mercoledì 9 dicembre 2015

Il conflitto tra genitori e figli nel mondo antico

Non sei più mio padreEva Cantarella: Non sei più mio padre. Il conflitto tra genitori e figli nel mondo antico, Feltrinelli

Risvolto
A fronte della crisi del concetto stesso di famiglia e di atroci episodi di cronaca che hanno scosso i parametri del rapporto genitori-figli, Eva Cantarella è venuta interrogandosi – forte dei suoi strumenti di studiosa del diritto e della cultura antica – sulla storia di quel rapporto che, insieme alla dinamica degli affetti, porta inevitabilmente con sé tensioni, conflitti, e molto spesso violenza. Questa conflittualità sembra legata alla sola modernità, ma affonda le sue radici lontano: nei miti teogonici, nella famiglia patriarcale, nelle storie, spesso sanguinose, che la letteratura testimonia con straordinaria evidenza; nella mitologia, nei poemi omerici e nella tragedia classica, dove il tema della famiglia diventa il teatro pieno d’ombre della ferocia, della vendetta, della ribellione. Un teatro che, se a tutta prima parrebbe non implicare uno scontro generazionale, in realtà lo contiene, lo nutre, lo agita. Ecco allora che il conflitto, così presente nell’attuale agenda politica, si lascia leggere anche alle origini della nostra civiltà là dove i giovani entrano in rotta di collisione con la gerontocrazia. Secondo modalità e procedure che la lettura del mondo antico porta progressivamente alla luce.
Una volta di più Eva Cantarella si rivela affascinante evocatrice di personaggi e di storie, da Crono, signore dei Titani, divoratore dei suoi stessi figli, a Teseo, il parricida che uccide il proprio figlio, da Telemaco l’obbediente a Ettore il saggio, sia come padre sia come figlio, dai ribelli Antigone e Oreste a Medea, madre assassina.


Il conflitto tra genitori e figli? Una storia che parte da lontano 
Crono evira Urano che lo ha concepito E mangia la prole per non essere detronizzato Casi estremi come Edipo e Medea dimostrano che il tema era molto scandagliato 
9 dic 2015  Corriere della Sera Di Livia Capponi © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Nell’epoca del «tramonto del padre», il nuovo libro di Eva Cantarella, intitolato appunto Non sei più mio padre (Feltrinelli), approfondisce il tema dei rapporti fra genitori e figli nell’antica Grecia, da Omero a Socrate. Nella famiglia per eccellenza, quella con dimora sull’Olimpo, la partenza non è delle migliori, con il terribile Urano, il Cielo, che ricaccia nell’utero i figli concepiti da Gea, la Terra, finché uno di essi, Crono, il Tempo, lo evira con un falcetto. A sua volta Crono mangia i figli per paura di essere detronizzato. Gli sopravvive Zeus, che diventa il tipico patriarca. Eternamente sposato con Era, la tradisce senza sosta, seminando figli in tutto il mondo. Quando Era usa la seduzione per ingannarlo, lui la appende al cielo per i piedi, lasciando gli altri dèi sbigottiti e impotenti. Zeus genera anche due figli da solo: Atena dal cervello, e Dioniso dalla coscia,  dove l’aveva provvisoriamente cucito ancora in stato embrionale. Quale esempio migliore dell’invidia del monopolio della donna su gravidanza e parto? 
Nel canto VI dell’Iliade, Ettore è un padre affettuoso: solleva il figlioletto e si augura che diventi più forte di lui. La sua famiglia, però, non è diversa dalle altre: Andromaca tiene in casa anche i figli illegittimi e afferma di averli pure allattati, per far piacere al marito. Perfino Penelope, fedele per vent’anni a Ulisse — che nel frattempo aveva avuto altre donne e forse figli — è guardata con sospetto fino alla fine. Anche dalle migliori ci si aspettava che potessero dilapidare il patrimonio, sposandosi con un altro. Del resto, fino al 1967 l’adulterio fu un reato esclusivamente femminile. Telemaco è cresciuto debole, aspettando il ritorno del padre, e solo la realizzazione di tale attesa riesce a fargli riprendere il controllo sul regno e su se stesso. Un ruolo importante lo hanno nutrici e servitori che allevano gli eroi omerici: capaci di affetto autentico, sostengono più generazioni nel superare i traumi. 
Dalla commedia di Aristofane abbiamo indizi di una ribellione giovanile nell’Atene del V secolo a.C., causata dal fatto che i padri detenevano il controllo del patrimonio fino alla morte, lasciando i figli ormai adulti senza indipendenza economica. Peggiora le cose la scuola dei sofisti, fautori della necessità di una continua ricerca critica, che mette in discussione i valori della famiglia patriarcale. La crescita delle istituzioni democratiche, aumentando la coscienza dei giovani, porta inevitabilmente a conflitti generazionali. L’allievo di Socrate, Alcibiade, che arriva a contestare lo stesso Pericle sul rapporto legge-giustizia, è il prototipo del «rottamatore». Perciò, dopo il colpo di Stato dei Trenta Tiranni, la rinata democrazia, vulnerabile e impaurita, vota la morte di Socrate, visto come il «cattivo maestro» di una gioventù irrispettosa e arrogante. 
L’autrice fa riflettere sugli errori di chi vide nelle conquiste della democrazia un pericolo per la polis. La dialettica filosofica non implica per forza la distruzione della morale, anzi aiuta a smascherare le contraddizioni sociali. Molti padri ateniesi lo sapevano e aggiravano le leggi patriarcali, rinunciando in vita a parte del patrimonio per permettere ai figli un’esistenza migliore. Non solo padri padroni e figli obbedienti, dunque. Edipo, Medea e gli altri casi estremi dimostrano lo sviluppo di una profonda consapevolezza delle pieghe che i rapporti familiari potevano prendere, fra affetto e conservazione di patrimonio e potere.


Il mondo antico Torbide vicende da numi
Oggi come ai tempi di Omero la violenza bruta è una cifra essenziale degli eventi che narrano l’inizio di questo mondodi Maria Bettettini Il Sole Domenica 13.12.15
Il vento del Nord, Borea, si innamora delle tremila cavalle del re Erittonio, giace con loro, diventa padre di dodici puledre. Crono divora i suoi figli e Zeus ingoia la sposa incinta, Metis (ma poi Zeus divenne marito di Hera, che era anche sua sorella). Per questo Atena nasce dalla testa del padre, preceduta da una forte emicrania. Si sa, le vicende mitologiche non sono mai sdolcinate favole: la narrazione dell’inizio di questo mondo deve raccontare eventi che lo rispecchiano e lo superano, la violenza bruta ne è una cifra essenziale. Lo era ai tempi di Omero, lo è oggi. Oggi che ancora amiamo leggere Omero, Esiodo, Virgilio. Certo, avere una guida per quelle pagine così lontane così vicine, è sempre di grande aiuto. Quando poi la guida scrive bene ed è appassionata, diventa un piacere rileggere di Ulisse e di Achille, di Enea e delle torbide vicende dei numi. Alcuni libri usciti di recente hanno queste caratteristiche. Per esempio quello di Eva Cantarella, che da tempo ci ammalia raccontando storie che in fondo sono sempre le stesse, ma mutano colore col cambiare del punto di vista. L’ultimo lavoro studia il rapporto tra padre e figlio nel mondo greco, il prossimo farà lo stesso per quello latino. Come si diceva, gli antefatti mitologici sono un affresco di efferati eventi da cronaca nera. Neonati divorati o costretti a non nascere, incesti, padri evirati. Con la conquista del potere da parte di Zeus si stabilisce una certa pace, un certo ordine, nel rispetto di parentele e nascite. Traditore seriale, Zeus era tuttavia riconosciuto come giusto giudice, ai tempi in cui anche la Grecia si dava delle regole e scandiva diritti e doveri. Sorsero i tribunali, si scrissero le leggi, si costruì una mitologia comune, fondata sulla trasmissione orale dei poemi omerici. Ancora commuove Ettore che toglie l’elmo per prendere in braccio il suo bambino, spaventato dal cimiero: lo aspetta il duello con Achille, la morte certa. Telemaco, a confronto dell’avventuroso Ulisse, sembra un adolescente svogliato; Fenice racconta di aver sedotto l’amante del padre su ordine della madre. Ma sono eccezioni, i poemi devono educare, quindi presentare esempi di virtù. Nella storia è più difficile incontrarne, per esempio Alcibiade non dava certo retta a Pericle, suo zio e tutore.
Il libro di Cantarella prosegue poi studiando i padri raccontati dalle tragedie e dalle commedie, aggiungendo agli scarni dati mitologici aperture su temi molto dibattuti, come l’influenza dei costumi orientali, la trasmissione scritta e orale del sapere, il maschilismo che legalmente trasformava i padri in tiranni. Non è tutta bella né tutta cattiva, la cultura dei Greci, e dove leggiamo di un figlio ben poco affettuoso verso il padre, scorgiamo anche l’uomo che ci ha permesso di capire la nostalgia, parte costitutiva del nostro essere nel mondo. Ulisse infatti non ha grandi attenzioni per Laerte, però incarna con la sua vita l’insoddisfatto ed eterno vagare della nostra anima. Lo spiega bene Barbara Cassin in un libro che presenta un’altra possibile lettura del mondo antico, seguendo il tema della nostalgia. Ulisse è l’uomo che soffre per un ritorno a casa continuamente differito (nostalgia è infatti “dolore del ritorno”), che soffre anche nel ritorno, perché non viene riconosciuto e non riconosce, non subito, e soprattutto perché dopo la battaglia contro i Proci potrà godere ben poco della sua casa, della sposa, del letto scolpito in un albero antico. Come gli ha annunciato Tiresia negli Inferi, il re di Itaca deve subito ripartire, andare lontano dove non si conosce il mare, quindi il cibo è insipido e gli uomini confonderanno un remo per uno strumento agricolo. Là onorerà Poseidone, il dio del mare con cui è in lotta da quando gli ha accecato il figlio Polifemo, e poi potrà di nuovo tornare a casa. Ma noi sappiamo che non tornerà.
Molto diverso dal quasi divino Ulisse, dal mondo dove gli dèi sono simili ai mortali e a loro si mescolano, il pio Enea a sua volta affronta molte peripezie non per tornare in patria, ma per fondarne una nuova. Il vecchio padre che si porta sulle spalle e che sopravvive a parte del viaggio è tutto ciò che Enea ha con sé di Troia distrutta. In Lazio deve mescolare il suo sangue con quello latino, perché il suo discendente Romolo possa fondare Roma. Giunone non lo perseguiterà più, a patto che accetti di parlare solo la lingua latina, in una nuova patria di un nuovo popolo. Interessanti anche le riflessioni di Cassin sulla lingua come patria, applicate al caso specifico di Hanna Arendt e della lingua tedesca, l’unica appartenenza che sentisse sua. Infine, un brevissimo curioso saggio, in cui si presenta la diffusa credenza antica della capacità del vento di rendere gravidi alcuni animali, come i cavalli e gli avvoltoi. Omero diceva essere Zefiro il padre dei cavalli velocissimi Xanto e Balio, Aristotele dedusse questa legge di natura dall’osservazione degli uccelli e dei loro nidi. Qualche teologo riprese la credenza per rendere meno miracoloso il concepimento della Vergine per il soffio dello Spirito. Come se rispetto alla maternità di una vergine fosse più facile da accettare il vento del Nord che giace con le sue tremila cavalle. 

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