domenica 14 febbraio 2016

La grande mostra di Hieronymus Bosch




Hieronymus Bosch Le follie di un visionario alle radici della modernità
Animali mostruosi, frati ghiottoni, suore lussuriose: in Olanda si apre oggi la mostra che celebra uno dei geni della pittura nordica. In estate sarà al Prado

di Fiorella Minervino La Stampa 13.2.16
Hieronymus van Aken, pittore del religiosissimo Brabante Settentrionale, al calare del Medioevo nordico verso il Rinascimento aveva scelto di trasformare il nome d’arte in Bosch, dalla città natale Hertogenbosch (bosco ducale, oggi Den Bosch), fra le più antiche dei Paesi Bassi, dove nel 1450 circa aveva aperto gli occhi ai colori e alla luce, e dove nella piazza del Mercato aveva creato le fantasmagorie che lo hanno reso celebre. Sono capolavori come il Carro del fieno, al Prado, o La nave dei folli. al Louvre, piuttosto che le Visioni dell’aldilà da Palazzo Grimani a Venezia e altri dal Metropolitan, Rotterdam e dalle veneziane Gallerie dell’Accademia che ora, a 500 anni dalla scomparsa, ritornano a casa in prestito. E sono appena approdati al Noordbrabants Museum, quello della sua quieta cittadina che paradossalmente non ne possiede alcuno, essendo lui troppo famoso e ricercato dai sovrani di tutta Europa primo fra tutti Filippo II di Spagna.
Ora l’esposizione, inaugurata ieri da re Guglielmo Alessandro, offre l’occasione di ammirarli l’uno accanto all’altro; basti pensare che studiosi e specialisti, grazie alla Bosch Research and Conservation Project, lavoravano dal 2007 a questa mostra. Il risultato sono 17 dipinti sui 24 noti e 19 mirabili disegni, oltre 7 tavole dalla bottega o di allievi, mentre 70 opere raccontano l’ambiente fra ’400 e ’500; resteranno in patria qualche mese, salutati da molti eventi che cadono sotto il nome di «Bosch 500», poi approderanno al Prado, dal 31 maggio all’11 settembre.
L’omaggio porta il titolo Visioni di un genio, perché proprio di uno spirito geniale si tratta, tanto che non ha smesso mai di attrarre e scuotere intere generazioni - come i Surrealisti del secolo XX - specie per i suoi audaci incubi, le allusioni inconfessabili, le allucinazioni o le simbologie di uomo ancora calato nel Medioevo. Il tutto con tecnica prodigiosa e realismo.
Dopo secoli Bosch resta avvolto nel mistero e nelle mille interpretazioni. Fin dalla morte, fu subito celebrato come artista insigne, poi scordato fino all’800 per raggiungere in seguito la fama stellare: per taluni è il moralista fustigatore dei costumi di contemporanei e concittadini; per altri un ironico provocatore contro la Chiesa cattolica. Oggi l’enigma continua e i musei sono in allerta, la commissione della mostra, con inedite ricerche, restauri, tecnologie, illustrate dal direttore Charles de Mooij, raffronti di firme e dettagli, attribuisce al maestro due nuove opere: la tavola Tentazioni di Sant’ Antonio dal Nelson Atkins Museum di Kansas City e il disegno Paesaggio infernale di privato belga. Mentre giudica di bottega due lavori celebri del Prado fra cui La cura della follia.
La mostra nei saloni procede per temi come il pellegrinaggio della vita, i santi, la fine dei tempi. Ma molti restano i quesiti: da dove scaturivano tutti quei sozzi diavoletti dalle teste ferine intenti a infilzare i peccatori o i bizzarri angeli dalle ali diafane, se non le teste smisurate dove fuoriescono le gambette rachitiche? E da dove vengono i colossali pesci al guinzaglio, o la Santa Liberata barbuta e crocefissa come il Cristo, nel trittico dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia? E come nasce il tunnel spettacolare di luce che conduce i beati al paradiso nella Via al cielo di Palazzo Grimani, o quel guscio di noce affollato di gaudenti per la Nave dei folli? Si rincorrono bocche di rospo, orecchie trafitte da frecce, vergini incinte, frati corpulenti e ghiottoni con suore lussuriose, come nel mirabile trittico del fieno al Prado; per non parlare dell’incerto vagabondo (tondo di Rotterdam) dai calzoni stracciati, berretto in testa e cappello in mano, ciabatta al piede e stivaletto nell’altro, mentre dietro un coppia amoreggia e un gentiluomo orina.
Spirito ironico, ribelle, Bosch ha dato forma concreta a ciò che affollava la fine secolo, con fiabe, maghi, alchimia, sette, eresie o predicatori infuocati, sullo sfondo di paure millenarie. Guardava alle miniature e ai mostri scultorei nell’ambiziosa Cattedrale di San Giovanni dove egli stesso lavorò. Esplorava la natura, citava leggende e storie dei santi per i committenti, poi attingeva all’immaginazione dando vita a questa stupefacente miscela. Raffinato pittore di pale, viene ricordato per le bizzarrie inventive in tavole di impianto scenografico. Variando dai fondi sulfurei ai paesaggi chiari e armoniosi sin madreperlati, illustrava il legame fra uomo, ambiente, creatore, attraverso le tappe d’obbligo: peccato, presa di coscienza, riscatto. Poco si sa della vita, incerta la data di nascita, famiglia di artigiani pittori, sposa la ricca patrizia Aleid, sicché abita nell’agiato Nord della piazza ed entra nella Confraternita di Nostra Signora, non viaggia, dipinge tante opere scomparse. Se ne ignora la sepoltura.

Bosch  Il Codice Hieronymus un segreto lungo 500 anniDARIO PAPPALARDO Repubblica 14 2 2016
DEN BOSCH (OLANDA) Alla fine i misteri restano. Non bastano sette anni di studi, un pool internazionale di ricercatori, il coinvolgimento di decine di musei, un catalogo di opere ridiscusse e passate letteralmente allo scanner. E questa mostra, che con venti dipinti dati per certi e riuniti per la prima volta, più 19 disegni, ma anche con oggetti, sculture e quadri del tempo, celebra – a 500 anni esatti dalla morte – l’ultimo uomo che ha dipinto il Medioevo. No, chi era veramente Hieronymus Bosch non si capisce nemmeno qui, a Den Bosch, la città olandese dove tutto è cominciato ma quasi nulla è rimasto. Hieronymus van Aken nasce a Den Bosch intorno al 1450. E qui torna mezzo millennio dopo con l’allestimento di Hieronymus Bosch. Visioni di un genio, da ieri (e fino all’8 maggio, a cura di Matthijs Ilsink e Jos Koldeweij;
www. bosch500. nl) al Noordbrabants Museum, l’istituzione diretta da Charles de Mooij che ha lanciato il Bosch Research and Conservation Project a cui si deve un nuovo studio critico e il restauro di nove opere. A Den Bosch – “il bosco” – da cui prenderà il nome, l’artista rimane tutta la vita. Non c’è testimonianza di un solo viaggio. Lavora nell’atelier sulla piazza del mercato: ancora si vede l’esterno del palazzo dove visse. Ma i documenti che lo citano si contano sulle dita di una mano. Si trovano nell’archivio dei libri di conti della Confraternita di Nostra Signora, a cui i van Aken appartengono. Tre sono esposti in mostra. Due riferiscono che Hieronymus ospita i confratelli per la cena tradizionale a base di cigno, nel 1498-99 e poi dieci anni dopo. Il terzo foglio registra il funerale del pittore, tenutosi nella cattedrale di San Giovanni il 9 agosto 1516.
Oltre a questi manoscritti, le certezze sono pochissime. Il suo mistero sembra quello di Omero o di Shakespeare. Bosch è il primo artista figurativo a costruire quasi dal nulla un immaginario nuovo, un mondo di visioni uniche, che porta solo il suo marchio. Tolkien, Disney, George Lucas si sarebbero affacciati sul pianeta Bosch per fondare il loro. Per tentare di avvicinarsi all’origine degli incubi di Hieronymus, alle sue “guerre stellari”, ci si può arrampicare sui ponteggi esterni della cattedrale di San Giovanni, ora in restauro. Ma tra i gargoyle, le bestie, gli angeli e i demoni e un’unica donna che si inerpicano sulla chiesa, non si trovano quelle figure postumane, i corpi ibridi, gli anfibi e gli umanoidi delle tavole dell’artista. La mostra prende il via da due libri: il breviario di Giovanna di Castiglia, moglie di Filippo il Bello, committente di Bosch, e La Nave dei folli del tedesco Sebastian Brant, tradotto in Olanda nel 1500. Sono due testi che suggeriscono un’iconografia di partenza e il clima di fermento morale che influenza gli artisti nei Paesi Bassi. Il Medioevo fiammingo è agli sgoccioli. Erasmo da Rotterdam è a pochi passi. In meno di vent’anni, Martin Lutero sconvolgerà l’Europa. Hieronymus respira l’aria e attraverso di lui è come se l’età di mezzo celebrasse l’ultimo esorcismo, si liberasse fino in fondo dei suoi mostri su quelle tavole dipinte. Accade nel frammento con La Nave dei folli del Louvre, una inconsapevole zattera della Medusa, dove ognuno combatte la sua guerra, anche cantando. E poi in quel set teatrale che è la Morte dell’ava- ro della National Gallery di Washington. L’uomo di Bosch – come nel tondo del museo di Rotterdam – è un vagabondo con una scarpa e una pantofola sullo sfondo di un mondo in dissoluzione. «Ogni carne è fieno» dice il profeta Isaia. E il pittore segue questa traccia per costruire il Trittico del Carro del fieno in arrivo dal Prado. È una processione divisa in tre, dal Paradiso all’Inferno. In mezzo, la cieca avidità che porta re, monaci e mendicanti ad accaparrarsi una inutile porzione di fieno. Non lo sanno, ma si stanno dirigendo tutti verso il fuoco eterno e torture inedite: il terzo pannello è un fantasioso campionario di sadismo. Anche nei soggetti religiosi apparentemente più semplici, Bosch inserisce dettagli “lunari”. Il Battista di Madrid medita perso in una vegetazione antropomorfa, sullo sfondo un orso divora un cervo e una scimmia si arrampica sull’albero. Gli uccelli beccano i semi di un frutto sproporzionato e l’agnello, attributo iconografico del santo, sembra quasi fuori posto. Il San Girolamo di Gand prega davanti a uno stagno, tra zucche rotte e psichedeliche, mentre il suo leone è ridotto a un piccolo animale domestico.
Il Bosch Research and Conservation Project ha censito 24 dipinti “certi”. Uno è attribuito per la prima volta: La tentazione di Sant’Antonio del Nelson-Atkins Museum of Arts di Kansas City. A vederlo sembra fratello dello stesso santo del Trittico degli eremiti prestato dall’Accademia di Venezia. Per un Bosch nuovo che arriva almeno tre eccellenti sono stati “espulsi” dal catalogo ufficiale. Sono: i Sette peccati capitali, La pietra della follia e Le tentazioni di Sant’Antonio: tutti dal Prado. Madrid, che non ha prestato il capolavoro totale – Il giardino delle delizie – si prepara alla battaglia con la mostra che celebra il “suo” El Bosco al Prado dal 31 maggio, ribadendo la paternità delle opere. Smorza i toni il direttore olandese De Mooij: «Nessuna polemica. Loro presenteranno la loro ricerca. Il dibattito sarà interessante». C’è un disegno di Bosch che raffigura una civetta in un albero cavo e occhi e orecchie distribuiti sul prato e tra i tronchi. Una scritta recita “Il campo ha occhi, la foresta ha orecchie”. È un invito a custodire i propri segreti. Bosch, 500 anni dopo, ci riesce ancora.

Mostri, incubi, santi senza aureola Tutti gli inferni in Terra di Bosch 
Per i 500 anni dalla morte del pittore, un libro e una serie di mostre ne celebrano il talento visionario, avanguardista e (pare) massone Per i 500 anni dalla morte di Hieronymus Bosch. Grande mostra nella sua città e volume mammut di Stefan Fischer.  30 mar 2016 Libero VITO PUNZI
L'anno che celebra i 500 anni dalla morte di Hieronymus Bosch (1450-1516) è stato inaugurato con la mostra intitolata Hieronymus Bosch - Visioni di un genio (presso il Noordbrabants Museum di 's-Hertogenbosch, sua città di nascita), visitabile fino all'8 maggio. Una retrospettiva, la più grande che sia mai stata dedicata al neerlandese, con opere provenienti da musei di tutto il mondo, dal Prado di Madrid al Metropolitan di New York. Tra le opere presenti l'Estrazione della pietra della follia, Le tentazioni di Sant'Antonio, poi ancora La nave dei folli e il Trittico degli eremiti. Da gustarsi insieme a questo primo delizioso frutto, s'è aggiunta subito una preziosa monografia a cura di Stefan Fischer ( Hieronymus Bosch, Taschen, p. 300, euro 99,99), 42 anni, che dopo aver studiato a Münster, Amsterdam e Bonn ha scritto il proprio dottorato di ricerca nel 2009, dedicandolo appunto a Bosch. Disponibile in più lingue, il volume, oltre che scientificamente rigoroso, grazie ad un apparato fotografico di primissimo piano, offre l'opportunità di godere di quell'infinità di dettagli (più o meno significativi, certamente curiosi) di cui sono popolati i dipinti di Bosch. Un corpo d'immagini davvero straordinario comprendente anche la riproduzione di opere di altri artisti contemporanei al neerlandese, utili per raffronti e valutazioni stilistiche.
Sapendo poco, molto poco della vita dell'artista (che probabilmente non si è mai mosso dalla sua 's-Hertogenbosch), gli studiosi di Bosch hanno cercato nelle sue stesse opere una spiegazione plausibile dell'enigmaticità delle sue invenzioni iconografiche, e Fischer ricorda come l'esegesi scatenatasi abbia prodotto un ricco ventaglio di ipotesi intorno alla personalità dell'artista: c'è chi l'ha identificato come un avanguardista, chi come un cataro, chi come un massone. Ma a questo proposito Fischer non ha dubbi: «Questi avvincenti voli del pensiero di possono considerare in via definitiva come interpretazioni prive di fondamento».
A contemplare le opere di Bosch, il folle, il temerario dell’arte, ci si sorprende sempre. Un po’ perché, per quelle opere, sorprendere è nella loro natura di «capricci» e drôleries, ma soprattutto perché, considerando i sentieri maggiormente battuti dagli artisti vissuti in quei decenni, tra tardo Gotico e primo Rinascimento (tensione verso l'armonia, verso la monumentalità), il pittore neerlandese per i suoi dipinti di contenuto religioso e moralistico usa figure dai tratti bizzarri cui fino ad allora era stato permesso di popolare solo luoghi marginali dell'architettura, della miniatura e della xilografia: «laidi uccelli dal becco adunco, lucertoloni neri gonfi d''odio, avidi cercopitechi sdentati, vesciche infami con gambe di ragno, qualche ributtante esemplare di ornitorinco e di gnomo, armato di uncini sanguinolenti». Così ne definì alcune Dino Buzzati. E con Bosch quelle figure divennero protagoniste. Le opere di Bosch, oggetto di storici e critici solo dalla metà del Novecento, hanno ricevuto dagli studiosi attenzioni diverse. Forse per le dimensioni, per lo stato di conservazione, per la difficoltà nell'affrontare una loro lettura iconografica. Una particolare libertà è stata esercitata dall'artista nell'interpretazione del formato «trittico»: «i suoi trittici», scrive Fischer, «non possono essere considerati trittici di grandi dimensioni ma piuttosto cicli pittorici». Dopo decenni di ricerche, valutazioni e controversie tra esperti, ormai sono poche le opere la cui attribuzione a Bosch rimane controversa. Alla sua mano vengono ricondotti oggi solo una ventina di dipinti e otto disegni, mentre una mezza dozzina di pitture su tavola e altrettanti disegni sono attribuiti a coloro che lavoravano nella sua bottega. Per l'attribuzione delle opere e la loro cronologia il catalogo compilato in questo volume si basa fondamentalmente sul lavoro fatto da Gerd Unverfehrt nel 1980 e sulla pubblicazione per la mostra di Rotterdam del 2001 ed è diviso in due sezioni: quella che indica gli originali e una seconda che presenta i dipinti prodotti dalla bottega e dagli epigoni, la cui attribuzione non è ancora stata sciolta. Da segnalare infatti come Fischer prenda le distanze dall'ultimo catalogo delle opere di Bosch disponibile prima di questo suo, quello compilato da Rosemarie Schuder nel 1991: ebbene dal quell'elenco lo studioso tedesco ha cassato ben 17 dipinti e dodici disegni.
E non dovrebbe finire qui. Come ricorda lo stesso Fischer, appositamente per i 500 anni dalla morte di Bosch è sorto il Bosch Research and Conservation Project, un programma di ricerca incentrato sull'analisi tecnica del suo lavoro che si è proposto come specifico obiettivo quello di rispondere ai quesiti riguardanti l'attribuzione delle opere. Ed è da quel programma, perché il cinquecentenario non serva solo al proliferare di mostre (dopo l'attuale nella città natale ne seguiranno altre a Madrid e, auccessivamente, ad Amburgo) che si attendono contributi significativi già nel corso del 2016.

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