sabato 26 marzo 2016

Il restauratore dell'Impero Liberal: il trionfo di Obama e la nuova e infrangibile egemonia statunitense per il XXI secolo

Obama il grande
Viene da ridere quando si legge che gli Stati Uniti sono in crisi e che dunque bla bla. Certo che sono in crisi. Il capitalismo è sempre in crisi ma proprio questo è il suo successo: nonostante la crisi o anche grazie alla crisi, mai l'egemonia nel campo delle forme di coscienza è stata così potente.  [SGA].

Massimo Teodori: Obama il grande, Marsilio, pp. 110, 10

Risvolto
Da uno dei massimi esperti in Italia di storia americana un libro controcorrente su Barack Obama, il "grande presidente" che ha rinnovato la politica estera degli Stati Uniti e ha affrontato le diseguaglianze tra ricchi e poveri. Mentre Obama si appresta a lasciare la Casa Bianca, Massimo Teodori traccia un primo bilancio del suo operato, rispondendo ad alcuni interrogativi: ha portato l'America alla decadenza o ha rinnovato il Paese più ricco e potente del mondo? Ha combattuto il terrorismo o ha favorito, con l'isolazionismo, l'avanzata dell'Isis? Ha affrontato il razzismo o non è riuscito a ridurre le tensioni che agitano la società americana? È stato dalla parte dei ricchi di Wall Street o del ceto medio di Main Street? In breve: la sua presidenza è stata un successo o un fallimento? La seconda parte del volume contiene una guida per tutti coloro che vogliono comprendere la macchina della democrazia statunitense e farsi un'idea di come si svolgeranno le presidenziali del 2016, dalle primarie alle convenzioni nazionali, fino all'elezione popolare dell'8 novembre.

IN UN MONDO SENZA IL GENDARME 
26 mar 2016  Corriere della Sera Di Massimo Gaggi 
Obama, il presidente che ha mandato in soffitta il vecchio unilateralismo americano, abbandonando la logica di potenza (e di prepotenza) della dottrina dell’«eccezionalismo» degli Stati Uniti: il Paese del cosiddetto «Destino manifesto». La nazione, cioè, che avrebbe ricevuto dalla Storia l’incarico di difendere la democrazia e l’economia di mercato nel mondo contro le spinte autoritarie e autarchiche del totalitarismo. Il leader democratico ha cambiato rotta: Barack Obama ha detto al mondo che l’America non è più il suo gendarme. Interviene solo quando sono in gioco suoi interessi vitali o per aiutare un alleato minacciato. 
Accusati per anni di imperialismo dai loro critici, ora gli Stati Uniti finiscono sul banco degli imputati per il motivo opposto: i loro passi indietro, l’atteggiamento rinunciatario in Medio Oriente, l’invito agli alleati europei e alle nuove potenze regionali a colmare il vuoto lasciato dal disimpegno di Washington. 
In un saggio breve appena pubblicato da Marsilio, Massimo Teodori traccia un bilancio di fine mandato della presidenza del primo commander-in-chief nero della storia Usa. Il celebre americanista promuove il leader democratico, com’è evidente fin dal titolo dell’opera, Obama il grande (pp. 110, 10), ma, passando dalla copertina all’analisi ragionata, il giudizio si fa meno perentorio: «L’America non può e non vuole essere più il gendarme del mondo: Obama lo ha capito e negli otto anni di presidenza ha cercato di imboccare una nuova strada, senza ripetere gli errori della vecchia. Forse c’è riuscito ma solo in parte. Il futuro dirà se davvero c’è stata una svolta storica» senza compromettere i valori di libertà e democrazia dell’Occidente. 
Giudicare una presidenza «a caldo» non è mai facile. Con Obama tutto è complicato dalle condizioni difficilissime nelle quali si è trovato a operare: ha ereditato un Paese sprofondato nella recessione, sfiancato da due guerre, e si è trovato davanti un’opposizione repubblicana ideologica e radicalizzata, decisa a bloccare in Congresso tutti i suoi atti principali. 
Un contesto che giustifica la pochezza dei risultati raggiunti all’interno: Teodori approva le sue scelte, i tentativi di aggirare i veti parlamentari con l’uso dei poteri presidenziali. Ma alla fine la colonna delle cose fatte in otto anni di governo è molto breve: la manovra di stimolo che, con l’aiuto della Federal Reserve, ha consentito di tirare l’America fuori dalla recessione prima dell’Europa, e una riforma sanitaria rivoluzionaria per le abitudini americane, ma di impatto limitato se paragonata con i sistemi europei di tutela della salute. Qualche progresso nei diritti civili, mani legate su armi e immigrazione. 
Il segno Obama lo lascia soprattutto nella politica estera. Ed è un segno controverso: ha ritirato le truppe Usa da Iraq e Afghanistan, ha rinunciato ad attaccare in Siria. Meno uso della forza, più spazio per un multilateralismo che rivaluta dialogo e diplomazia. Ma, come nota anche Teodori, se Obama ha evitato la «via antica», cioè il tentativo di imporre una pax americana onerosa in termini economici e di vite umane e per nulla stabilizzante, «al tramonto dell’egemonia unipolare Usa non ha fatto seguito alcun equilibrio multipolare». 
È questo il vero cruccio di Obama, che nei recenti colloqui con «The Atlantic» ha riconosciuto gli errori fatti in Libia e non ha nascosto un certo risentimento nei confronti di alleati che, abituati a vivere sotto l’ombrello Usa, non hanno saputo assumersi le responsabilità legate ad un approccio multilaterale. «Free riders» li ha definiti Obama: gente abituata a viaggiare gratis.

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