domenica 6 dicembre 2015

La guerra civile internazionale del Novecento secondo Ian Kershaw


Ian Kershaw: To Hell and Back. Europe, 1914-1949, Allen Lane

Risvolto
In the summer of 1914 most of Europe plunged into a war so catastrophic that it unhinged the continent's politics and beliefs in a way that took generations to recover from. The disaster terrified its survivors, shocked that a civilization that had blandly assumed itself to be a model for the rest of the world had collapsed into a chaotic savagery beyond any comparison. In 1939 Europeans would initiate a second conflict that managed to be even worse - a war in which the killing of civilians was central and which culminated in the Holocaust.
To Hell and Back tells this story with humanity, flair and originality. Kershaw gives a compelling narrative of events, but he also wrestles with the most difficult issues that the events raise - with what it meant for the Europeans who initiated and lived through such fearful times - and what this means for us.


Novecento Quattro cavalieri dell’Apocalisse incendiarono l’Europa intera

di Lorenzo Cremonini Corriere La Lettura 6.12.15
Molto probabilmente se nell’Europa dei nostri giorni non si tornasse a parlare di guerra, il nuovo libro di Ian Kershaw non risulterebbe tanto interessante. Non sappiamo che fare di fronte alle stragi di Parigi; alle minacce che arrivano dai campi di battaglia in Iraq, Siria, Libia; al terrorismo. Ci illudevamo di essere vaccinati contro la guerra. Ma nell’arco di poco tempo siamo passati dal «mai più guerre» alle discussioni sulle opportunità dell’intervento militare contro l’Isis, alle misure eccezionali da prendere di fronte al pericolo attentati.
Sono così le cronache odierne che danno rilevanza a To Hell and Back («All’inferno e ritorno», Allen Lane). Una lunga disamina sull’«inferno» che investì il nostro continente nella prima metà del Novecento e preparò la sua rinascita dalle ceneri delle città devastate, delle campagne martoriate, dei milioni di morti, della sfida all’ultimo sangue di ideologie totalitarie tanto minacciose per le libertà dell’individuo quanto esiziali per i regimi democratici che si erano fatti strada nel secolo seguito alla fine delle guerre napoleoniche nel 1815.
È il primo di due libri pianificati sulla storia europea del Novecento da uno dei massimi studiosi della Germania hitleriana. In questa prima parte, tema dominante è la guerra. Anzi, due guerre, scoppiate a poco più di un ventennio una dall’altra. E accompagnate nell’intervallo dalla crescita di bolscevismo, fascismo e nazismo, che produssero la strage dei kulaki in Unione Sovietica, lo sterminio degli ebrei su scala industriale, la riduzione in schiavitù di popolazioni intere, il razzismo aggressivo della teoria dello «spazio vitale» e dell’idea di una «razza eletta» destinata a dominare il mondo. E tutto questo a fronte di politiche deboli e titubanti da parte delle democrazie liberali, non aiutate dal prevalere dell’isolazionismo americano sino all’attacco di Pearl Harbor e rese zoppe dall’illusione di poter evitare un nuovo massacro dopo la Grande guerra.
Quattro, secondo Kershaw, le ragioni che condussero alla «incommensurabile catastrofe», destinate ad agire da miscela detonante in quei decenni: 1) Una esplosione di nazionalismo etnico-razzista. 2) Amare e irreconciliabili richieste di revisione territoriale e di confini nazionali. 3) La crescita di acuti conflitti di classe amplificati dalla rivoluzione bolscevica. 4) Una diffusa e protratta crisi del capitalismo, che molti commentatori dell’epoca consideravano giunto ormai alla sua fase terminale. A suo dire, tuttavia, sebbene questi fattori stessero già montando all’inizio del Novecento, la Prima guerra mondiale (vera causa preparatoria della Seconda) non era affatto inevitabile. Non c’era nulla di deterministico nel meccanismo d’innesco del conflitto destinato a segnare l’Europa. E dunque, se le cancellerie europee fossero state più attente e consapevoli del pericolo nell’estate 1914, nelle tre settimane che seguirono all’attentato di Sarajevo, ci saremmo risparmiati i quasi settanta milioni di morti (quale è la somma approssimativa delle vittime delle due guerre, più le collaterali) oltre alle devastazioni incredibili di quegli anni.
Ciò detto, il dito accusatore di Kershaw punta prima di tutto sul militarismo trionfante a Berlino e Vienna. Ma non lesina critiche agli alleati occidentali. Gli accordi segreti tra Francia e Inghilterra nel 1906 avevano stravolto gli equilibri militari, tanto da causare gravi apprensioni tra gli alti comandi degli Imperi centrali. In particolare la Germania, decisa a sfidare la supremazia inglese, andava rassicurata. Così, se nel luglio 1914 Londra si fosse dichiarata neutrale, facilmente il Kaiser avrebbe impedito la mobilitazione anche nel caso la Russia avesse continuato la propria. Qualcosa del genere avvenne anche negli anni Trenta. Se le democrazie avessero reagito con durezza il 7 marzo 1936, quando Hitler sfidò gli accordi di Versailles inviando truppe nelle zone demilitarizzate lungo il Reno, sarebbe ancora stato possibile bloccare l’espansionismo tedesco. Ma ciò non fu. La Lega delle Nazioni dimostrò la sua impotenza. E il meccanismo del conflitto si mise in moto.
Il monito di Kershaw sta nella necessità di rileggere la storia, di ricordare la gravità delle conseguenze di scelte sbagliate, di valutazioni errate. Una lezione da non sottovalutare per gli europei. La pace, la coesistenza, la libertà, le frontiere aperte, la sicurezza economica, sono beni tanto impagabili quanto fragili, per nulla garantiti. Il loro permanere sta nelle scelte dei nostri governi. Intervenire può rivelarsi dannoso tanto quanto restare passivi. Decisioni affrettate possono avere ripercussioni gravissime e riverberarsi in modo letale per decenni. Ci sono momenti in cui il mestiere della politica diventa ancora più vitale del consueto.

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