mercoledì 10 febbraio 2016

La società aperta in Medio Oriente, nonché la democrazia



Netanyahu: “Barriere attorno a Israele”
L’annuncio del primo ministro durante un sopralluogo lungo il confine con la Giordania Le nuove fortificazioni serviranno a proteggere il paese dalle “belve feroci” dello Stato islamico

Repubblica 10.2.16
GERUSALEMME. Il primo ministro Benjamin Netanyahu è convinto che chiudere tutte le frontiere di Israele con una barriera protettiva o un Muro come nella Cisgiordania aiuterà il suo Paese a sentirsi più protetto e scoraggiare attacchi da oltre confine, dove agiscono «le belve feroci». Un chiaro riferimento al Califfato islamico e al pericolo che la “debole” Giordania possa essere la prossima tappa di conquista dei miliziani del Daesh. Se i tunnel da Gaza sono un minaccia primaria e immediata, nel giro di pochi anni Israele sarà interamente chiuso da una barriera, ha annunciato il premier durante un sopralluogo compiuto a nord di Eilat, lungo il confine con la Giordania, dove è in fase di costruzione una barriera di 30 chilometri per proteggere la zona. Netanyahu ha anche avvertito che saranno presto chiuse anche le attuali “parti mancanti” nel Muro con la Cisgiordania e sarà rinforzato quello con Gaza.
La nuova barriera sul confine giordano è stata avviata con una decisione del governo nel 2015, i 30 km in costruzione partono, dalla più meridionale località turistica di Eilat e arrivano fin nella valle di Timma, dove è in costruzione un nuovo aeroporto internazionale. Quello attualmente in uso a Eilat è stato quasi circondato dall’abitato negli anni e la pista consente — per le normative internazionali — soltanto lo scalo di piccoli aerei turboelica non in grado di soddisfare le aspettative degli albergatori della città-vacanze israeliana. Nel 2013, Israele ha anche completato un recinto di cinque metri di altezza filo spinato lungo i 200 chilometri di confine con il Sinai, cercando così di impedire ai gruppi terroristici, trafficanti di droga e migranti africani di infiltrarsi territorio israeliano dalla penisola egiziana.
Per motivare la scelta della barriera da costruire tutto intorno al Paese, il premier è ricorso ad una definizione dell’ex primo ministro Ehud Barak secondo cui Israele è una “villa nella jungla”. «Diranno: ma cosa volete fare, circondare la villa? La mia risposta — ha ripetuto Netanyahu — è sì. Nell’ambiente in cui viviamo dobbiamo guardarci dalle belve. Un’opera del valore di miliardi da costruire gradualmente in più anni ma da completare per difendere il Paese».

Il “muro” di Netanyahu contro le Ong progressiste
Israele/Territori occupati. La Knesset ha approvato in prima lettura la controversa legge sulla "Trasparenza" che obbliga le Ong, di fatto solo quelle di sinistra, a pubblicare le loro fonti di finanziamento dall'estero. Una punizione per chi contesta la politica del governo di destra  di Michele Giorgio il manifesto 10.2.16
GERUSALEMME Israele «è circondato da belve feroci» e per questo avrà «una barriera di sicurezza che lo circonderà per intero», annunciava ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu durante un sopralluogo lungo il confine con la Giordania, dove è in fase di costruzione un altro Muro di 30 chilometri, che si aggiunge a quelli nella Cisgiordania occupata e lungo la frontiera con l’Egitto. Le barriere però il governo Netanyahu sembra costruirle non solo in faccia a palestinesi e arabi ma anche all’interno della società israeliana. Lunedì sera la Knesset ha approvato in prima lettura, con 50 voti a favore e 43 contrari, la controversa legge sulla “Trasparenza”, promossa dalla ministra della giustizia Ayelet Shaked, del partito nazionalista religioso Casa ebraica, che obbliga le Organizzazioni non governative (Ong) a pubblicare con grande frequenza e in modo dettagliato le loro fonti di finanziamento dall’estero. Eliminato invece, su richiesta di Netanyahu, l’articolo della legge che imponeva ai rappresentanti delle Ong in visita alla Knesset di portare ben visibile sulla giacca uno speciale badge identificativo.
Si tratta di una iniziativa della destra israeliana che va avanti già da alcuni mesi. A prima vista qualcuno potrebbe pensare che sia giusto conoscere le fonti di finanziamento dall’estero delle Ong. In realtà la legge vuole colpire solo le Ong di sinistra e quelle che si occupano della tutela dei diritti umani. Prende di mira chi riceve il 50% dei fondi dall’estero – Unione europea, governi, associazioni e fondazioni – mentre chiude un occhio sui finanziamenti alle Ong di destra o vicine al governo, tranquille perchè possono contare soprattutto su donazioni locali. La ministra Shaked ha condannato chi si oppone alla nuova legge e ha attaccato frontalmente “Breaking the Silence”, l’associzione che raccoglie le testimonianze di soldati su crimini di guerra, perchè avrebbe ricevuto una donazione di 42.000 euro da un’organizzazione cristiana olandese in cambio di almeno 90 prove schiaccianti della responsabilità delle forze armate israeliane.
Ad appoggiare la ministra della giustizia sono stati in particolare due deputati, sempre di “Casa ebraica”, Bezalel Smotrich e Yinon Magal, che da tempo affermano che le Ong progressiste lavorerebbero al servizio di stranieri desiderosi di usare certe informazioni contro Israele. Smotrich sostiene che a certe Ong non deve essere permesso di «rappresentare» gli interessi di Stati esteri all’interno di Israele e di danneggiare il Paese. La “Trasparenza” che viene tassativamente richiesta sui finanziamenti che arrivano dall’estero non sembra però riguardare anche Ong e associazioni della destra. «Una indagine fatta dall’agenzia Walla – spiega Sarit Michaeli, portavoce di B’Tselem che tutela i diritti umani nei Territori palestinesi occupati — ha rivelato che il primo ministro Netanyahu riceve dall’estero gran parte delle donazioni a lui destinate e così molti membri del governo. La stessa ministra Shaked riceve da altri Paesi il 40% del totale degli aiuti finanziari alla sua attività politica. E alle Ong legate alla destra, specie quelle che promuovono la colonizzazione, sulla base di un accordo raggiunto con le autorità non è richiesto di rivelare tutte le loro fonti di finanziamento. Piuttosto modeste sono state le proteste in Parlamento all’approvazione in prima lettura della legge sulla “Trasparenza”. Hanno alzato la voce solo i partiti arabi, in particolare i tre deputati di Tajammo (Balad) Hanin Zoabi, Jamal Zahalka e Basel Ghattas che saranno sospesi per alcuni mesi dalla Knesset per aver fatto visita alla famiglia di un palestinese responsabile di un attacco contro israeliani.

Herzog sempre più a destra propone “Piano di separazione”
Israele/Territori Occupati. Per il leader laburista non esistono le condizioni per realizzare ora la soluzione dei "Due Stati" ed occorre completare il Muro e separare decine di sobborghi e quartieri arabi da Gerusalemme. Il premier di destra Netanyahu gongola. di Michele Giorgio il manifesto 12.2.16
GERUSALEMME Sempre più a destra, superando se possibile anche il Likud del premier Benyamin Netanyahu. Il partito laburista israeliano nei giorni scorsi ha approvato all’unanimità il “Piano di separazione” dai palestinesi proposto dal suo leader Yitzhak Herzog che di fatto fissa altri chiodi nella bara in cui è ormai chiuso lo Stato di Palestina. Herzog e i laburisti affermano di aver compreso che non esistono le condizioni per realizzare ora la soluzione dei “Due Stati”. E «avendo constatato» che si è molto lontani da un accordo con i palestinesi, ritengono «opportuno» completare il Muro costruito da Israele all’interno della Cisgiordania e separare decine di sobborghi e quartieri arabi da Gerusalemme. Per il premier Netanyahu è stato un invito a nozze. «Buongiorno, Bougie», ha commentato divertito il premier durante un dibattito alla Knesset usando il soprannome di Herzog. «Sembra che tu sia l’ultimo a rendersi conto della realtà», ha aggiunto. Netanyahu è apparso persino più conciliante del capo dei laburisti quando ha affermato di essere a favore dei “Due Stati”, precisando però che non esistono le condizioni per la creazione di uno Stato palestinese a causa della «minaccia terroristica».
Da quando è cominciata l’Intifada di Gerusalemme, Herzog ha adottato un linguaggio da estrema destra: pugno di ferro, repressione, chiusura di aree palestinesi. E ha spesso accusato Netanyahu di non essere in grado di domare la rivolta palestinese e «di garantire la sicurezza dei cittadini israeliani». Infine il leader laburista ha presentato il suo “Piano di separazione” per impedire, ha detto, che il governo di destra finisca per creare, di fatto, uno Stato binazionale su tutto il territorio della Palestina storica, con ebrei e palestinesi insieme, tradendo l’impresa sionista di dare vita a uno Stato per ebrei. Non soddisfatto di aver ottenuto il via libera dell’assemblea del suo partito (alleato del partito Hatnua dell’ex ministro degli esteri Tzipi Livni), Herzog lunedì è andato a spiegare le sue idee a una conferenza organizzata dal giornale nazionalista religioso Besheva. Un incontro al quale ha preso parte anche il centrista Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid, che ha colto l’occasione per esprimere, anche lui, posizioni molto vicine alla destra ultranazionalista.
Il piano di Herzog supera a destra il “ridispiegamento unilaterale” attuato nel 2005 dallo scomparso primo ministro Ariel Sharon con il ritiro da Gaza di soldati e coloni israeliani. Con la costruzione di nuovi muri e barriere e la costituzione di aree separate, senza affermarlo in modo esplicito, mira a chiudere ermeticamente le città e i distretti palestinesi sulla base solo delle esigenze territoriali di Israele, ponendole sotto un controllo militare ancora più stretto. Il docente Neve Gordon, dell’università Ben Gurion di Bersheeva, ha commentato sul sito di Al Jazeera che non siamo di fronte a un ritiro di Israele dai Territori occupati bensì «a un modo subdolo di radicare ancora di più l’impresa coloniale». Le idee di Herzog, ha aggiunto Gordon, sono un altro passo «per il consolidamento e la legittimazione del governo dell’apartheid». Il piano, ha spiegato, «promuove sfacciatamente dei bantustan» pur prevedendo in apparenza una maggiore autonomia palestinese.
Un aspetto centrale della soluzione laburista è la separazione di sobborghi e quartieri palestinesi di Gerusalemme Est, a cominciare da Issawya e dal campo profughi di Shuaffat, in modo da consolidare l’annessione (non riconosciuta dalla comunità internazionale) di tutta la Città Santa a Israele e, allo stesso tempo, ridurre sensibilmente la percentuale di popolazione palestinese dentro i confini municipali di Gerusalemme. Herzog è certo che le sue idee saranno abbracciate dalla maggioranza degli israeliani che come lui vogliono «separarsi» dai palestinesi. Nel partito pochi lo contestano. Solo la sua rivale Shelly Yachimovich lo accusa, timidamente, di inseguire la destra. Anche i leader dell’Anp restano in silenzio. Forse pensano che il piano Herzog crei indirettamente le fondamenta per la nascita dello Stato di Palestina mentre davanti a loro hanno solo delle riserve indiane. Intanto ieri 40 abitazioni palestinesi sono state distrutte dall’esercito israeliano nella Valle del Giordano. 

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