sabato 12 marzo 2016

Il mito dell'invisibilità nella cultura occidentale: Philip Ball

Elogio del mondo invisibile ma vero 
Nel suo ultimo saggio lo scienziato e grande divulgatore Philip Ball racconta le infinite realtà che non vediamo: dai batteri al magnetismo, fino alle tecnologie
FRANCO MARCOALDI Restampa 19 3 2016
Senza dover neppure scomodare Dio, e anzi tralasciando per un momento l’infinitamente grande a vantaggio dell’infinitamente piccolo, risulta subito chiaro quanti, e quanto potenti, siano gli agenti celati alla vista che condizionano le nostre esistenze. Basti pensare alla lunga lista di micro-organismi che ci circondano: batteri, muffe, virus. È vero: a partire dal secolo XVII è venuta
in nostro soccorso la tecnologia, con microscopi via via sempre più sofisticati che ci hanno consentito di vedere quel che sfuggiva ad occhio nudo. Ma per un problema che si chiudeva, subito un altro se ne apriva, nel gioco di rimbalzi ininterrotto tra visibile e invisibile. Al punto che oggi, quando indaghiamo questa mobilissima frontiera, non dobbiamo più fare ricorso all’infinita schiera di spiritelli, demoni, fate, elfi e fantasmi, visto che è la stessa scienza a parlarci di “materia oscura”, sfuggente e misteriosa, che pure gioca un ruolo centralissimo nelle più avanzate teorie fisiche e cosmologiche.
Non c’è verso: l’invisibile, che da sempre accompagna la storia umana, continua nella sua marcia trionfale. E il suo potere seduttivo, lungi dal calare, cresce. Sia nella capacità di influenzare da un indistinto altrove quanto avviene sotto i nostri occhi, sia nel sempiterno desiderio umano di nascondersi, scomparire, volatilizzarsi. Con tutti i rischi che ne conseguono, esplicitati in primis dal solito Platone. Il quale, nella Repubblica, racconta la storia del pastore Gige, che, una volta entrato in possesso dell’anello di invisibilità, ammazza il re, seduce la regina e si impadronisce della corona.
Gira che ti rigira, sarebbero proprie queste le costanti tentazioni degli uomini, quando, indossato il famoso mantello, hanno la ventura di oltrepassare tale magica soglia: sesso, ricchezza e potere. Almeno secondo Platone, per il quale l’uomo che agisce nell’ombra abbassa pericolosamente il tasso della propria moralità ed è spinto a rubare, gozzovigliare, uccidere.
Ma allora come la mettiamo con lo scenario odierno, dove sono quelle stesse tentazioni plurisecolari a essersi, in qualche modo, volatilizzate? Non è forse vero che si fa sempre più fatica a visualizzare e dunque a incarnare le nuove forme del potere e della finanza? Perfino il sesso, grazie ad internet, sembra essere entrato in una dimensione immateriale. Forse non c’è più bisogno di indossare alcun mantello: nell’invisibile ci siamo dentro mani e piedi.
Questi e tanti altri pensieri solleva la lunga e fascinosa cavalcata tra mito e scienza, fiaba e tecnologia, letteratura e psicologia del profondo, cinema e occultismo, che al tema dedica Philip Ball, uno dei più abili divulgatori scientifici (e non solo) di area anglosassone.
L’invisibile (Einaudi) lascia storditi per la sbalorditiva messe di storie e scoperte che si succedono nell’accurata ricostruzione di una vicenda ultramillenaria. Nell’antichità nascondersi e occultarsi era, in teoria, un buon modo per sfuggire ai mille pericoli quotidiani. Ma nella pratica affidarsi a dei poteri magici che potevano implicare terribili condanne per stregoneria, era ancor più pericoloso.
Magia, peraltro, è una parola ambigua: «Cortina di fumo per i ciarlatani» e, a partire dal Rinascimento, cuore segreto della natura stessa — come indicano gli itinerari di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Dunque il volano di un’indagine su quelle forze occulte che animano il mondo, tra le quali troneggia il magnetismo che forse, suggerisce Bell, si lega etimologicamente alla parola “magia”.
Siamo agli albori di quello spirito scientifico moderno che, facendo leva proprio sulla tradizione della “magia naturale”, ritiene che «molte delle cose che avvengono nel mondo, e forse addirittura la maggior parte, hanno cause invisibili». D’altronde, Isaac Newton cercherà di spiegare la gravità come “forza occulta” e Adam Smith, nella sua teoria economica, parlerà di “mano invisibile”.
Nel contempo, la propensione magica fa anche fiorire un esercito di imbroglioni: superstizione e credulità popolare sono sempre presenti sulla piazza. D’altronde, tra gli apparenti paradossi della modernità, c’è l’idea che l’affermarsi progressivo della scienza «coincida con un rinnovato interesse per le questioni spirituali, il misticismo, la magia».
Basti, per tutti, l’esempio del famoso medico tedesco Mesmer, con la sua teoria del fluido magnetico. Ormai, comunque, siamo prossimi all’ulteriore e definitivo salto, con la tecnologia che penetra baldanzosa «in campi fino allora occupati dal mito». Ci penserà lei, d’ora in avanti, a offrire l’invisibile. Senza bisogno di maghi e illusionisti.
Così la scoperta di molti e diversi tipi di raggi spinge radicalmente verso l’immateriale. Nell’ambito delle telecomunicazioni si inviano messaggi «attraverso il nulla». Fotografia e fonografo, riproducendo volto e voce all’infinito, diventano straordinari moltiplicatori di fantasmi. E non per caso il filosofo Jacques Derrida definirà il cinema «una battaglia di spettri ».
Non c’è dunque da sorprendersi se, tra gli stessi scienziati a cavallo tra Otto e Novecento, vi sia chi comincia a sospettare che la realtà visibile sia soltanto un’illusione. Per certo, annota Ball, «non siamo mai tornati indietro da questa smaterializzazione del mondo che iniziò un secolo e mezzo fa». Affermazione difficile da contestare e facile da comprendere anche per chi mastica poca scienza, ma si guarda intorno e vorrebbe darsi ragione delle cose.
Quanto al rapporto tra scienza e mito, esso in effetti resta aperto e problematico, specie rispetto al tema dell’invisibile. I piani, lo abbiamo visto, si incrociano in modo sempre più marcato. Eppure è indispensabile tenerli concettualmente separati. Ce lo ricorda Ball, invitando a distinguere tra “tecnica” e “metafora”. E ce lo ricorda Carlo Rovelli nelle Sette brevi lezioni di fisica: un conto è «inventare racconti», un altro «inseguire tracce». Gli esseri umani, evidentemente, sono soggetti a entrambe queste spinte. E desideri. ©RIPRODUZIONE RISERVATA






















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