mercoledì 16 marzo 2016

Il traduttore automatico e il futuro della traduzione letteraria

Risultati immagini per Dickinson: Charter in delirio,Emily Dickinson: Charter in delirio. Testi scelti con traduzione automatica a fronte, a cura di Marzia Grillo, Elliot

Risvolto
Cosa succede se si affidano i versi della più sensibile e visionaria delle poetesse agli algoritmi di un traduttore automatico? Accade che le parole esplodono nell'assurdo e i significati si moltiplicano verso direzioni imprevedibili, oscillando vertiginosamente tra il reale e il meraviglioso, il grottesco e il sogno. Così, con irresistibile effetto comico, il mondo di Emily Dickinson si popola di charter in delirio, piste di peluche, zuppe inglesi e bandiere gay, mentre il suo immaginario fatto di api e fiori, ebbrezza ed eternità viene assalito dai tecnicismi dell'informatica, dello sport e dell'economia. Un esperimento inedito e attuale che, come suggerisce Martina Testa nella sua postfazione, offre "l'ennesimo esempio delle infinite possibilità delle parole, simboli che, a forza di traslazioni e ricombinazioni, sono in grado di smontare e rimontare interi mondi".

Dai vangeli al web perché siamo tutti lost in translation 
La rilettura in italiano dei versi di Emily Dickinson con Google ora diventa un libro (comico). Rilanciando un dilemma antico
VALERIA PARRELLA
Quando ho regalato “End zone” di Don De Lillo, in italiano, a un appassionato di sport non più giovanissimo, la prima cosa che ha fatto è stata l’andare a controllare i termini tecnici: «Ah, ok, si può leggere — mi ha detto — li hanno lasciati in americano». Per poi spiegarmi di come il suo apprendistato da allenatore di basket fosse stato tormentato dalla “rottura veloce” per contropiede (fastbreak), dai “giri sopra” a dire palle perse (tournovers), e da tutti questi giocatori che si muovevano nella “corte”, intesa come campo di basket (basketball court). È il motivo per cui saremo sempre grati ad Adriana Motti per non aver tradotto “The catcher in the Rye” (titolo originale de “Il giovane Holden” di Salinger) come “Il terzino nella grappa” e manco come “L’acchiappatore nella segale”. Meno fortunato il quarterback più sexy della storia del cinema mondiale: Warren Beatty nel doppiaggio de “Il paradiso può attendere” diventa impropriamente un mediano (e gli va pure bene, infondo,
visto che alla lettera sarebbe “il quarto di dietro”.Del resto se il paradiso attenderà per sempre i ricchi è anche per un lettura sbagliata del celebre passaggio di Matteo 19, 24: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago. In greco kámêlon è il cammello e kámilon la corda, ma vogliamo mettere come è difficile per il cammello, con tutte quelle gobbe, passare per la cruna, al posto di una corda? Vince la lectio difficilior perché difficile doveva essere entrare nel Regno dei Cieli. Su equivoci del genere c’è una ricca letteratura. E qui siamo lontanissimi dal problema della traduzione, visto che la questione è in realtà lessicale.
Un esperimento di traduzione 3.0 è stato compiuto da Marzia Grillo sulla povera Emily Dickinson: il risultato è nello spassosissimo Charter in delirio che esce ora per l’editore Elliot. Il libro riporta testi scelti tratti dalle liriche della Dickinson, con la traduzione automatica a fronte, realizzata da un Google translate, il traduttore.it. Ecco le poesie della Dickinson popolarsi di una gustosa “zuppa inglese” (trifle/ le quisquilie), un attualissimo “sito web” (the web of live woven/ la tela della vita), e tante “bandiere gay” (banner gay/ gaio vessillo), in omaggio alla lotta delle comunità Lgbt versus i principi vittoriani a cui si ispira il parlamento italiano. E poi i “charter in delirio” in luogo del “delirante contratto” (delirious charter) che nella lirica 528 del 1862 la poetessa stipula con ciò che è Suo.
Nella postfazione, la traduttrice letteraria Martina Testa concede all’algoritmo che governa il traduttore automatico due caratteristiche: la prima è una certa gradevolezza di soluzioni che comunque realizza. Testa, cioè, riflette sulla doppia articolazione delle lingue naturali che consente accostamenti praticamente infiniti tra sostantivi e aggettivi, oppure sulla tendenza a uniformare le frasi italiane su una matrice endecasillabica. Insomma gli regala una grazia. Sì, gli regala, regala a lui: la seconda considerazione di Martina Testa è che l’algoritmo ha personalità maschile e nerd e quindi, proprio come un vero traduttore, è legittimamente dotato di una sua lingua personale, fatta di parole ed espressioni che, in qualche modo, sente usare più spesso. Infatti tende a un generale appiattimento semantico sulla tecnologia e l’informatica: le “nuts” non sono più nocciole, ma dadi; “sleep” non è il sonno ma lo spegnimento, “out of the Foxglove’s door” è tradotto bene: solo che il traduttore non riconosce la pianta dai fiori vermigli che popolava la brughiera inglese, e se ne va per una strada che conosce meglio: “fuori dalla porta del digitale”.
Quando Niccolò Ammaniti ha pubblicato Anna, gli ho mandato delle domande per un’intervista, e lui, che aveva pochissimo tempo, mi ha risposto tramite OS X 10.8 Mountain Lion, una funzione che Apple ha introdotto nel sistema operativo dei Mac e che permette di dettare al proprio computer i testi da scrivere. Chiaro che qui il processo è un altro: la scomposizione di una stringa vocale in uno spettrogramma, e la successiva ricomposizione dei fonemi riconosciuti in una sequenza scritta di senso compiuto (non “logico”: “compiuto”); ma la fonetica non è solo un sottoinsieme della fisica: lo è anche della glottologia. È parte di un tutto, comprensione e trasmissione di un’idea a mezzo lingua verbale (ivi comprese le Lingue dei Segni che sono anch’esse naturali e verbali, sebbene non vocali). Bene, riporto un pezzo di risposta da Ammaniti/ Mountain Lion: «E mi sembra impossibile superare quelli che resistette teorici che avevo messa questa storia. Quindi Vita da zero a 14 un virus latente una memoria che si consumava con il tempo mi affascinava ma nello stesso tempo mi terrorizzava »; infatti sul web fioccano tutorial dal titolo surreale: Come dettare al Mac… Senza dover arrivare a cotanto progresso, agli albori dell’elettronica c’era un flipper italico che campeggiava in alcune decrepite sale da gioco del Meridione: prodotto negli anni Settanta, si sforzava di tradurre sia dal latino che dall’inglese: per ogni bonus c’era un abbuono, per ogni extra ball una palla aggiuntiva. Con un coraggioso collegamento alla tradizione, lo strike di quando abbattevi tutte le tesserine diventava Filotto! scritto così: con il punto esclamativo. Per poi finire tutto, va da sé, con un lampeggiante e definitivo GIOCO SOPRA (game over).
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