domenica 20 dicembre 2015

Le molte vite del Chisciotte



«La follia saggia di Don Chisciotte è il seme del romanzo mondiale» Lo scrittore riflette sulla letteratura citando l’ambiguità di Cervantes E spara a 360˚ su Melville, il golpe spagnolo, Grillo e la strana Europa 29 mar 2016 Libero BARBARA TOMASINO RIPRODUZIONE RISERVATA 
Negli occhi abbiamo due punti ciechi attraverso i quali non vediamo niente, questa è l'ipotesi formulata dal fisico francese Edme Mariotte nel XVII secolo. Perché non ce ne accorgiamo? 
Perché quello che non vede il sinistro lo vede il destro, e viceversa. Ma anche perché quello che l'occhio non vede, viene ricostruito dal sistema visuale, dal cervello. Questa teoria è alla base dell'ultimo saggio letterario di Javier Cercas, Il punto cieco ( Guanda, pp. 159, euro 17), una riflessione sul romanzo e sul suo funzionamento a partire da un'ambiguità di fondo, da un grande punto oscuro che illumina il romanzo stesso. Cercas, classe ’62, professore universitario di spagnolo è bestsellerista europeo con L’impostore, Il nuovo inquilino, La verità di Agamennone. 
Lei aveva anticipato questo tema ne L'impostore. In che modo definisce la natura di un romanzo? «C'è una tradizione di grandi romanzi che lavorano in questo modo: contengono una domanda centrale e il romanzo stesso è la ricerca di una risposta a questa domanda. Ma a differenza ad esempio di un giallo, in cui alla domanda alla fine viene data una risposta precisa, in questi casi non c'è una risposta chiara, tassativa, inequivocabile, ma piuttosto una soluzione ambigua, contraddittoria, poliedrica che dipende dal lettore, il vero protagonista del libro». Ci può fare degli esempi? «Per me tutto comincia con il primo grande romanzo moderno della storia, quello che crea le regole essenziali, il Don Chisciotte di Cervantes. La domanda alla base è molto semplice: Chisciotte è pazzo? Ovviamente è completamente pazzo, lo sappiamo bene, ma al contempo è l'uomo più saggio del mondo…questa ambiguità centrale è il grande punto cieco del romanzo di Cervantes. Ha costruito un personaggio che è ridicolo, comico, ma allo stesso tempo eroico, tragico». 
Nel suo libro cita anche il Moby Dick di Melville… «La domanda è chiara: perché il capitano Achab è così tremendamente ossessionato dalla grande balena bianca? Cosa rappresenta per lui? È il bene o il male? È Dio o il diavolo? E' tutto, questa è l'ambiguità centrale del romanzo, e attraverso questa oscurità che Melville conduce la sua riflessione sul bene e sul male. Un altro esempio calzante è Kafka: nel Processo ci sono tante domande che restano senza risposta ed è attraverso questo "silenzio" che il libro parla». 
Quindi i suoi lavori funzionano allo stesso modo? «Sì, anch'io costruisco i miei romanzi secondo un punto cieco centrale che tanto più è oscuro, tanto più illumina il racconto. In Anatomia di un istante, ad esempio, la domanda centrale è: perché durante il tentato golpe del 1981 il primo ministro Adolfo Suàrez è rimasto fermo, seduto sulla sua sedia, sfidando le pallottole dei militari? Stiamo parlando di un uomo che era stato organico al regime franchista e che ora rischiava la morte per difendere la giovane e debole democrazia spagnola. Non c'è una risposta univoca a questa domanda, solo ipotesi». 
Tuttavia, nei suoi libri c'è spesso un'analisi politica della società vista attraverso la lente della storia. Parliamo di oggi: la Spagna è parte del Mediterraneo, ma non è una rotta per i migranti. Questo perché riesce a difendere con efficacia i propri confini? «Il problema dei flussi migratori non è una questione “locale”, è un problema europeo e la risposta deve essere europea. Il modello secondo me può essere ancora una volta il romanzo, una delle grandi creazioni del Vecchio Continente: un genere che prende tutto, fagocita ogni cosa, eppure resta sempre romanzo, e questo divorare tutto non lo indebolisce, anzi lo rafforza. La stessa cosa può accadere alla nostra cultura con il problema dei rifugiati, i nostri valori vanno difesi perché l'Europa è portatrice di grande civiltà, ma le culture diverse vanno assorbite e viste come un arricchimento, non un pericolo. La libertà, la democrazia, la laicità, sono i nostri punti di forza che ci devono consentire, prima di tutto moralmente, di accogliere chi scappa dalla guerra. L'idea della “purezza” dell'Europa coincide con la sua morte». 
Ci sono in Spagna spinte nazionaliste come nel resto d'Europa? «Sì, infatti è un problema europeo, da quando è iniziata la crisi la domanda è sempre la stessa…crediamo in questa grande utopia che è l'Europa unita o ognuno se ne va per la sua strada? Populismo e nazionalismo finiscono per coincidere, è quello che sta succedendo in Germania, in Francia con Le Pen, ma anche in Italia con Grillo. Sono facce diverse, ma la questione non cambia: non crediamo all'Europa, crediamo solo in noi stessi. Il nazionalismo è il cancro del Vecchio Continente ed ha scatenato due guerre mondiali, non dimentichiamolo. Purtroppo ogni giorno si crede sempre meno nell'utopia comunitaria, basta considerare quello che succede in Inghilterra… eppure l'Europa senza la Gran Bretagna è semplicemente impensabile».

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