giovedì 3 marzo 2016

La Rationalisierung socialista in Cina: l'Assemblea nazionale



Il Piano quinquennale della Cina in dieci punti


La «nuova normalità» in Cina: licenziati in sei milioni

Cina. Il governo taglierà le «aziende zombie». Acciaio e carbone nel mirino. Il Partito ha già pronti 23 miliardi di dollari per riqualificare e reinserire i lavoratori nei prossimi due anni

di Simone Pieranni il manifesto 3.3.16
Anyuan è chiamata la «piccola Mosca cinese», per il suo fervore rivoluzionario che rimanda ai fasti immaginifici della storia del Partito comunista cinese nel periodo successivo alla rivoluzione d’ottobre. Poco dopo aver fondato il Partito a Shanghai, nel 1921, alcuni dirigenti, compresi Mao, Li Lisan e Liu Shaoqi, si recarono nella cittadina sud-orientale al confine tra Jiangsu e Hunan, per capire la situazione lavorativa delle miniere.
I lavoratori erano in fermento, sembrava stesse nascendo qualcosa di rilevante. Una straordinaria forza organizzativa pareva dovesse solo trovare la scintilla giusta per scoccare un colpo decisivo (Elizabeth Perry racconta la vicenda in Anyuan: Mining China’s Revolutionary Tradition, University of California Press).
Nel 1922 i minatori insorsero. Si trattò della prima connessione rilevante tra il neonato Partito comunista cinese e una lotta imponente, determinante anche per la successiva creazione dell’immaginario tanto del Partito quanto della città teatro della proteste. Quasi un secolo dopo i minatori di Anyuan sono scesi di nuovo per strada, all’inizio di questa settimana. Questa volta, però, la loro lotta non era «con», bensì «contro» il Partito comunista.
Le ragioni della protesta sono semplici: alcuni giorni fa il governo di Pechino, di fatto, aveva annunciato un taglio di 1,8 milioni di lavoratori impiegati nelle aziende di stato. Si tratta per lo più di compagnie impegnate nel settore minerario. L’annuncio è ufficiale, perché uscito dalla bocca di Yin Weimin, ministro per le «risorse umane e la sicurezza sociale» (un nome ministeriale orwelliano, visti gli esiti della sua attività). C’è poco da fare per queste persone che dal fondo della terra emergono dopo tante ore di massacrante lavoro. È la «nuova normalità» di Xi Jinping, fattore determinante per la realizzazione del «sogno cinese», condizione fondamentale per lo sviluppo della nuovissima Cina, alla ricerca di un modello economico capace di reggere alle nuove sfide. E per le «aziende zombie», così chiamate perché sopravvivono solo grazie alle sovvenzioni di Stato, i tempi cominciano a essere grami.
Non solo, perché la Reuters ieri ha citato fonti che testimonierebbero tagli ben più pesanti: addirittura sei milioni di lavoratori verrebbero espulsi dal circuito produttivo. I settori interessati sono sempre quelli: acciaio, carbone principalmente. I motivi sono reiterati da tempo dalla dirigenza: la Cina ha bisogno di meno inquinamento, meno sovrapproduzione, meno crediti che le banche non recupereranno — forse — mai. Secondo Reuters, «la leadership cinese è ossessionata dal mantenimento della stabilità e per fare in modo che comportino disordini, spenderà quasi 150 miliardi di yuan (23 miliardi di dollari) per ammortizzare i licenziamenti nei soli settori del carbone e dell’acciaio nei prossimi 2–3 anni». Queste indiscrezioni non sono state, ovviamente, confermate da alcuna fonte ufficiale, ma l’aria che tira è evidente.
Lo stesso premier Li Keqiang, già tempo fa, aveva posto l’eliminazione delle «aziende zombie» al primo posto nella speciale lista per rilanciare il paese. Le motivazioni non sono solo interne ma anche internazionali. La Cina lotta, e probabilmente avrà il successo sperato, per ottenere lo status di «economia di mercato». Per fare ciò deve dimostrare alla comunità internazionale di avere intenzioni buone.
Del resto la Cina non è nuova a ristrutturazioni di questo genere: nel periodo che va dal 1998 al 2003 furono circa 28 milioni gli «esuberi». Il costo per il governo centrale fu di circa 11,2 miliardi di dollari in fondi di «reinserimento». Pechino sa che può farcela, e ha la consapevolezza della necessità, un obbligo quasi, di questa manovra.
In un colpo solo può dare un colpo fatale anche alla corruzione che si annida nel grande business delle aziende di Stato, divenute veri e propri feudi di funzionari che hanno raccolto potere e clientele in grado di «piantare» interi settori economici. La Cina «mira a tagliare sovrabbondanza di capacità in ben sette settori, tra cui quello del cemento, del vetro e delle costruzioni navali», mentre è probabile che l’eccesso di offerta dell’industria dell’energia solare venga risparmiata «da qualsiasi ristrutturazione su larga scala, perché ha ancora un potenziale di crescita», secondo quanto riferito da una delle due fonti consultate dall’agenzia di stampa.
Il governo avrebbe già elaborato piani dettagliati, benché non ancora annunciati, «per tagliare fino a 150 milioni di tonnellate di capacità di acciaio grezzo e 500 milioni di tonnellate di eccedenze di produzione di carbone nei prossimi 3–5 anni. Ha stanziato 100 miliardi di yuan in fondi del governo centrale per la cassa integrazione nei settori dell’acciaio e del carbone nei prossimi due anni, secondo quanto affermato dal vice-ministro dell’industria Feng Fei la scorsa settimana».

Piano quinquennale, la Cina si gioca il sogno
parlamento al voto da oggi. la bottom line è il 6,5%di Rita Fatiguso Il Sole 3.3.16
Il 13° dossier economico «guiderà» il Paese fino al 2020. Banco di prova per Xi Jinping
Squillano le fanfare anche quest’anno per annunciare l’avvio delle Due Sessioni del Parlamento cinese, ovvero quanto di più vicino a un’istituzione democratica la Cina è in grado di vantare. Due settimane di riunioni e votazioni da parte dei delegati dei due rami del Parlamento in seduta congiunta sulle leggi di portata nazionale, condite dal fatidico numero magico relativo alla crescita attesa per il 2016 che toccherà al premier Li Keqiang di rivelare nel suo discorso alla Nazione di sabato 5 marzo.
Quest’anno c’è poco da stare allegri. Certo, le Due Sessioni sono sempre in grado di calamitare nella capitale migliaia di variopinti delegati provenienti da tutte le parti della Cina, pieni di entusiasmo e di idee, espressione delle minoranze etniche, ma quest’anno ci sarà molto da lavorare sul 13esimo Piano quinquennale tutto lacrime e sangue che dovrà regolare l’economia di qui al 2020. L’obiettivo di crescita è molto incerto, inferiore alle performance degli anni scorsi: di sicuro c’è solo quel 6,5 che il presidente Xi Jinping ha definito come la bottom line quando il draft del Piano è stato presentato.
Lo scopo principale della sessione della Conferenza Politica Consultiva del Popolo cinese - che inizia oggi - e il Congresso Nazionale del Popolo - che prende il via il 5 marzo – è, in effetti, quello di approvare il piano di prossimi cinque anni. Le Due Sessioni si susseguono annualmente, ma ogni cinque anni la Cina si rimette all’opera per capire che linee dovrà darsi per crescere è forse l’unico Paese al mondo a credere ancora nella possibilità, in un mondo globalizzato dominato dalle forze dei mercati, di poter decidere che quale sarà il ritmo di crescita. Raddoppiare il prodotto interno lordo e il reddito pro capite rispetto ai livelli di dieci anni prima, questo è il fulcro economico di quel “sogno cinese” tanto caro al presidente Xi Jinping.
A guastare la festa ci sono sempre e ci saranno ancora i mercati internazionali, sicuramente il motivo numero uno di preoccupazione per il Paese e per il prestigio personale di Xi Jinping che le Due Sessioni, invece, dovranno rafforzare. Crollo delle borse, fughe di capitali, svalutazione dello yuan, riforme a singhiozzo. Lo stesso G20 con le sue promesse smentite nel giro di poche ore ha dimostrato quanto il fattore economia sia in grado di pesare sulle decisioni politiche, orientando in maniera ondivaga le mosse di Pechino. Le borse non gradiscono le continue contraddizioni e la scarsa coerenza del sistema, finiscono così per punire i risparmiatori che cercano nei listini gratificazioni che il mercato immobiliare non può piàù dare.
Il 2016 è partito subito con il piede sbagliato, con un vero e proprio crash del sistema che ha portato al licenziamento del capo della Consob cinese. Il mercato è un elemento che porta instabilità. Xi Jinping, al contrario, dovrà gestire il 19esimo Congresso del Partito e per quell’occasione è atteso un ricambio di cinque componenti dello Standing committee. Vanno in pensione tutti, eccetto Xi e Li, presidente e premier. Per il resto già si favoleggia sui nomi dei possibili cooptati. Saranno assolutamente fidati e in grado di sostenere la leadership del presidente.
Le Due Sessioni saranno probabilmente il vero banco di prova della tenuta della leadership di Xi Jinping, la cui figura si stacca ormai su tutti gli altri.
Finora il presidente ha cacciato tigri e mosche, la corruzione è stato il suo pallino, ma anche un modo per rendere più facile il cammino, ha creato comitati direttivi che sovrintendono le riforme, internet, gli affari legali, la sicurezza nazionale e la riforma militare. Ha chiesto e ottenuto fedeltà da almeno la metà dei leader locali. Deve completare la revisione del PLA, People liberation army, ma anche rivoltare come un guanto (e non sarà facile) le aziende statali, improduttive per l’economia.
È un lavoro per il quale le Due Sessioni servono poco o niente, evidentemente, e tutto questo mentre Xi continua a girare il mondo come un globetrotter, mai forse la Cina è stata così proiettata oltre la muraglia, con la strategia «One belt, one road», l’Asia Investment Bank, le operazioni nel mar Cinese orientale e meridionale, i viaggi all’estero.
Quanto contino effettivamente i delegati e le loro proposte, quindi, è difficile dirlo. Ma di certo in queste due settimane la nomenklatura si offre agli obiettivi di mezzo mondo, pur con tutte le cautele legate agli imprevisti legati soprattutto a quelli televisivi e ai social network. Come sempre, lo show non potrà e non dovrà fare nemmeno una grinza.

Consacrazione di Xi nelle «due sessioni»
Cina. Al via l'annuale Assemblea nazionale. Il presidente ha chiesto ai media nazionali «lealtà assoluta», mentre viene approvato il Piano quinquennale di Simone Pieranni il manifesto 3.3.16
Come ogni anno nei primi giorni di marzo, dal 3 al 5, si terranno le «due sessioni» (lianghui), tradizionale appuntamento «legislativo» di Pechino, con gli incontri dell’Assemblea nazionale e della Conferenza politica consultiva del popolo. Si tratta di quanto più simile a un parlamento esista in Cina, benché le «due sessioni» si occupino per lo più di ratificare quanto deciso dal Consiglio di Stato, dal governo e più specificamente dal Partito comunista cinese.
Quest’anno dovrà essere sancito l’avvio del nuovo piano quinquennale che dovrebbe porre le basi per la nuova normalità cinese: meno crescita, ma migliore, di qualità superiore al passato. Oltre ai tagli, si tratterà di migliorare le condizioni di vita della popolazione, vera e propria bussola della dirigenza cinese che ha l’obiettivo di raddoppiare il reddito pro capite della sua popolazione entro il 2020. Analogamente verranno stabiliti i budget per la difesa, per lo sviluppo del mercato interno e per la crescita generale del paese, che dovrebbe situarsi intorno al 7 per cento. Contrariamente a quanto accaduto nel passato, il vero protagonista della politica nazionale è però il leader Xi Jinping. Se in passato il Partito aveva accettato un tacito accordo in nome di una condivisione collegiale della guida, Xi Jinping ha impresso una marcia molto personalistica alla sua leadership.
E non pochi ne hanno fatto le spese. Si parla, non apertamente, ovvio, di un nuovo culto della personalità e una nuova rigidità della disciplina di Partito; entrambi elementi che parevano abbandonati da una dirigenza che pareva essersi ormai lanciata nella grande finanza e nel business internazionale.
Xi Jinping non ha certo fermato la dinamica economica del paese, perfettamente inserita nei gangli capitalistici internazionali, ma ha voluto segnare il proprio passaggio con un ritorno a una sorta di ortodossia ideologica sempre più netta. I tempi sono così diventati duri per gli avvocati che si occupano di diritti civili e per le ong; ma anche per i funzionari le cose sono cambiate.
La «frugalità» chiesta ai membri del Partito e la feroce campagna anticorruzione hanno portato a una generale situazione di tensione che pare favorire la leadership di Xi. Oltre al numero uno, infatti, sembra ormai esserci il vuoto totale; in silenzio appare anche quella «sinistra» messa all’angolo proprio dal ritorno del’ortodossia ideologica. Un esempio è arrivato nei giorni scorsi, come riportato dall’edizione cinese del Global Times, costola dell’ufficiale Quotidiano del Popolo. Xi Jinping ha invitato a studiare «un articolo dal suo predecessore Mao Zedong inviando un segnale forte ai membri del Partito, affinché onorino l’eredità del pensiero guida del Partito e rafforzino la costruzione di Comitati di Partito». In questi giorni riecheggia dunque il concetto di informazione come propaganda, tanto caro a Mao.
«È necessario che i mezzi di comunicazione ripristino la fiducia della popolazione nel Partito», era scritto in un editoriale del China Daily del primo marzo, dopo un tour che il presidente Xi ha svolto all’interno degli uffici delle agenzie di stampa del paese. A loro Xi Jinping ha chiesto «lealtà assoluta», specificando che «i mezzi di comunicazione della nazione sono essenziali per la stabilità politica». Il loro ruolo? «Amare e tutelare il Partito, e aderire alla sua direzione nel pensiero, nella politica e nell’azione». 

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