venerdì 19 febbraio 2016

L'insabbiamento dei crimini nazisti in Italia, per insabbiare i crimini fascisti in Albania, Etiopia, Jugoslavia, Grecia e non urtare la Germania atlantica






Tredicimila pagine e oltre novecento fascicoli, che raccontano la storia di quindicimila persone, coinvolte nei crimini di guerra commessi in Italia da SS e "repubblichini" contro partigiani e civili durante l'Occupazione nazifascista
di ALBERTO CUSTODERO Repubblica 16 febbraio 2016

Nell'armadio della vergogna tutti gli scheletri della guerra

Fu scoperto solo nel 1994, nascondeva più di 900 dossier su 15mila insospettabili coinvolti nei crimini nazifascisti commessi in Italia e rimasti impuniti. Fino a oggi 

Giordano Bruno Guerri - Mer, 17/02/2016

Raistoria

Finalmente sul web i 13 mila fascicoli sulle stragi naziste (ne mancano 645)
Corriere 17.2.16
C’ è tutto il carteggio su Kappler, un gran numero di documenti su Cefalonia, lo sterminio della risiera di San Sabba, le note del ministero della Guerra su crimini e massacratori e le liste di chi passò dalle file naziste alle poltrone di governo o ai vertici della giustizia tedesca. Sono tredicimila i documenti sulle stragi nazifasciste che la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha desecretato e messo online. Ma, a sorpresa, i 645 fascicoli occultati in quello che Franco Giustolisi definì l’Armadio della Vergogna, non ci sono. Così ieri, mentre fioccavano complimenti unanimi all’iniziativa c’è chi si è chiesto: perché non si possono «sfogliare» i faldoni delle stragi, da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto? Agli uffici della Camera spiegano che quei faldoni sono voluminosi da scannerizzare e si possono consultare, su carta, nell’archivio della Camera. Ma Carlo Carli, ex deputato ds, relatore di minoranza della commissione d’inchiesta che indagò sull’occultamento degli atti, in un angolo nascosto di Palazzo Cesi, obietta: «È molto importante ciò che ha fatto la presidente Boldrini. E credo che per lei non sia stato neanche stato facile realizzarlo. Ma auspico che i 695 fascicoli, alcuni dei quali solo di una o due pagine, vengano messi in rete e indicizzati (con la dovuta tutela dei dati sensibili). Così da far vedere a tutti come già nel ‘43-’45, i testimoni avessero indicato i responsabili di violenze indicibili sulla popolazione. Ma nessuno li perseguì. Un po’ perché l’esercito tedesco venne utilizzato durante la guerra fredda contro il blocco comunista. Un po’ perché se avessimo chiesto l’estradizione dei nazisti avremmo dovuto concederla per i fascisti che avevano compiuto stragi in Jugoslavia o in Grecia» .


Ecco i segreti nascosti nell’armadio della vergogna 

Dai nazisti rifugiati nei conventi a Cefalonia: la Camera dei deputati mette online i documenti mai visti

SIMONETTA FIORI E CONCETTO VECCHIO Repubblica 17 2 2016
La “grande vergogna” è ora online: tredicimila pagine, oltre novecento fascicoli che raccontano le trame e gli insabbiamenti intorno ai crimini nazifascisti in Italia e in Europa. Da ieri l’archivio storico della Camera dei deputati ha inaugurato una nuova stagione culturale rendendo disponibili nel proprio sito tutte le carte su cui ha lavorato dal 2003 al 2006 la commissione parlamentare d’inchiesta sull’”armadio della vergogna”. Fu un giornalista dell’Espresso, Franco Giustolisi, a denunciarne per primo l’esistenza: un archivio ritrovato nel 1994 a Roma negli scantinati di Palazzo Cesi-Gaddi, sede della procura generale militare.
Le ante rivolte verso il muro, per scoraggiare l’accesso. All’interno erano stati nascosti seicentonovantacinque fascicoli sui crimini commessi dai nazifascisti tra il 1943 e il 1945. Marzabotto. Sant’Anna di Stazzema. Fivizzano. Civitella in Val di Chiana. E tantissime altre stragi. Pagine insanguinate della nostra storia, ricostruite grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e al lavoro di carabinieri e soldati americani e inglesi che registrarono quelle voci a ridosso degli accadimenti. Un capitolo terribile — oltre 15mila le vittime italiane — che nel 1960 venne cancellato. Rimosso. O come si disse allora, con una formula giuridicamente dubbia, «provvisoriamente archiviato». In altre parole, chiuso a chiave nel famoso armadio.
Le ragioni erano sostanzialmente politiche. L’Italia voleva mantenere buoni rapporti con la Germania. Sarebbero dovuti passare quasi cinquant’anni per la ripresa delle indagini e l’inizio dei processi. Molti ufficiali tedeschi sono stati anche condannati, ma le sentenze di fatto quasi mai eseguite.
Le campagne di stampa — e anche le ricerche di Pier Vittorio Buffa, Mimmo Franzinelli, Isabella Insolvibile, per citare solo alcuni — hanno contribuito a tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica, fino all’istituzione nel 2003 di una commissione parlamentare di inchiesta. Ora in rete ne troviamo l’archivio di lavoro, con i documenti desecretati.
Carte che tratteggiano un paese pieno di ombre, tra criminali di guerra e servizi segreti ossequiosi verso gli “antichi comandanti”. E dove è destinato a cadere il mito degli “italiani brava gente”. Comunque un’ampia tessitura diplomatica, che è l’altra faccia di un armadio abbandonato.
Il vescovo di Hitler
Una mappa con dieci istituti religiosi di Roma dove nel dopoguerra trovarono rifugio i gerarchi nazisti: la cosiddetta “Via dei conventi”. Dopo la fuga di Kappler dall’ospedale del Celio (15 agosto 1977) il Sismi in allarme stila un rapporto con l’elenco dei ripari: tra gli altri, il convento dei Salvatoriani di via della Conciliazione; dei Pallattini in via dei Pettinari; dei Frati cappuccini di via Sicilia, dove fu nascosto Adolf Eichmann. Al centro della tela il vescovo austriaco Alois Hudal che, scrissero i servizi, «si era dedicato completamente alla causa del nazismo nella speranza che Hitler, seguendo l’esempio di Enrico VIII d’Inghilterra, si staccasse da Roma per fondare una chiesa cattolica germanica e lo eleggesse al trono di Papa tedesco».
Chi si rivede, il generale Roatta
Nel dopoguerra pesavano sulla sua testa diverse imputazioni. Ne citiamo solo alcune: l’ideazione del piano per uccidere i Rosselli e l’uso del Sim, il servizio militare da lui diretto, per dare la caccia ai capi antifascisti. La Jugoslavia ne chiese l’estradizione come criminale di guerra (l’accusa era di aver proceduto su ordine di Mussolini allo sterminio del popolo sloveno). Il 4 marzo del 1945, alla vigilia della sentenza, riuscì a scappare in Spagna, sotto le ali protettive di Francisco Franco. Un’informativa del Sismi ci dice che il primo aprile del 1954 viene spedito dal generale un emissario dei servizi che così descrive il suo approccio: «Le mie relazioni con lui sono iniziate naturalmente con l’ossequio all’antico comandante». Tra camerati ci si intende.
Italiani brava gente?
Nella partita aperta con la Germania, il silenzio conviene anche all’Italia che non è esente dai crimini. Sin dal dopoguerra è stata coltivata la mitografia di un fascismo italiano all’acqua di rose, poca cosa rispetto al totalitarismo brutale dell’alleato tedesco. Così anche un tenace silenzio cade sulle nostre responsabilità (almeno fino agli anni Novanta quando cominciarono a uscire i primi documentati saggi). Le nuove carte rivelano un’attenzione particolare da parte della Germania che il 22 agosto del 1968 chiede al nostro ministro degli Esteri una mappa dettagliata dei campi di internamento in Italia. Il 5 febbraio dell’anno successivo è pronta la relazione sul campo di San Gabriele dell’Addolorata, vicino a Teramo, e su quello di Bagno a Ripoli, in Toscana (da dove gli ebrei nel 1944 furono prelevati a forza e trasferiti nei lager). Una nota delle questure interpellate riguarda anche San Buono, in provincia di Chieti: «Non ci fu alcun campo di internamento», si legge nella relazione, «ma vi furono assegnate persone pericolose in linea politica o per motivi razziali ».
Cefalonia
Il nostro ministero degli Esteri mostra grande interesse per gli esiti dell’inchiesta tedesca sul massacro di Cefalonia che si chiude con un’archiviazione da parte della Procura di Dortmund (se ne dà conto in una nota del 16 febbraio 1971). L’ambasciata italiana aggiorna costantemente la rassegna stampa tedesca (fu il più grave eccidio commesso dalla Wehrmacht). Ma in Italia la strage dei soldati italiani che non vollero arrendersi era stata quasi completamente dimenticata. Sarebbe stato il presidente Ciampi a restituirle la memoria. E un nuovo saggio della studiosa Isabella Insolvibile comparso nel Giornale di storia contemporanea dimostra che non tutti i fascicoli scoperti nell’armadio della vergogna diedero luogo a processi. Alcuni vennero rinchiusi frettolosamente in fondo agli scaffali. E tra questi gli eccidi dei militari italiani compiuti dalle truppe tedesche dopo l’8 settembre. L’indagine su Cefalonia di Antonino Intelisano — che scoprì l’armadio della vergogna — sarebbe partita solo nel 2007, per poi essere portata a termine da Marco De Paolis, con la condanna all’ergastolo (in contumacia) del caporale Stork. Ma siamo nell’ottobre del 2013, storia di oggi.
Quanto valgono i morti?
Poco più di cinquantamila lire. Una nota dell’Ambasciata d’Italia (11 luglio del 1969) comunica che «il Bundeswehrverwaltungsamt ha testé fatto conoscere di aver provveduto al trasferimento di lire 56.250 al ministero della Difesa».
Il motivo? È «il risarcimento di danni causati da militari tedeschi in Italia». Un assegno con il sapore della beffa.

Crimini nazifascisti La vergogna corre online 
Tredicimila pagine di documenti rinvenuti nel 1994 in un armadio della Procura generale militare sono da ieri accessibili a tutti sul sito della Camera dei deputati. Cade il segreto su piccoli e grandi misfatti Mirella Serri La Busiarda 17 2 2016
No, non ha mai convinto gli storici la versione più diffusa della fuga di Herbert Kappler: il responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, del rastrellamento del Quadraro e della deportazione degli ebrei del ghetto di Roma ad Auschwitz, agli arresti presso l’ospedale militare del Celio, nella Capitale, si sarebbe dileguato nascosto dentro una valigia la mattina del 15 agosto 1977. Possibile? Non tanto. Ma fino a oggi non vi erano documenti accessibili a tutti e in grado di raccontarci le reali modalità di questa evasione.
Da adesso, invece, possiamo approfondire non solo questo ma moltissimi altri misteri della nostra storia più recente: la Camera dei Deputati mette online le 13 mila pagine dei documenti della Commissione parlamentare che si è occupata di indagare sulle stragi nazifasciste durante la Seconda guerra mondiale e anche l’occultamento di un’incredibile massa di fascicoli giudiziari. Carte e faldoni erano stati affastellati in quello che il giornalista Franco Giustolisi - il quale li aveva per primo individuati nel 1994 - aveva chiamato l’armadio della vergogna. Erano custoditi in gran segreto, appunto in un armadio con le ante rivolte verso il muro, a Palazzo Cesi, sede della Procura generale militare, e contenevano una notevole mole di atti, a partire dai 695 fascicoli sulle razzie compiute dai soldati tedeschi in Italia e dai fascisti nei territori occupati durante la guerra. Documentavano gli orrori avvenuti a Sant’Anna di Stazzema, alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a Monchio e Cervarolo, Coriza, Lero e Scarpanto, Civitella in Val di Chiana e Fivizzano.
Responsabilità italiane
«Se vogliamo ripristinare un rapporto di fiducia coi cittadini, è indispensabile togliere il velo del segreto ogni volta che sia possibile e giusto, specie su fatti tanto lontani nel tempo»: così la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha commentato la pubblicazione online di questi fondamentali reperti. Che sono destinati a rivelarsi una vera miniera, anche se la pubblicizzazione dei segreti è ancora solo parziale.
Così, per esempio, per restare all’enigmatica figura di Kappler, ora forse potremo comprenderla meglio, poiché dalle documentazioni emerge il vero ruolo avuto nella sua liberazione e nell’abbandono della penisola dall’organizzazione Odessa, una rete di ex gerarchi e criminali nazisti, fanatici fedelissimi al boia delle Fosse Ardetine. Ma non solo. Potremo avere nuovi lumi anche sulle nefandezze di Walter Reder, l’ufficiale delle Waffen-SS condannato per il massacro di Monte Sole (Marzabotto) e l’eccidio di Vinca, ai piedi delle Alpi Apuane. Ma soprattutto potremmo sapere esattamente perché Reder venne scarcerato nel 1985, nonostante le proteste dei familiari delle vittime e delle associazioni partigiane. Si tratta di tasselli non di secondo piano che vanno a completare il quadro dei drammi ancora adesso senza risposta dell’ultimo conflitto mondiale: infatti dalla documentazione che proviene dal ministero degli Affari esteri, è un altro esempio, potremo ricavare importanti informazioni sull’uccisione dei soldati italiani a Cefalonia da parte dei reparti dell’esercito tedesco dopo l’8 settembre 1943.
Nella gran mole di materiale desecretato vi sono anche preziosi dossier sull’uccisione di duemila italiani nel bosco di Borek, sul processo all’ufficiale della Gestapo che aveva impiccato 80 italiani, sulle 85 fucilazioni avvenute a Castenuovo di Cecina.
Da queste liste, a una prima consultazione, appaiono anche nuove responsabilità degli italiani: in primo luogo quelle del generale Mario Roatta per numerosi crimini nei territori dalmati. Oppure vi sono testimonianze sulle violenze mai raccontate, compiute sempre da connazionali nient’affatto «brava gente», negli anni della Repubblica sociale italiana; oppure ancora le complicità di civili e militari italiani nella gestione della Risiera di San Sabba, il Lager di Trieste, chiamato di transito o di smistamento ma dove però venivano non solo imprigionati ma anche eliminati moltissimi internati politici ed ebrei.
Le razzie dei tedeschi
Pure gli storici desiderosi di ricostruire le vicende di quotidiana sofferenza per la gente comune in tempo di guerra avranno su che lavorare. Un esempio fra i tanti? In un piccolo borgo nei pressi di Perugia un agricoltore denuncia che i tedeschi gli hanno razziato di tutto dal foraggio ai piccoli gioielli di famiglia, dalle scorte alimentari alla radio.
Fra le carte sono presenti anche segretissimi faldoni che riguardano il dopoguerra, dalla Nato al servizio segreto Sismi. E documenti che rivelano come magistrati dei tempi di Hitler cancellarono le tracce del loro passato e continuarono a operare come giudici anche in epoca democratica. Dall’archivio appare infine anche la vera storia dell’occultamento di tutte queste informazioni e i nomi dei suoi responsabili, tra cui procuratori militari come Enrico Santacroce che nel 1960 dispose, con un atto assolutamente arbitrario, l’«archivazione provvisoria» delle pagine rivelatrici. «Si trattava di una scelta che rientrava nella dinamica della Guerra fredda», osserva la studiosa Isabella Insolvente che ha già visionato una parte del materiale. «Le carte sono più di centomila. Non so se avremo tutte le risposte che ci aspettiamo, ma sicuramente da oggi possiamo cominciare a chiarire tanti episodi oscuri della storia non solo italiana ma europea».

Le rivelazioni della pasionaria nera ”Una rete di ex nazisti aiutò Priebke” 
La discussa scrittrice Mary Pace, che in un primo tempo aiutò il capitano delle SS condannato all’ergastolo per le Ardeatine e poi lo tradì: “Il tramite era Giannettini” 
Francesco Grignetti Stampa 19 2 2016
Il capitano delle SS Erich Priebke fu uno dei pochissimi gerarchi nazisti che abbia subìto un processo in Italia e scontato l’ergastolo. Ma i vecchi camerati non lo abbandonarono al suo destino. A soccorrerlo nel momento del bisogno si mosse quella famosa rete Odessa che nel dopoguerra permise ai nazisti di scappare in Sudamerica. A Priebke, i nazisti tedeschi garantirono un avvocato e lo fecero attraverso il famoso ex agente segreto Guido Giannettini. Un canovaccio da spy story che possiamo raccontare oggi grazie alla scrittrice Mary Pace e alla sua decisione di non portare certi segreti nella tomba. 
Qualcuno si ricorderà di lei. Per mesi Mary Pace andò a trovare Priebke in carcere carica di regali, e perciò fu considerata una fanatica nostalgica. Di punto in bianco, però, cambiò posizione e spifferò al procuratore militare Antonino Intelisano che era già stata scritta una sentenza di assoluzione, come le aveva confessato l’avvocato Velio Di Rezze. Fu anche grazie a Mary Pace, quindi, se la Cassazione annullò il primo processo che mandava assolto il maggiore nazista e ne ordinò la ripetizione. «All’epoca - racconta la Pace - io passai per essere una banderuola. Ma la storia è molto più complicata». 
Già, davvero molto più complicata. Mary Pace infatti nel 1995 non andava a trovare Priebke nel carcere militare per diletto, ma perché così volle un network di anziani nazisti con base a Stoccarda. La fantomatica Odessa si era risvegliata dal letargo alla notizia che Priebke sarebbe stato estradato dall’Argentina in Italia e qui sottoposto a processo. Per garantire «assistenza» al detenuto, da Stoccarda chiamarono un uomo fidato: Guido Giannettini. Proprio lui, l’ex giornalista e agente del Sifar che era stato coinvolto nella strage di piazza Fontana, l’amico dei neonazisti (guardacaso) Freda e Ventura. Dopo alterni processi, Giannettini nel 1981 era stato scarcerato e nel 1982 assolto definitivamente. Su di lui era rimasto però il marchio d’infamia, era considerato un reietto, e per campare lavorava come correttore di bozze a Cassino, in un giornale di Giuseppe Ciarrapico. 
Proprio in quegli anni Giannettini divenne amico della scrittrice Mary Pace, che vive nel Cassinate, e che con lui condivideva idee di destra e passione per l’intelligence. «Fu Giannettini - spiega dunque Mary Pace - sollecitato da “quelli di Stoccarda” a chiedermi di avvicinare Priebke». 
L’anziano ufficiale all’inizio era sospettoso. Non capiva bene chi fosse questa bella donna che insisteva per andare in carcere a intervistarlo. Problema risolto quando Giannettini, al telefono con Stoccarda, ricevette una sorta di parola d’ordine. Ma questo dettaglio, la Pace lo raccontò già nel libro Dietro Priebke, Piemme edizioni. I loro incontri andarono avanti a lungo. Priebke prese a fidarsi incondizionatamente. E così anche l’avvocato Di Rezze, che peraltro era stato portato in squadra proprio da Mary. Sennonché un giorno Mary Pace si fece sfuggire con i carabinieri del suo paese che l’avvocato era più che certo dell’esito del processo. Che lo sapeva perché rassicurato in questo senso dal presidente del tribunale militare. 
Una chiacchiera al bar del paese divenne una bomba. I carabinieri fecero immediatamente un rapporto al procuratore militare e pretesero da Mary Pace che firmasse un verbale. «Io mi sarei morsa la lingua, ma ormai la frittata era fatta». Il giorno dopo, Mary Pace era già davanti alla scrivania del procuratore Intelisano. Ne venne fuori uno scandalo senza pari. Priebke poi fu davvero assolto, ma la Cassazione annullò il processo e si ricominciò. 
Nel frattempo, la conversione di Mary Pace era divenuta di dominio pubblico. «Da Stoccarda cominciarono a telefonarmi. Erano furiosi. Mi minacciarono di morte. Io ero terrorizzata, così tornai da Intelisano a chiedere protezione. Per settimane ci fu una macchina dei carabinieri davanti casa mia». 
E il suo amico Giannettini che cosa disse? «Sul momento s’arrabbiò tantissimo. Ma poi capì che non l’avevo fatto apposta. E mi perdonò». rgo alla notizia che Priebke sarebbe stato estradato dall’Argentina in Italia e qui sottoposto a processo. Per garantire «assistenza» al detenuto, da Stoccarda chiamarono un uomo fidato: Guido Giannettini. Proprio lui, l’ex giornalista e agente del Sifar che era stato coinvolto nella strage di piazza Fontana, l’amico dei neonazisti (guardacaso) Freda e Ventura. Dopo alterni processi, Giannettini nel 1981 era stato scarcerato e nel 1982 assolto definitivamente. Su di lui era rimasto però il marchio d’infamia, era considerato un reietto, e per campare lavorava come correttore di bozze a Cassino, in un giornale di Giuseppe Ciarrapico. 
Proprio in quegli anni Giannettini divenne amico della scrittrice Mary Pace, che vive nel Cassinate, e che con lui condivideva idee di destra e passione per l’intelligence. «Fu Giannettini - spiega dunque Mary Pace - sollecitato da “quelli di Stoccarda” a chiedermi di avvicinare Priebke». 
L’anziano ufficiale all’inizio era sospettoso. Non capiva bene chi fosse questa bella donna che insisteva per andare in carcere a intervistarlo. Problema risolto quando Giannettini, al telefono con Stoccarda, ricevette una sorta di parola d’ordine. Ma questo dettaglio, la Pace lo raccontò già nel libro Dietro Priebke, Piemme edizioni. I loro incontri andarono avanti a lungo. Priebke prese a fidarsi incondizionatamente. E così anche l’avvocato Di Rezze, che peraltro era stato portato in squadra proprio da Mary. Sennonché un giorno Mary Pace si fece sfuggire con i carabinieri del suo paese che l’avvocato era più che certo dell’esito del processo. Che lo sapeva perché rassicurato in questo senso dal presidente del tribunale militare. 
Una chiacchiera al bar del paese divenne una bomba. I carabinieri fecero immediatamente un rapporto al procuratore militare e pretesero da Mary Pace che firmasse un verbale. «Io mi sarei morsa la lingua, ma ormai la frittata era fatta». Il giorno dopo, Mary Pace era già davanti alla scrivania del procuratore Intelisano. Ne venne fuori uno scandalo senza pari. Priebke poi fu davvero assolto, ma la Cassazione annullò il processo e si ricominciò. 
Nel frattempo, la conversione di Mary Pace era divenuta di dominio pubblico. «Da Stoccarda cominciarono a telefonarmi. Erano furiosi. Mi minacciarono di morte. Io ero terrorizzata, così tornai da Intelisano a chiedere protezione. Per settimane ci fu una macchina dei carabinieri davanti casa mia». 
E il suo amico Giannettini che cosa disse? «Sul momento s’arrabbiò tantissimo. Ma poi capì che non l’avevo fatto apposta. E mi perdonò».

Stragi naziste in Italia, i morti sono 22 mila Censite 5.300 atrocità contro civili o partigiani catturati. Un convegno a Milano2 mar 2016  Corriere della Sera Di Antonio Carioti
Il mosaico è sempre più completo e i numeri fanno impressione: 5.300 episodi di violenza su civili o partigiani catturati, circa 22 mila morti. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, realizzato grazie a un finanziamento del governo federale tedesco, sarà presentato ai primi di aprile al ministero degli Esteri, ma già si possono anticipare alcune cifre, come avverrà nel seminario riguardante il Nord Ovest in programma domani e dopodomani a Milano presso la Casa della Memoria.
«Abbiamo escluso i caduti in combattimento e individuato tre periodi di picco delle atrocità: nel Sud subito dopo l’8 settembre 1943; nell’estate 1944 durante la ritirata tedesca verso la Linea Gotica; al termine del conflitto, nell’aprilemaggio 1945», riferisce lo storico Paolo Pezzino, direttore scientifico del progetto di ricerca promosso dall’Istituto per la storia del movimento di liberazione (Insmli) e dall’Associazione partigiani (Anpi).
«Sono circa 4-500 — prosegue lo studioso — i reparti del Terzo Reich e della Rsi responsabili di stragi. Tra i tedeschi si distinguono la 16ª divisione SS e la Hermann Goering, che compiono eccidi di massa. I fascisti agiscono da soli nel 19 per cento degli episodi: di solito uccidono i partigiani o chi li aiuta, in modo più mirato».
Interessante è anche la tipologia delle violenze: «Il 28 per cento dei morti — dice Pezzino — viene soppresso nel corso di rappresaglie, il 27 nei rastrellamenti, l’8 nelle stragi “eliminazioniste” che annientano intere comunità. L’87 per Il progetto di ricerca dell’Insmli e dell’Anpi è stato finanziato dal governo di Berlino cento dei caduti sono maschi, il 73 per cento in età dai 17 ai 55 anni. Tutti dati che presto saranno consultabili nel sito www.straginaziste.it».
Ci sono poi specificità territoriali, spiega Luigi Borgomaneri, che ha esaminato il caso lombardo: «Mentre in Toscana prevalgono i massacri attuati dai tedeschi in funzione militare, in Lombardia domina la guerra civile: le violenze durante l’occupazione sono compiute in maggioranza dai fascisti, con uno stillicidio di due o tre morti al giorno; i nazisti invece uccidono perlopiù nel settembre del 1943 e nella primavera del 1945»

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