lunedì 28 marzo 2016
Bauman e la teoria degli opposti deliri
Il filosofo polacco Bauman: in altre parti del mondo vengono uccise molte più persone, ma lì non ci sono i riflettori puntati
intervista di Francesca Paci La Stampa 26
Da
anni il filosofo polacco Zygmunt Bauman mette in guardia dalla paura,
il più sinistro tra i demoni annidati nelle città aperte in cui viviamo.
Gli attentati di martedì, come quelli di Parigi, raccolgono
nell’abbraccio mortale del terrorismo quell’insicurezza del presente e
quell’incertezza del futuro che lui, il teorico della società liquida,
ha individuato nel nostro Dna. Questo sì, lo spaventa.
Ripetiamo
che a Bruxelles è stato colpito il cuore dell’Europa: è così professor
Bauman, o si tratta di propaganda jihadista che non dovremmo
assecondare?
«Il “cuore” che i terroristi cercano di colpire è
quello dove abbondano le telecamere, sempre assetate di sensazioni nuove
e scioccanti a cui garantire attenzione massima per qualche giorno. C’è
un numero dieci volte maggiore di persone uccise da qualche parte tra i
tropici del Cancro e del Capricorno che non ha alcuna chance di
ottenere la visibilità degli attacchi di New York, Madrid, Londra,
Parigi o Bruxelles. È invece in queste ultime città che i bisbigli
acquistano la forza dei tuoni. A spese minime - un biglietto aereo, un
kalashnikov, un esplosivo fatto in casa, la vita di un pugno di
disperati – corrispondono a ore interminabili di spazio tv gratis e
picconate ai valori democratici da parte dei governi che dovrebbero
proteggerli».
La nuova generazione di terroristi usa i benefici della «società liquida»?
«È
il principio ispiratore della loro strategia sin dall’inizio:
disponendo di risorse limitate, si sono dedicati a provocare il loro
nemico, teoricamente forte ma in realtà estremamente vulnerabile. I
terroristi hanno imparato velocemente l’arte di puntare in alto e
massimizzare i profitti diminuendo le spese – ossia utilizzando lo zelo
miope con cui l’avversario è entrato nel gioco».
I terroristi considerano l’Europa una comunità unita molto più di quanto facciano gli europei?
«Per
ironia della sorte i terroristi riescono ad assestare colpi capaci di
ripercuotersi su tutta l’Unione Europea. Potremmo dire che sono il più
potente fattore unificante tra i membri di un’UE che altrimenti vede
sfaldarsi molte delle sue cuciture. La paura, lo spreco di risorse
sempre maggiori nella costruzione di muri, l’impiego di un numero
crescente di uomini per la sicurezza e costosi gadget per lo spionaggio
nella vana speranza di prevenire il prossimo attentato: tutto questo si
sta verificando non solo nei luoghi colpiti ma anche molto più lontano,
nei Paesi dell’Europa di “seconda velocità” che il terrorismo non ha
alcuna intenzione di attaccare avendo sobriamente calcolato costi e
benefici».
I terroristi non sono stranieri, sono cresciuti nelle nostre città: perché ci odiano?
«Contrariamente
all’infame affermazione di Victor Orban, per cui “tutti i terroristi
sono migranti”, quasi tutti i terroristi sono “indigeni”. I furbi,
astuti e feroci cospiratori che ispirano il terrorismo possono vivere
lontano, in Paesi stranieri, ma la loro manovalanza viene reclutata tra i
discriminati, gli umiliati e vendicativi giovani che crescono in mezzo a
noi senza futuro. Tenerli in condizione di privazione è un modo di
cooperare con il terrorismo: seguendo la logica dell’occhio per occhio
allarghiamo il bacino che i capi terroristi hanno mostrato di saper
usare bene».
L’Islam radicale sta colmando il vuoto delle ideologie del 900?
«Non
potendo garantire ai loro correligionari vite fantastiche i
fondamentalisti islamici offrono loro il miglior balsamo alternativo
alla dignità umana mortificata: una morte piena di senso. Molti (ma
questi molti sono una piccola minoranza dei musulmani che vivono in
Europa) cedono alla tentazione non avendo altre strade verso la dignità
umana».
Possiamo davvero salvarci moltiplicando i muri?
«Costruire
muri per tenere i migranti fuori dai nostri cortili ricorda la storia
dell’antico filosofo Diogene che rotolava avanti e indietro nella botte
in cui viveva sulle strade della nativa Sinope. Alla domanda sul perché
del suo strano comportamento rispose che vedendo i vicini occupati a
blindare le porte e sguainare le spade sperava di dare il suo contributo
alla difesa della città contro l’avanzata delle truppe di Alessandro il
Macedone».
È preoccupato per la civiltà occidentale?
«La
sola ma grave ragione per essere preoccupato è la fortunatamente piccola
possibilità che l’Europa abbandoni i suoi valori e si pieghi al codice
di comportamento dei terroristi, sarebbe il suicidio della casa della
moralità e della bellezza dov’è nata l’idea di libertà, eguaglianza e
fratellanza».
Bauman: che errore sovrapporre il terrorismo all’immigrazione
Lo studioso e filosofo polacco spiega che le prime armi dell’Occidente per sconfiggere Isis sono inclusione sociale e integrazione: «Solo la società nel suo insieme può farlo»
di Maria Serena Natale Restampa 24 marzo 2016 RIPRODUZIONE RISERVATA
Professor Bauman, nel dibattito europeo terrorismo e immigrazione si sovrappongono in una distorsione ottica che fa il gioco dei populisti e ostacola la percezione dei profughi come «vittime». Un meccanismo che sposta il discorso sul piano della sicurezza e legittima i governi a sbarrare le porte, come ha annunciato Varsavia subito dopo gli attentati di Bruxelles. Quali sono i rischi di questa operazione?
«Identificare il “problema immigrazione” con quello della sicurezza nazionale e personale, subordinando il primo al secondo e infine fondendoli nella prassi come nel linguaggio, significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi. Prima di tutto, secondo la logica della profezia che si auto-avvera, infiammare sentimenti anti-islamici in Europa, facendo sì che siano gli stessi europei a convincere i giovani musulmani dell’esistenza di una distanza insormontabile tra loro. Questo rende molto più facile convogliare i conflitti connaturati alle relazioni sociali nell’idea di una guerra santa tra due modi di vivere inconciliabili, tra la sola vera fede e un insieme di false credenze. In Francia, per esempio, malgrado non siano più di un migliaio i giovani musulmani sospettati di legami con il terrorismo, per l’opinione pubblica tutti i musulmani, e in particolare i giovani, sono “complici”, colpevoli ancor prima che il crimine sia stato commesso. Così una comunità diventa la comoda valvola di sfogo per il risentimento della società, a prescindere dai valori dei singoli, da quanto impegno e onestà questi mettano in gioco per diventare cittadini».
Mantenere una connessione vitale tra «società ospite» e immigrati è sempre più difficile in questo clima di sospetto reciproco. In Paesi che si scoprono inermi, come oggi il Belgio, è saltato il patto sociale sul quale si fondava la speranza dell’integrazione?
«Dal punto di vista dei terroristi, quanto peggiori sono le condizioni dei giovani musulmani nelle nostre società, tanto più forti sono le possibilità di reclutamento. Se cade del tutto la prospettiva di una comunicazione trans-culturale e di un’interazione autentica tra etnie e religioni, si riduce al minimo anche la possibilità di un incontro diretto, del “faccia a faccia” con l’altro, di una reciproca comprensione. A questo si aggiunge la stigmatizzazione di interi gruppi in base a caratteristiche ritenute non sradicabili che li rendono diversi da “noi, i normali”. Ne consegue l’alienazione forzata di persone marchiate come anomale, bandite dal consesso al quale, apertamente o nella profondità dei loro cuori, vorrebbero aderire ma dal quale sono state ostracizzate senza diritto al ritorno, dopo essere state per di più costrette ad accettare il comune verdetto sulla loro inferiorità. Come se fossero loro a non aver saputo raggiungere lo standard richiesto per entrare nel club. Chi viene così stigmatizzato subisce un doloroso colpo al rispetto di sé, che porta senso di colpa e umiliazione. Lo stigma può essere anche percepito come un oltraggio immeritato, che richiede e giustifica una vendetta tanto forte da ribaltare il giudizio della società e re-impossessarsi del rispetto rubato».
Come ristabilire il contatto con questa parte della comunità, cosa può fare la politica?
«I governi non hanno interesse a placare le paure dei cittadini, piuttosto alimentano l’ansia che deriva dall’incertezza del futuro spostando la fonte d’angoscia dai problemi che non sanno risolvere a quelli con soluzioni più “mediatiche”. Nel primo genere rientrano elementi cruciali della condizione umana come lavoro dignitoso e stabilità della posizione sociale. Nel secondo, la lotta al terrore. Non c’è dubbio sul ruolo che la comunità musulmana deve giocare per combattere la radicalizzazione, dobbiamo comprendere però che solo la società nel suo insieme può sradicare la minaccia comune. Le prime armi dell’Occidente nella lotta contro il terrorismo sono inclusione sociale e integrazione».
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