raccolta di lettere fece un libro.
Ma, in questa vicenda che lo ferisce, l’io sociale non può evitare di fondersi nell’io creatore. La vita entra nel romanzo che diventa vita. Poiché Proust sta correggendo le bozze di I Guermantes, terzo volume della Ricerca, prima di mandarle in tipografia arricchisce la descrizione del principe di Lussemburgo, ex conte di Nassau, in cui si riconosce senza alcun dubbio il principe di Monaco, ex conte de Polignac. Il personaggio della fiction, il conte di Nassau, ha sposato «la figlia unica di un principe proprietario di un immenso affare di farina », per questo chiamato “il mugnaio”, il quale fa del genero il gran duca ereditario di Lussemburgo. È chiara l’allusione al matrimonio tra il principe Pierre e Charlotte, figlia naturale del principe Louis e della “commediante” e “guardarobiera” Marie-Juliette Louvet, adottata dai principi Grimaldi di Monaco e fatta duchessa de Valentinois. Proust alterna cattiverie e gentilezze nelle aggiunte al terzo volume della Ricerca ultimato nell’agosto-settembre 1920, la stagione della rottura con Pierre. Racconta aneddoti che ridicolizzano Luxemburg- Nassau, alias Polignac-Valentinois, e subito li smentisce. La ferita non si era chiusa. Ed era a due anni dalla morte. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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