lunedì 15 febbraio 2016

La società cinese cambia

Giovani, gay e single Così sta cambiando la famiglia a Pechino

Il Paese invecchia e la forza lavoro non basta Ma l’addio al figlio unico non fa ripartire le nascite

di Cecilia Attanasio Ghezzi La Stampa 15.2.16
Giovani, single e fieri di esserlo. Uno strano manifesto pubblicitario è apparso nelle metropolitane di Pechino in questi giorni di feste comandate. Recita: «Cari mamma e papà, non preoccupatevi. Il mondo è grande e ci sono tanti modi differenti di vivere. Per essere felici non è necessario sposarsi».
Questa è la stagione del capodanno cinese, il momento in cui si ci si ritrova con la famiglia. Come per noi il Natale. E anche qui è il momento delle domande scomode, quelle che rovinano la digestione: quando ti sposi? Quando ci regali un nipotino? La pressione è tale che un gruppo di ragazzi ha deciso di affittare alcuni spazi pubblicitari per convincere le «vecchie generazioni» che sposarsi non è l’unica via percorribile per costruirsi un futuro.
Uno dei fondatori del gruppo, il 33enne Han Degan, ha rilasciato un’intervista all’agenzia di stampa governativa Xinhua. «Quando andavo al liceo i miei genitori non volevano neppure che mi innamorassi, ma appena mi sono laureato, a 25 anni, sono diventati impazienti sul mio matrimonio». E aggiunge: «Siamo due generazioni che hanno visioni completamente differenti su matrimonio e famiglia».
In Cina, dove la burocrazia norma anche gli aspetti più intimi della vita, il certificato di matrimonio è uno dei documenti richiesti per mettere al mondo un figlio o, dal primo gennaio di quest’anno, due. Sì, perché siamo in un Paese che ha una Commissione nazionale «per la pianificazione famigliare» e che passerà alla storia per quello che verrà ricordato come il più grande esperimento di ingegneria umana portato avanti da uno Stato: l’obbligo a un unico erede. Una legge del 1980 che ha costretto milioni di cinesi a confrontarsi con aborti forzati, femminicidi in culla e figli illegittimi ma, attraverso 400 milioni di nascite «evitate», ha aiutato la Cina a diventare la seconda economia mondiale. Ma che 35 anni dopo ha trasformato il Paese in «una bomba demografica a orologeria».
Secondo un rapporto Onu, nel 2050 la Repubblica popolare dovrà occuparsi di quasi 440 milioni di ultrasessantenni. Nel frattempo la popolazione in età da lavoro diminuisce dal 2012.
E sono ormai diversi anni che calano i matrimoni. Parallelamente, aumentano i divorzi (nelle grandi città ormai il tasso è del 40%) e le coppie dichiaratamente gay. A gennaio di quest’anno un tribunale cinese ha aperto il primo caso legale a difesa delle nozze tra persone dello stesso sesso. La vittoria è tutt’altro che certa, ma è di certo un segnale importante per capire quanto in fretta stia cambiando la Cina. Si pensi che fino al 1997 l’omosessualità era reato e solo nel 2001 è stata cancellata dalla lista delle malattie mentali.
Per queste ragioni la Repubblica popolare ha deciso di rivedere la politica delle nascite. Nel 2014 alle coppie composte da due figli unici è stato permesso un secondo figlio. Ma l’incremento demografico sperato non c’è stato. Anzi. Le statistiche ufficiali del 2015 parlano di 320 mila nuovi nati in meno rispetto all’anno precedente. Così, la possibilità del secondo figlio è stata estesa a tutti.
«Lo Stato si aspetta che una legge sia sufficiente a convincere la popolazione a fare figli, non si rende conto che la società è cambiata. Servirebbero sussidi». A parlare è Qi Hongyan, una professoressa di cinese di 38 anni. Ci fa accomodare in una classe vuota durante la sua pausa pranzo. Lavora nelle scuole private, perché nel pubblico prenderebbe una miseria. Suo marito ha la sua stessa età, è dirigente in un’azienda di software. Si ritengono ceto medio, il loro reddito famigliare è intorno ai duemila euro al mese. Hanno un figlio che sta per compiere sei anni. Ne avrebbero voluto un altro, «i nonni sarebbero felicissimi». Così quando è passata la nuova legge si sono messi a fare i calcoli: circa 25 mila euro fino alla fine della scuola dell’obbligo per lo stretto necessario. Ma lei dovrebbe smettere di lavorare. «Crescere un figlio costa. I nostri genitori hanno una mentalità contadina. Pensano: più figli si hanno e meglio si sta. Non si rendono conto di quanto è dura: il posto fisso e lo stato sociale non esistono più».
Racconta che due coppie di genitori dei compagni di classe di suo figlio sono in attesa del secondo. Non accettano di essere intervistate ma, da quello che riferisce Hongyan, si parla di un altro stile di vita. Una famiglia sta per emigrare in Canada, l’altra in Giappone. Spendono in lezioni private più di quanto non paghino l’asilo: inglese, disegno, musica, matematica e danza.
Chi accetta del suo secondo figlio in arrivo è Yan Chunlong, 35 anni, proprietario di un negozio di alimentari di importazione negli hutong, gli stretti vicoli al centro di Pechino che ancora conservano l’impronta della capitale imperiale che fu. Sua moglie, Luo Fang, ha 28 anni. Dirige un’azienda ed è al sesto mese. Hanno già un figlio di quattro anni e un reddito famigliare sui quattromila euro al mese. Loro non hanno avuto dubbi. Volevano un altro figlio, «è una questione di felicità, non di denaro». Dicono però che la nuova legge ha lasciato indifferenti molti. La maggior parte dei loro amici non ha ancora figli. «Preferiscono fare carriera, e avere una vita più libera.». E ride: «Come dargli torto?».

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