giovedì 14 gennaio 2016

Ripubblicato "Sud e magia" di Ernesto de Martino: un intervento di Giuseppe Galasso

Responsive imageErnesto de Martino: Sud e magia, edizione speciale con le fotografie originali di F. Pinna, A. Gilardi e A. Martin e con l’aggiunta di altri testi e documenti del cantiere etnologico lucano. A cura di Fabio Dei e Antonio Fanelli, Donzelli, pp. LII-318, 34

Risvolto
«In quanto orizzonte stabile della crisi, la magia offre il quadro mitico di forze magiche, di fascinazioni e possessioni, di fatture e di esorcismi, e istituzionalizza la figura di operatori magici specializzati. In quanto operazione di riassorbimento del negativo nell’ordine metastorico, la magia è più propriamente rito, potenza del gesto e della parola: sul piano metastorico della magia, tutte le gravidanze sono condotte felicemente a termine, tutti i neonati sono vivi e vitali, il latte fluisce sempre abbondante nel seno delle madri, e così via, proprio all’opposto di ciò che accade nella storia».
È venuto il momento di riappropriarsi di Sud e magia di Ernesto de Martino. A cinquant’anni dalla morte dell’autore, questo grande classico dell’indagine etnografica sul nostro Mezzogiorno può essere oggi riletto per quello che effettivamente rappresenta: un contributo – modernissimo, addirittura precorritore – alla comprensione profonda dei modi e dei riti della cultura popolare che portano al riscatto dalla «crisi della presenza» in contesti di forte e perturbata criticità. La «bassa magia cerimoniale» praticata dai contadini lucani è interpretata come un ricco istituto culturale in grado di offrire protezione esistenziale ai ceti popolari, in un regime di vita dominato dalla miseria materiale e dall’oppressione politica. Nella lettura di de Martino, riti e simboli magici non contrassegnano una mentalità primitiva collocata fuori dalla storia (com’era stato per il Carlo Levi di Cristo si è fermato a Eboli): al contrario, il libro si sforza di considerarli all’interno di una più ampia «storia religiosa del Mezzogiorno» e delle relazioni tra classi egemoniche e subalterne che in essa si istituiscono. Coraggiosamente pubblicato per la prima volta nel 1959 da Giangiacomo Feltrinelli, il libro dà conto delle ricerche condotte dall’autore sulla cultura popolare in Lucania lungo il corso di una serie di «spedizioni etnografiche», la più significativa delle quali fu compiuta nel 1952. Attraverso una intensissima osservazione sul campo, operata con l’aiuto di tecniche e strumenti di grande rigore, l’indagine analizza quelle pratiche di possessione, fascinazione e magia che «proprio per la loro rozzezza ed elementarità rivelano più prontamente i caratteri strutturali e funzionali di quel momento magico che – sia pur affinato e sublimato – si ritrova anche nel cattolicesimo», vale a dire nelle forme più complesse della religiosità meridionale. Questa nuova edizione, introdotta da un denso saggio storico-critico dei curatori, ripropone tutti i testi e le immagini fotografiche dell’edizione del 1959, corredati e arricchiti da materiali rimasti per lo più inediti, raccolti qui per la prima volta in un percorso organico che introduce il lettore nello straordinario «cantiere» etnologico lucano da cui ha preso corpo il testo di Sud e magia.

DE MARTINO ALLE FRONTIERE DELLA MAGIA 
Le iniziative per ricordare Ernesto de Martino (1908-1965) a cinquant’anni dalla morte non hanno avuto grande eco. La migliore è stata la ripubblicazione, molto accurata e apprezzabile, anche se non del tutto felice nell’interpretazione, di uno dei suoi libri a suo tempo di maggiore successo, Sud e magia, a cura di Fabio Dei e Antonio Fanelli (Donzelli, pp. LII-318, 34). 
Eppure, de Martino fu uno degli intellettuali più animati da spirito innovatore e da molteplici e feconde curiosità del ventennio postbellico 1945-1965, che resta a tutt’oggi il periodo più vivace della cultura italiana contemporanea. E, per la verità, di spirito innovativo egli aveva già dato prova da prima della guerra. Era maturato nell’ambiente intorno a Benedetto Croce, e ne rimase impregnato poi per sempre. Croce voleva dire storicismo, esclusività della considerazione storica nella visione e nella valutazione della realtà. 
De Martino, per un impulso spontaneo, si avviò ad altro tipo di considerazione. Partendo dalla storia delle religioni, si spostò presto nell’area delle religioni primitive, sciamaniche, e giunse a formulare una tesi seducente sulla magia come forma culturale dominante di tutta una lunga epoca nella storia e, in quanto tale, matrice delle stesse categorie della razionalità umana. Dopo un intervento di Croce, egli rivide poi quest’ultimo punto, ma ribadì la matrice esistenziale, emozionale, traumatica dell’esperienza dalla quale nella storia dell’uomo era nata l’universale pratica della magia (e di qui anche il suo duraturo interesse per i poteri paranormali e la parapsicologia). A superare quella condizione primigenia, la magia aveva contribuito dando all’uomo la certezza del proprio essere qui e ora, della propria presenza (così egli la definiva) nel mondo; e ciò spiegava anche perché quel passato magico sopravvivesse nel fondo della coscienza umana e si perpetuasse, oltre che in determinate forme storiche, come una permanente alternativa e terapia nel riproporsi di crisi della presenza della persona in qualsiasi momento della storia. 
Il mondo magico fu il libro, del 1948, in cui egli diede un’organica sistemazione a tali sue vedute, e fu un vero evento culturale. De Martino arricchì poi e svolse largamente quel suo giovanile lavoro. Esistenzialismo, etnologia e antropologia, psicologia e psicoanalisi, filosofia della storia e altri elementi vennero ad arricchire la sua mai intermessa attività di studio e di riflessione e si tradussero in libri di grande interesse (come La terra del rimorso, del 1961: il più bello, a mio avviso, fra i suoi). Si aggiunse pure ai suoi interessi il marxismo, che gli ispirò un’elaborata riflessione sul rapporto fra culture egemoni e culture subalterne, applicata in specie al Mezzogiorno d’Italia (come in Sud e magia), senza trovarvi, però, i suoi momenti più felici. 
In ultimo, era passato a studiare La fine del mondo, come suona il titolo del volume che raccoglie l’imponente materiale (appunti, note, pagine sparse, riassunti) in vista di una versione finale, vietatagli dalla morte precoce. Il tema era quello delle «apocalissi culturali», diverse da quelle religiose e da quelle psicopatologiche, in quanto relative ai problemi di presentimento, percezione e angoscia della fine, cui ogni mondo umano è esposto, di una specifica cultura e civiltà. 
Impressionante è la varietà degli interessi in tale cantiere di lavoro. Avrebbe messo capo, questo grande zibaldone, a un ben definito quadro concettuale? È difficile dirlo. Molti sono i tentativi fatti per individuarne il senso ultimo. Non si può dire, però, che si sia riusciti nell’impresa. E, tuttavia, La fine del mondo resta un documento significativo della cultura contemporanea, alle prese ogni giorno con qualche nuova percezione di possibile apocalisse culturale per noi, ora e qui. 

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