lunedì 8 febbraio 2016

Schiavitù oggi: il Sud reagisce meglio?


La relativa benevolenza del Mezzogiorno nei confronti dei migranti va accostata alla relativa familiarità che nella Confederazione la comunità bianca mostrava verso gli schiavi domestici. Nella forma del lavoro nero o sottopagato, del resto, rapporti semiservili riguardano al Sud anche la manodopera bianca. Nel Settentrione invece il rapporto di lavoro salariato ha reso meno plateale la presenza della schiavitù ma ha anche incattivito le relazioni tra gruppi [SGA].

Ilaria Sesana Avvenire 8 febbraio 2016

“Emergenza immigrati il Sud reagisce meglio” 

Parla il meridionalista Isaia Sales: “Con il suo passato di emigrazione il Mezzogiorno ha maturato una maggiore tolleranza e capacità di assorbimento” 
Guido Ruotolo Stampa 8 1 2016
«Sulle sponde del Sud moltissimi immigrati hanno trovato forme collettive di appoggio, di comprensione del loro dramma storico, mentre al Nord, più che la società nel suo complesso, sono state le singole persone a mostrare umanità». Chi parla è Isaia Sales, docente di Storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno d’Italia, all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Professore, vuol dire che nel Sud esiste un modello di integrazione tra popoli e culture diverse che non c’è nel resto del Paese?
«Il tema dell’immigrazione è complesso, ma in linea di massima non si esagera nel dire che il Mezzogiorno ha mostrato verso il fenomeno dell’immigrazione di massa una tolleranza e una sopportazione più alte rispetto ad altre aree del Paese, ha fatto registrare un impatto meno respingente, una capacità di assorbimento delle conseguenze, in definitiva una potenzialità di integrazione maggiore. Non dappertutto e non sempre, ma la tendenza mi sembra questa».
Anche nel Sud ci sono stati episodi di tensione. A Cerignola e nella Capitanata i caporali, spesso maghrebini, pagando al nero e a cottimo i «clandestini» vanificavano gli accordi stagionali strappati dalle leghe contadine, creando tensioni sociali. A Rosarno, nel gennaio del 2009, ci sono state manifestazioni di protesta violente.
«Più che di intolleranza razziale si è trattato di veri e propri conflitti nel mercato del lavoro. Dopo anni di mancato conflitto nelle campagne, i caporali e gli imprenditori agricoli si sono trovati di fronte a una rivendicazione di diritti, di maggiore salario e soprattutto di più umane condizioni di lavoro: richieste per loro insopportabili, avendo basato da anni la loro capacità concorrenziale proprio sui più bassi costi realizzati utilizzando manodopera immigrata. Scomparso il vecchio bracciantato, registrata l’indisponibilità di giovani a fare i mestieri dei loro padri e nonni, l’agricoltura meridionale è ridiventata concorrenziale grazie al lavoro degli immigrati e oggi è seconda solo alla Spagna in alcune produzioni ortofrutticole».
Se pensiamo agli sbarchi in Puglia o a Lampedusa e sulle coste calabresi, dovremmo dire che il Sud è terra di transito dei migranti. Ma leggendo le statistiche, nel Sud si sono insediati 630.000 e passa stranieri. Sono integrati?
«Il Sud si trova in questa particolare situazione storica: è stato per un secolo e mezzo terra di emigrazione, e lo è ancora oggi, ma al tempo stesso è terra di immigrazione. È terra di transito per ragioni di vicinanza geografica dai luoghi da cui si fugge, e al tempo stesso è luogo di insediamento stabile. Diminuiscono gli immigrati di passaggio e aumentano quelli stanziali. In Campania siamo ormai a più di 200 mila, il 4,1% del totale italiano, quattro volte in più di quello che avveniva solo dieci anni fa. Stessa cosa per la Sicilia e per la Puglia. C’è chi va via dal Sud, soprattutto giovani diplomati e laureati (e sono ancora tanti) e chi viene a viverci da altre parti del mondo. Vanno via i giovani meridionali e sono venuti a viverci giovani africani e dell’Europa dell’Est. Il Meridione è diventato così un crocevia migratorio. 
«L’immigrazione di massa anche stanziale, che pure il Sud sta conoscendo, è un’assoluta novità. Unico precedente storico è l’accoglienza delle comunità greche e albanesi scappate dalla conversione all’islam e ospitate in tante realtà meridionali diversi secoli fa. A queste novità migratorie i meridionali hanno indubbiamente reagito meglio, perché il fenomeno - sebbene notevole - non è ai livelli delle regioni del Centro-Nord, ma anche perché le popolazioni del Sud hanno nella loro storia una secolare abitudine a lasciare le proprie case e i propri affetti, e credo perciò che abbiano maturato una comprensione umana più forte per le ragioni di chi è costretto ad andare via dai luoghi che ama. Nel Nord l’immigrazione storica è stata accettata per via dell’utilità alla propria economia ma mai immedesimandosi nelle ragioni umane di chi è costretto a trasferirsi».
Perché al Nord sono esplosi fenomeni di razzismo?
«Il razzismo nel passato era mitigato dalla comune consapevolezza di un prezzo pagato all’accumulazione di benessere collettivo a cui partecipavano gli immigrati. Fastidiosi ma utili. Quando è venuto meno questo convincimento, in gran parte per la crisi di quel modello economico e produttivo che accompagna il caso italiano da un ventennio, il razzismo non ha trovato più forme di mitigazione, di razionalità economica. Manca nel Nord un grande fattore giustificativo dei disagi al di là di quello economico. Al Sud invece, tranne che in alcuni settori agricoli, la presenza stabile di immigrati era ed è accettata di più perché si muove all’interno delle famiglie, dove è chiaro che il grande ruolo delle badanti ha consentito forme più moderne di vivere i rapporti con i vecchi».
Non possiamo non parlare anche del rapporto tra immigrazione e criminalità.
«L’immigrazione porta con sé inevitabilmente violenza o il tentativo di integrarsi per via delinquenziale, come negli Usa tra fine ’800 e metà ’900. In gran parte si tratta da noi di reati predatori, non di una capacità di controllare settori economici legali per via criminale, come avviene per le nostre mafie. Non è in ogni caso dimostrabile un rapporto organico tra mafie meridionali e immigrati. Molti reati predatori vedono ancora protagonisti delinquenti italiani».
Il Mezzogiorno può diventare un modello di riferimento anche per il resto del Paese?
«Indubbiamente, non c’è un investimento politico sul rifiuto dell’immigrato e ciò rende in questo campo il Sud più interessante culturalmente e civilmente del Nord. Uno dei pochi campi in cui una certa “diversità” meridionale può essere usata, se non come modello, almeno come possibile linea di condotta per questioni complesse. In questo campo il Sud ha mostrato verso l’immigrazione qualcosa in più della mera convenienza economica. Ci sono oggi diverse realtà dell’Appennino meridionale dove il problema dello spopolamento si sta in parte risolvendo grazie agli immigrati. Paesi quasi morti stanno rivivendo grazie a queste forma di integrazione. In tutto ciò ci sarebbe tanto da investire».

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