martedì 1 marzo 2016

Diserzione e decimazione: la lotta di classe nell'esercito italiano contro la guerra fascista

Disertori. La pagina nera della storia dell'esercito italiano (1939-1945)
Mimmo Franzinelli: Disertori. Una storia mai raccontata della seconda guerra mondiale, Mondadori, pp. 388, € 22


Risvolto
Furono vigliacchi o eroi? Si rifiutarono di partire per il fronte nella Seconda guerra mondiale, non rientrarono da una licenza, fuggirono dalle lande gelate durante la Campagna di Russia, non vollero accettare la Repubblica sociale dopo l'8 settembre: migliaia di ragazzi giovanissimi, anche se molti già padri di famiglia, spesso gli unici a portare a casa uno stipendio finirono davanti ai Tribunali di guerra. Quelli condannati alla fucilazione subirono l'infamante morte riservata ai traditori. La diserzione è, senza dubbio, un lato oscuro del Secondo conflitto mondiale, ignorato sinora dai libri di storia, i cui segreti serbati negli archivi dei Tribunali militari, nei diari e nelle testimonianze di tanti reduci vengono qui finalmente svelati ed esplorati con scrupolo. Mimmo Franzinelli rivisita questo complesso periodo storico per delineare tipologia e motivazioni dei disertori, e lo fa analizzando le dinamiche repressive (Codice penale di guerra, Tribunali militari, modalità delle esecuzioni capitali) e ricostruendo le storie di tanti soldati, nei più disparati scenari, le cui drammatiche vicende sono sottratte all'oblio non solo grazie ai diari inediti ma anche al ricordo ancora attuale dei loro parenti. 


Il severo generale e i disertori fucilati fuori tempo
Repubblica Fiori 7 2 2016

Quando disertore non fa rima con traditore
Per paura, per aiutare i parenti a casa, per amore o ideologia: una ricerca di Mimmo Franzinelli negli archivi militari per scovare le ragioni e le storie (spesso tragiche) di chi fuggì dalla Seconda guerra mondiale

di Enrico Martinet La Stampa 1.3.16
Contrappasso e paradosso. Per il duce e per un generale-politico. Benito Mussolini che, da convinto ideologo della diserzione come «mezzo infallibile per annientare l’infame militarismo», diventa un convinto assertore della guerra, irride le «democrazie», condanna senza appello pacifisti e obiettori di coscienza e pretende la morte per i disertori. E Luigi Chatrian, valdostano, che come comandante della 227a divisione di stanza a Castrovillari (Cosenza) ordina la fucilazione per diserzione di cinque soldati il 9 settembre 1943, nonostante l’armistizio, e dopo il conflitto diventerà presidente degli Orfani di guerra. Gli orfani che lasciò lui non ebbero riconoscimento prima del 1968, a conclusione di un lungo processo. Chatrian, così potente da riuscire a mantenere lo stipendio da generale e da sottosegretario alla Guerra di tre governi, finora era ricordato dai suoi biografi come «cristiano, cattolico esemplare». Verità scomode, pagine nere di una tetra guerra, scovate in anni di ricerche negli archivi militari dallo storico Mimmo Franzinelli, che insegna diritto e economia in Val Camonica. «Sconvolgente», dice.
Fuciliazione alla schiena
Franzinelli ha scritto Disertori (Mondadori, pp. 388, € 22) attraverso documenti e testimonianze, aprendo un sipario su vicende e dolori inediti. «Carne e ossa, storie di vita e di morte che mi hanno indignato, commosso, provato», dice. Per paura, vigliaccheria; per tornare a casa e aiutare chi moriva di fame; per amore; per spirito banditesco e avidità di denaro: sono alcune delle ragioni della diserzione scovate negli archivi. Poi c’è la politica, l’ideologia.
Come i due fratelli Amaury e Egone Zaccaria di Fiume, antifascisti, che disertano nell’estate del 1940 e diventano agenti segreti inglesi: i servizi britannici li addestrano al Cairo e a Malta. Prima missione 1941. Vengono arrestati la notte del 9 ottobre 1942 sulla costa napoletana: hanno codici cifrati, una radio ricetrasmittente e una cifra enorme, 750 mila lire. Vengono condannati a morte. Entrambi scrivono al re. Egone firma una lunga lettera che finisce così «O grazia o morte». Con orgoglio chiede clemenza: «Non sono innocente per le leggi italiane... ma non ho assolutamente portato con nessuna azione mai danno all’Italia». Processo veloce che si conclude con la sentenza di «fucilazione nella schiena, previa degradazione». Egone e Amaury vengono sepolti al Verano sotto falso nome, condannati anche alla damnatio memoriae.
L’amnistia dopo vent’anni
Un diario d’amore, un’incredibile ingenuità nel dirsi colpevole di «passione amorosa senza limiti» salva dalla fucilazione Paolo Di Mitri, classe 1920, studente delle magistrali di Taranto. Viene condannato a dieci anni di reclusione. Negli atti del processo è rimasto il suo diario, scritto con inchiostro blu, e dedica della sua innamorata, Nina, studentessa di 18 anni: «Paolo, mio caro, tu sai come io amo di te tanto tanto. Tua Nina sembre (sic). 18/01/1942». Paolo chiederà ai giudici il riscatto: «Chiedo di essere destinato a reparti combattenti di fanteria». Desiderio esaudito. Addio Nina della steppa ucraina di Dnjepropetrowsk, ma salva è la vita. Paolo Di Mitri avrà la pena amnistiata il 9 marzo 1964. Dice Franzinelli: «S’interpreta la guerra degli italiani in Russia con chiave epica, leggendaria. Io mi sono imbattuto in tante storie di diserzione in cui i nostri soldati cercavano calore umano. La storia di Paolo è esemplare».
«Dite a Violetta che l’amo»
Le diserzioni, le oltre quattromila fucilazioni, le decimazioni di giovani in fuga dal fronte, fanno parte dei racconti tragici della Prima guerra mondiale. Ora irrompono anche nelle vicende della Seconda. Rivelano l’inatteso. «Come le diserzioni ancor prima che la guerra cominciasse», spiega Franzinelli. «I piemontesi, i liguri, i valdostani che fuggivano in Francia, terra amica». Si legge nel libro: «Le prime fughe sorprendono le autorità militari e politiche, incapaci di trovarvi spiegazioni razionali, mentre la propaganda di regime dipinge quella nazione come un’avversaria degli interessi italiani». Difficile quantificare il fenomeno diserzione. Dati certi ci sono soltanto fino al luglio 1943: circa 200 mila processi, di cui 40 fucilazioni, 24 ergastoli, 71 mila 307 condanne oltre i dieci anni di reclusione. Poi tutto aumenta, ma i dati si confondono, trovarli è un’impresa titanica. Si sa che uno dei grandi crucci di Mussolini, con la Repubblica di Salò, era proprio la diserzione.
Franzinelli è riuscito a ricostruire alcune storie dei condannati a morte rintracciando i familiari, oltre che leggendo gli atti dei processi. «Un’emozione molto forte come il caso di Cosimo Ricchiuti, studente che veniva da Ferrandina, Matera». Cosimo, artigliere, è un antifascista. Con la divisione Bergamo finisce a Spalato a combattere quella che definisce «una sporca guerra». Conosce Violetta, figlia di un comandante partigiano. Se ne innamora, ritrova in lei le sue idee e quando dopo un anno al fronte torna in licenza a Ferrandina confida al padre di «non voler più far parte degli invasori». Violetta gli indicherà una via di fuga e lui si unirà ai partigiani. Ma il massacro della sua banda proprio da parte degli ex commilitoni della «Bergamo» lo costringerà a costituirsi. E nonostante la volontà del presidente del Tribunale di salvargli la vita, sarà condannato alla fucilazione. Qualche ora prima di morire scriverà ai genitori: «Fate sapere a Violetta che il suo fidanzato è morto pronunziando il suo nome». Nella busta c’è la foto che Violetta gli diede il 25 febbraio 1943. 

Ribellioni di storie tratteggiate 

MEMORIA. «Disertori», di Mimmo Franzinelli per Mondadori

Niccolò Nisivoccia Manifesto 11.3.2016, 0:15 
Il nuovo libro di Mimmo Franzinelli, Disertori (Mondadori, pp. 389, euro 22), contribuisce a riempire di colori e di sfumature quella vasta zona grigia rappresentata, nei due anni di «guerra civile» seguiti all’armistizio dell’8 settembre 1943, dalla terra di mezzo fra i due estremi: la Resistenza, vale a dire l’impegno nel partigianato, da un lato, e Salò, vale a dire l’adesione alla Repubblica Sociale, dall’altro. Non tutti vollero o furono capaci di scegliere, e non mancano le opere, anche memorialistiche, dedicate all’una o all’altra di queste mancate scelte: si pensi ad esempio, fra le più recenti e le più sincere ed equilibrate, a Due anni senza gloria di Lodovico Terzi. Ma la gamma dei sentimenti e delle ragioni di ogni mancata scelta, buone o meno buone che fossero, fu comunque molto più ampia di quanto ciascuna di queste opere, da sola, potrebbe dare conto; così come sarebbe riduttivo, e perfino ingeneroso, racchiudere tutti i comportamenti in un generico disimpegno, in un immobilismo compiaciuto. 
La realtà fu variegata, invece, e complessa: come ha scritto Goffredo Fofi proprio a commento di Due anni senza gloria, «la zona grigia andava insomma dal grigio quasi nero al grigio quasi bianco» e «non fu così raro che, nella difficoltà di alcuni di portare un giudizio, si oscillasse, si scegliesse per caso, o per superficiale infatuazione ribellistica». E del resto le medesime oscillazioni avevano caratterizzato, anche prima dell’8 settembre, l’intero periodo della guerra: l’Italia vi era entrata ufficialmente nel 1940 ma il vento aveva cominciato a soffiare in quella direzione almeno a partire dalla primavera del 1939. Ora questa variegata realtà viene osservata con uno sguardo che non la esaurisce ma l’abbraccia ampiamente: Franzinelli si concentra sui disertori e – poiché la diserzione poteva riguardare per definizione solo i chiamati alle armi (vuoi dal Regio Esercito, ricostituito dal Regno del Sud dopo la sua dissoluzione in concomitanza con l’armistizio, vuoi dalla Repubblica Sociale) – rimangono giocoforza esclusi i comportamenti di coloro che fecero o non fecero le proprie scelte al di fuori di qualunque costrizione militare. Ma l’indagine è comunque quasi sterminata, anche perché Franzinelli compone il quadro di quegli anni attraverso il racconto dei destini personali, che naturalmente sono migliaia; ed è uno sguardo, il suo, pieno di un’umana comprensione, che non solo viene dichiarata quasi a titolo programmatico all’interno del primo capitolo del libro, ma emerge ancora di più per fatti concludenti, in virtù del metodo storiografico prescelto. 
La dichiarazione programmatica deriva da una citazione da Nuto Revelli: «Si può disertare non solo per viltà di sentimenti, per difendere la vita, ma in nome di valori ideali». Il metodo storiografico consiste nell’aver raccolto le storie dei disertori a decine; e nell’averle restituite al lettore in forma quasi narrativa, molto spesso anche attraverso le parole degli stessi protagonisti, recuperate nelle lettere o nei diari. Ne deriva appunto quella molteplicità di sfumature e di stati d’animo e comportamenti di cui parlavano Nuto Revelli o Goffredo Fofi: c’era chi disertava, nelle zone di frontiera (in particolare al confine con la Francia o con la Iugoslavia), per ragioni di vincoli culturali e sociali nei confronti delle popolazioni agli Stati confinanti, se non per un senso di maggiore appartenenza tout court a questi ultimi; chi per ragioni di vero e proprio rifiuto della guerra; chi per diventare partigiano, chi invece per darsi o tornare al banditismo (la guerra, sottolinea Franzinelli, era stata «un’occasione d’oro per i delinquenti», perché «le prigioni si aprono, a chi voglia difendere la Patria»; chi per necessità famigliare, per una scelta poco meno che necessaria «tra i doveri militari e l’aiuto ai familiari bisognosi»; chi perché, dopo l’8 settembre, considerava «chiuso il proprio impegno bellico»; chi, semplicemente, per paura; e c’era infine chi disertava ma solo per poco tempo, e tuttavia veniva ugualmente considerato disertore a tutti gli effetti. Nel complesso, a guerra conclusa i disertori furono circa duecentomila nel Regio Esercito e centomila nella Repubblica Sociale; e moltissime furono di conseguenza le condanne, detentive o alla pena capitale, sempre comminate all’esito di processi sommari (ma processi e condanne proseguirono anche nel dopoguerra, addirittura fino alla seconda metà degli anni ottanta). 
Cosa rimane, alla fine di tutto ciò, oltre al quadro di questa umanità molteplice e variegata, che già da solo basterebbe a riempire la scena, oltre alle decine di storie tratteggiate, ognuna delle quali potrebbe generare un romanzo, oltre alla desolazione? Rimane, quasi paradossalmente, il senso di un’uguaglianza: al fondo, ciò che tutti i disertori volevano – chi per un motivo chi per un altro – era solo tornare «a baita», cioè a casa, proprio come il soldato Giuanin nel Sergente nella neve di Rigoni Stern.

Gettare la divisa alle ortiche In fuga dall’esercito del Duce Un saggio di Mimmo Franzinelli ripercorre il fenomeno della diserzione nella Seconda guerra mondiale (Mondadori)3 apr 2016 Corriere della Sera di Corrado Stajano
Mimmo Franzinelli in questo suo nuovo libro, Disertori (Mondadori), racconta, tra tante storie purtroppo vere della Seconda guerra mondiale, una vicenda che ha per protagonista un generale, Luigi Chatrian: una pagina nera per quanti allora furono a capo dell’esercito italiano.
Gli Alleati il 10 luglio 1943 sono sbarcati in Sicilia, la resistenza italiana è inesistente, sporadica, i tedeschi si battono invece nella piana di Catania. Il 3 settembre, a Cassibile, vicino a Siracusa, viene firmato l’armistizio che resta segreto fino all’8 settembre. Il 5 settembre — gli Alleati sono già in Calabria — una ventina di soldati della 222ª Divisione costiera, in servizio a Intavolata, fuggono. Cinque di loro vengono catturati. Il colonnello Remo Ambrogi, che comanda il reggimento, propone la fucilazione, il generale Chatrian ordina che sia immediata. Gli abitanti del paese vengono a saperlo e tumultuano, lanciano pietre contro le finestre della caserma, un cappellano militare cerca di convincere il generale a sospendere l’esecuzione, gli Alleati infatti stanno già avanzando senza intralci. L’8 settembre Chatrian ascolta alla radio il messaggio di Badoglio con tutta la sua vergognosa ambiguità, ma dissennatamente non cambia parere: l’ordine deve essere eseguito. E lo sarà nella notte fatale dell’armistizio già firmato da giorni e reso pubblico da ore.

Il generale Chatrian subirà conseguenze per il suo agire disumano, al di fuori di ogni disciplina militare che esige anch’essa il buon senso? Resterà tranquillamente nei quadri dell’esercito e farà anche carriera politica: nel dicembre 1944 diventerà uomo di governo democristiano, sottosegretario alla Guerra e poi alla Difesa in sei ministeri, parlamentare, presidente di commissione. Nelle inchieste e nei processi che verranno celebrati sulla strage la Magistratura militare starà bene attenta a non coinvolgerlo mai. «La nascita del Regno del Sud — scrive Franzinelli —, preparata dalla fuga dei governanti, ha come viatico la fucilazione di cinque soldati-contadini». (Ai quali settant’anni dopo sarà dedicata una lapide tra il cimitero di Acquappesa, il luogo della fucilazione, e il mare di Calabria).

Tutto questo accadde in un’Italia dove i primi disertori furono i responsabili del disastro: il re, Badoglio, il futuro Umberto II, i generali coi loro aiutanti di campo che dopo l’armistizio fuggirono da Roma per imbarcarsi, a Ortona a Mare, a calci e a spintoni sulla corvetta Baionetta diretta a Brindisi.
Il libro di Franzinelli è un catalogo ragionato del fenomeno della diserzione tra il 1940 e il 1945, ricco di una straordinaria documentazione tratta dagli archivi, dai diari storici dei reparti, dalle istruttorie, dalle sentenze dei tribunali, dai rapporti, dai bollettini di guerra, dagli innumerevoli studi, saggi, inchieste usciti in più di mezzo secolo. Disertori offre un’immagine della parossistica e spietata condotta di una certa autorità militare nei confronti di chi, per paura, per stanchezza, per il desiderio di tornare a casa, per odio contro la guerra, per ribellione alle vessazioni degli ufficiali, per amore di una donna e anche per valori ideali e politici violò il codice militare o parve che lo facesse. Quale fu la motivazione delle sentenze di condanna? Dare un esempio, anzitutto. Servì a poco, le diserzioni furono anche di massa dopo il 1942: duecentomila nel Regio Esercito, centomila nella Repubblica di Salò. (Le inchieste, le pratiche, le sentenze della magistratura militare, con la loro lentezza e la loro precaria intelligenza, proseguirono fino agli anni Sessanta, il tempo del centrosinistra).
Il libro smentisce ancora una volta lo slogan «italiani brava gente». In una circolare del 1° marzo 1942 il generale Mario Roatta ordinò di incendiare, nella provincia di Lubiana, case e villaggi, uccidere ostaggi, internare massicciamente la popolazione: «Non dente per dente, ma testa per dente » , era il suo motto. E Mussolini, a Gorizia, il 31 luglio 1942, disse: «Non temo le parole. Sono convinto che al “terrore” dei partigiani si deve rispondere con il ferro e con il fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. Questa tradizione di leggiadria e tenerezza soverchia va interrotta».
I comportamenti nei confronti dei nostri disertori — fenomeno che riguarda tutti gli eserciti del mondo — seguirono le stesse direttive. Il libro di Franzinelli è ricco di fatti non conosciuti, di vicende tragiche pubbliche e private, di personaggi. Franco Monicelli, giornalista, sceneggiatore, fratello del celebre regista de La Grande guerra, fu condannato a due mesi e venti giorni di reclusione e alla rimozione del grado, accusato di «diserzione fuori della presenza del nemico» per un ritardo dalla licenza nel 1943, dovuto ai bombardamenti che avevano interrotto le linee ferroviarie. Paolo De Mitri, diciottenne studente di Taranto, in Russia con lo Csir, si innamora di Nina, studentessa di medicina a Dnjepropetrowsk. Tiene un diario, Mia vita d’amore, diserta, non può star lontano da lei. Arrestato, questa volta il giudice non infierisce sul «soldato preso da morboso amore per una giovane donna ucraina»: dieci anni di reclusione da scontare e l’immediato ritorno al fronte.
Disertori fa da specchio oscuro alle iniquità della Seconda guerra mondiale. Dalla Dalmazia invasa dal Corpo d’armata autotrasportabile, alla guerra di Grecia, allo Csir e all’Armir e alla ritirata di Russia fino alla Repubblica di Salò: delle quattro divisioni repubblichine formate nei lager nazisti non furono pochi i disertori che salirono in montagna coi partigiani.
Enzo Forcella e Alberto Monticone pubblicarono (da Laterza) nel 1968 Plotone d’esecuzione, un rigoroso saggio sui processi della Prima guerra mondiale. Bastava nulla allora per finire davanti ai plotoni di esecuzione. Ma anche nella Seconda guerra mondiale, documenta questo libro, le fucilazioni nella schiena non furono poche.

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