sabato 26 marzo 2016

Dilma denuncia il golpe filostatunitense in Brasile


Dilma Rousseff “Contro il mio governo è in atto un golpe vogliono che mi dimetta ma io difenderò Lula” 
La presidente del Brasile: “Il giudice Moro usa metodi illegali io lotterò per la nostra democrazia” Hanno creato una situazione pericolosa di caos Non vorrei che spuntassero i salvatori della patria 
di Antonio Jiménez Barca Repubblica 26.3.16
BRASILIA. Nelle ultime due settimane il Brasile è in subbuglio. Dilma Rousseff ne parla nel suo enorme studio da presidente a Brasilia, a cominciare da quello che la riguarda più da vicino: la procedura d’impeachment che si è già messa in moto e minaccia di allontanarla dalla presidenza in meno di un mese. «Legalmente è molto debole. Ed è stata lanciata perché il presidente del Congresso, Eduardo Cunha (nemico della Rousseff, anche se appartiene al Partito del movimento democratico del Brasile, formazione in teoria sua alleata, ndr), ha minacciato il governo: se non avessimo votato contro un’indagine a suo carico, lui avrebbe messo in moto la procedura. Cunha è stato denunciato dalla procura generale della Repubblica perché hanno trovato cinque conti illegali a suo nome».
Lei dice che il Brasile, con questa procedura, potrebbe subire un colpo di Stato.
«In Brasile abbiamo già avuto golpe militari. In un sistema democratico, i golpe cambiano metodo. E un impeachment senza basi legali è un golpe. Rompe l’ordine democratico, per questo è pericoloso».
Ma come reagirà di fronte a una sconfitta? Che cosa farà se dovesse perdere?
«In una democrazia bisogna reagire in forma democratica. Ricorreremo a tutti gli strumenti legali per evidenziare le caratteristiche di questo golpe. Ma vi consiglio di interrogarvi su chi sono i beneficiari di tutto questo: molti di loro non sono ancora nemmeno entrati in scena, rimangono sullo sfondo. Come il caso della divulgazione delle conversazioni (fra lei e Lula, diffuse dal giudice Sérgio Moro, ndr): è una cosa che non si può fare. L’atteggiamento corretto non era divulgare la registrazione, ma inviarla al Tribunale supremo federale, che è l’organo che ha il diritto di indagare su di me. Un giudice non può giocare con le passioni politiche. Nessuno può destituirlo, ma lui in cambio dev’essere imparziale. E poi c’è la faccenda delle dimissioni. Chiedono che mi dimetta. Perché? Perché sono una donna fragile? Non lo sono. La mia vita non è stata così. Vogliono che rinunci per evitare di dover cacciare in modo illegale una presidentessa eletta. Sono convinti che io mi senta ferita, sconcertata, sotto pressione. Ma non mi sento così. Non sono così. Ho avuto una vita molto complicata, figuratevi se non sono capace di lottare adesso. Quando avevo 19 anni sono stata in carcere per 3 anni durante la dittatura, e il carcere di allora non era una cosa da ridere».
Molti hanno criticato la nomina di Lula sostenendo che era semplicemente uno stratagemma giuridico per sfuggire alla giustizia, grazie all’immunità garantita dalla carica di ministro.
«Pensare che diventando ministro sfuggirebbe alla giustizia è vedere un problema dove non c’è. Può essere indagato dai magistrati del Tribunale supremo federale. La verità è che non vogliono che venga al governo. Ma Lula verrà, come ministro o come consigliere: in una maniera o nell’altra, verrà. È mio amico, l’ho aiutato durante i suoi due mandati. Mi piace molto lavorare con lui. Non mi preoccupa minimamente che Lula possa togliere lustro alla mia presidenza.
Una delle conseguenze di questa crisi è la sfiducia assoluta dei brasiliani verso i politici… «È una conseguenza grave, perché quando si comincia a mettere in discussione i politici, in Brasile spuntano fuori i salvatori della patria. Prima si crea il caos e poi arrivano quelli che salvano dal caos. Noi siamo favorevoli a un compromesso, ma si deve fare senza rotture della democrazia, senza tentativi infondati di impeachment».
Teme un’esplosione sociale, considerando la crescente instabilità del paese e la sua progressiva polarizzazione?
«Le esplosioni sociali nascono soprattutto dalla disuguaglianza e dalla povertà. Noi, in forma democratica, negli ultimi anni abbiamo fatto entrare nella classe media 40 milioni di persone e abbiamo riscattato dalla povertà altri 36 milioni».

Gli alleati la scaricano Impeachment più vicino per Dilma Rousseff
di Emiliano Guanella La Stampa 30.3.16
La «balena bianca» di centro rompe con il governo e Dilma Rousseff è sempre più sola davanti all’impeachment. I centristi del Pmdb, da sempre ago della bilancia della politica brasiliana, hanno deciso ieri per acclamazione di uscire dall’esecutivo lasciando così la presidente sola al suo destino. Il partito senza ideologia, come è stato chiamato, è un gigante composto da 68 deputati, 18 senatori, 7 ministri (ora in uscita), 7 governatori e quasi mille sindaci, oltre all’uomo che potrebbe diventare presidente in un paio di mesi, l’attuale vice Michel Temer. Temer ha titubato per mesi, ma alla fine ha deciso di consumare il «tradimento» e adesso aspetta il suo turno per entrare in gioco; secondo la Costituzione è lui ad assumere in caso di destituzione della presidente. Nemmeno un ultimo incontro con l’ex presidente Lula la domenica di Pasqua gli ha fatto cambiare idea. Temer ha spiegato che non c’è via d’uscita alla crisi; i suoi non vogliono crollare assieme alla Casa e sono pronti ad un governo-ribaltone con il centrodestra. La votazione sull’impeachment arriverà in aula fra due, tre settimane; Dilma può contare sui deputati del Partito dei Lavoratori e di tre formazioni minori di sinistra oltre a qualcuno dei partiti medi che lasceranno libertà di scelta; 130, 140 in tutto, troppo lontani dal quorum di 172 che la salverebbe. Al Senato dovrebbe andare anche peggio. Lula, ministro «congelato» dalla giustizia, confida nella sua abilità di manovra, anche se per ora si tiene lontano da Brasilia per non far imbestialire i giudici della Corte Suprema che hanno in mano il suo caso. «La battaglia non è affatto perduta – ha detto in conferenza stampa lunedì – ci sono molti indecisi e noi faremo un grande pressing».
L’ex presidente soffre l’attacco incrociato di stampa e magistratura. «Il giudice Sergio Moro è una persona competente, ma credo sia stato punto dalla “mosca azzurra”, della superbia e dell’orgoglio. È indecente che abbia filtrato conversazioni private di personaggi pubblici e che la stampa si sia prestata al gioco; comportamenti che non aiutano la nostra democrazia».
Il governo parla di un golpe in atto; Dilma lo ha detto ai giornali stranieri, Lula lo ripeterà in un tour nel suo Nordest per riattivare la militanza di base. La battaglia è anche sui blog e i social media, oltre ai proclami pro governo di intellettuali, artisti, attivisti. Venerdì prossimo si terranno sit-in di protesta presso le sedi della Rede Globo, che appoggia le indagini dell’operazione Lavajato, rafforzando la popolarità del giudice Sergio Moro e del suo pool anti-corruzione.
Ma Brasilia, con i suoi giochi di potere degni di «House of Cards», i suoi 28 partiti sparsi in Parlamento, le alleanze e i tradimenti dell’ultim’ora è lontana dalla piazza. Dilma Rousseff non è indagata in nessuna inchiesta, mentre lo sono il suo vice Temer ed il presidente della Camera Eduardo Cunha, scoperto con 35 milioni di euro depositati in conti in Svizzera, ma a giocarle contro è qualcosa di ancor più grave: la mancanza di appoggio politico.
Una presidente dai piedi di argilla, isolata e indebolita, si prepara così, con le poche armi rimaste ormai a disposizione, ad un aprile di sangue. 

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