venerdì 18 marzo 2016

La sollevazione colorata moltitudinaria in Brasile. La sinistra si prepara a chiedere la testa di Lula?


Del resto le masse cognitarie brasiliane si stanno sollevando per dare corpo al loro desiderio di aperitivo e co-working digitale ma open source. E chi siamo noi senza lo sharing con le masse? [SGA].

Denis e Lula hoop 
di Massimo Gramellini La Stampa 18.3.16
A dispetto dei gufi, con baffetti e no, ormai Renzi si colloca molto più a sinistra della sinistra sudamericana. Infatti, mentre in Brasile la compagna Dilma Rousseff è arrivata a nominare Lula ministro pur di evitargli l’arresto, in Italia nessuno pensa ancora di offrire un posto di governo al Verdini condannato a due anni per corruzione. Ci si limita a tenerlo dentro la maggioranza: a portata di mano, pulita o sporca che sia.
Da una parte all’altra dell’oceano, il messaggio che la politica e i partiti cosiddetti progressisti mandano ai cittadini è: chi se ne infischia se un nostro sodale è nei guai con la giustizia, basta che ci sia utile o che lo si debba ricompensare per qualche servigio. La politica è un cinico gioco di potere da molto prima di «House of Cards» e anche di Machiavelli, che ne mise per iscritto la teoria. Rimane il problema di farla convivere con un simulacro di democrazia, che presuppone la partecipazione al gioco da parte dei cittadini. I quali ogni tanto vorrebbero illudersi che la posta in palio siano gli slanci ideali e gli interessi concreti delle persone. Invece la politica si presenta al giudizio degli elettori nella sua nudità, intessuta di bramosie e convenienze completamente sganciate da qualsiasi obiettivo che non sia la conquista o la conservazione del potere. Esimi politologi ci spiegano con un sorriso di degnazione che non può essere che così. Allora la smettano di stupirsi se le urne si svuotano. E se il mantra degli astenuti non è più «non mi interessa», ma «mi disgusta».


Antunes: «Dilma è pulita, Lula va difeso ma il Pt no» 
Intervista. Ricardo Antunes, sociologo e intellettuale di fama internazionale 

Geraldina Colotti Manifesto 18.3.2016, 23:59 
Ricardo Antunes si definisce un intellettuale «militante, indipendente vicino al Partido Socialismo e Liberdade (Psol), un po’ simile alla vostra Rifondazione Comunista». Sociologo di fama mondiale consultato da movimenti e sindacati, ha scritto molti libri sulla «nuova morfologia del lavoro», tradotti anche in Italia (tra l’altro da Jaca Book e da Punto Rosso, che ha recentemente mandato in stampa Il lavoro e i suoi sensi, prefazione di Istvan Meszaros). Profondo conoscitore della realtà del suo paese (è nato a San Paolo nel 1953) e anche di quella italiana, ha militato a lungo nel Partito dei lavoratori (Pt), di cui fanno parte Lula da Silva e Dilma Rousseff. 
Lula è nominato capo di gabinetto di Rousseff e un giudice sospende la nomina. Qual è la situazione in Brasile?
Profondamente critica, drammatica. C’è una crisi economica, sociale e politica e un’articolazione profonda fra i tre livelli. Il Brasile ha fatto registrare una crescita negativa di quasi il 4% in meno: una tragedia che ha provocato un aumento della disoccupazione, dopo un periodo positivo tra il 2002 e il 2012. Dal 2014 all’inizio del 2015, soprattutto tra gennaio e febbraio, la disoccupazione ha preso proporzioni preoccupanti, colpendo soprattutto i giovani tra i 18 e i 25 anni: il 20% della gioventù oggi è senza lavoro, una situazione che va sempre più assomigliando a quella dell’Europa. Le misure prese dal governo di Dilma da gennaio 2015 sono state contro i lavoratori e le lavoratrici, con misure di austerità pronunciate e tassi di interessi delle banche più alti del mondo, che hanno portato 60 milioni di persone a indebitarsi senza rimedio. Una situazione di crisi strutturale e profonda. Il secondo elemento è stata l’esplosione dello scandalo del Lava Jato, un’azione giudiziaria partita dallo stato di Paranà, influenzato da quello che da voi è stata Mani pulite. Un’operazione che è arrivata al nucleo centrale del Pt e del governo. La corruzione in Brasile è praticata dalla destra da quando questa esiste, dai tempi dell’impero coloniale e della dominazione portoghese. Ma il Pt, nel 1980, è nato promettendo una forte rottura etica con questa pratica, e presentandosi come un partito di sinistra di classe. Purtroppo, 36 anni dopo è attraversato da una profonda corruzione. L’unica persona che non ha avuto un coinvolgimento personale è Dilma. Viene attaccata perché durante le sue campagne elettorali, nel 2010 e nel 2014 avrebbe usufruito dei proventi di tangenti legate alla corruzione di Petrobras. Da ieri il quadro politico si è ulteriormente complicato perché la polizia federale, su mandato del giudice Sergio Moro, ha diffuso intercettazioni telefoniche prese dal cellulare della presidente e da quello di Lula: in cui non c’è prova che Dilma abbia voluto Lula nel governo per intralciare l’azione della magistratura. Ma nell’azione più rapida mai compiuta in Brasile dalla polizia federale, dopo la nomina di Lula sono state diffuse le registrazioni su tutti i grandi media. La costituzione proibisce di intercettare le conversazioni della presidente e non è mai successo che venissero anche diffuse. 
Però è vero che Lula al governo si salva dalla magistratura?
È vero che può evitare di essere giudicato dallo stato del Paranà e che può essere giudicato dal Tribunale federale, la più alta istanza del paese. Il processo contro Lula è proposto dal Ministero Pubblico di San Paolo che non ha poteri giudicanti ma può fornire elementi per un posteriore giudizio. Ma ora, in questa situazione di eccezione e di grande arbitrarietà, tutto può succedere. Se si dimostra che la nomina è avvenuta per intralciare la magistratura, non c’è impunità che tenga. Il giudice Sergio Moro ha giurato di farla finita con Lula e con il Pt: non inventa le accuse, ma le direziona a senso unico. Dilma ha proposto l’incarico a Lula perché il suo governo è in crisi profonda e spera di avvantaggiarsi del prestigio che Lula ha in alcuni settori popolari: un prestigio molto diminuito, ma ancora grande e con tratti messianici, che l’ex sindacalista ha alimentato. Voglio essere chiaro. Siamo al limite di una situazione di golpe istituzionale, c’è una forte politicizzazione della magistratura che mette in carcere gli imputati premendo su di loro finché non si pentono: così fanno dei nomi e usufruiscono della legislazione premiale. 
Domenica scorsa ci sono state massicce manifestazioni contro il governo, chi è sceso in piazza?
Come hanno indicato anche inchieste dei giornali di opposizione, si è trattato in maggioranza di classe media, di destra, i giovani delle periferie anche se sono scontenti non c’erano. Per questo, come altri di movimenti molto critici col Pt, scenderò in piazza per evitare che la situazione precipiti con la caduta del governo. Però non andrò in piazza per difendere le politiche del Pt. Ne conosco bene gli ingranaggi, ci sono stato fino al 2002. Oggi i punti positivi che esistevano in passato sono quasi inesistenti. È vero, c’è la Bolsa familia che ha tirato fuori dalla povertà 70 milioni di persone, ma si è trattato di un piano assistenziale. Il Pt è stato il servo ubbidiente del peggior tipo di borghesia finanziaria, industriale, agraria, commerciale con la quale ha avuto grandi affinità elettive. Lula aveva ragione quando ha detto che durante i suoi governi le banche sono diventate ricche come mai prima. Ha avuto una relazione ombelicale con la borghesia delle grandi opere. La tragedia per il Pt è stata che questa situazione ha coinciso con l’operazione Lava Jato che ha portato in carcere anche i grandi costruttori. Il Pt ha voluto flirtare con il demonio, ma ora il demonio ha preso il sopravvento e sta cercando di portarlo all’inferno. E questo, purtroppo, data la situazione di debolezza alla sua sinistra, ci penalizza tutti.
Il giudice Moro ha anche colpito in alto, non solo a sinistra, come mai?
Il suo è un moralismo di destra, crede in un capitalismo pulito, come se la corruzione e il malaffare non ne fossero un tratto costitutivo. 
Cosa può succedere con Dilma? Le destre chiedono l’impeachment?
Il parlamento brasiliano vive il suo momento peggiore, inficiato dal pentecostalismo reazionario e corrotto. E da lì deve venir fuori la commissione che deve decidere se procedere con l’impeachment e decidere con maggioranza dei 2/3. Ma le destre spingono perché Dilma se ne vada prima

Il caso Lula e un Paese allo sbando
di Roberto Da Rin Il Sole 18.3.16
Una giornata campale. Gli annunci incrociati del governo brasiliano e dell’opposizione, gli attacchi dei giudici, il colpo di scena, il ritorno di Lula e un obiettivo finale, la resa della presidenta Dilma Rousseff. Per ora non raggiunto.
Dopo la firma di Lula al governo, in qualità di ministro, un giudice brasiliano ha sospeso la nomina, «che potrebbe ostacolare il corso della giustizia» nell’inchiesta su Petrobras.
In Brasile è in atto uno scontro frontale tra governo e magistratura, conseguente a una crisi politica, economica e morale.
Quella regìa cosmica, tanto cara ai brasiliani, che governa le leggi dell’universo, aveva già previsto tutto. Le sequenze politiche delle ultime 48 ore si ritrovano nei passi di samba più conosciuti: cruzado pausado, assalto, gancho redondo, tirar a dama.I passi sono stati proprio questi: annunci «incrociati con pausa»(di governo e opposizione), «assalto» (dei giudici), «mezzo sgambetto» (dell’opposizione) e «resa della dama» (il tentativo di far cadere Dilma per impeachment).
Samba ma anche aspra battaglia politica. La presidenta Rousseff, certo. Ma è soprattutto Lula il personaggio forte di questa drammatica telenovela brasiliana. La sua parabola si è compiuta con una plasticità senza precedenti: da presidente più popolare del mondo, con un consenso dell’85%, a indagato. Da regista di una stagione economica gloriosa a responsabile della pesante débacle.
I meriti - riconosciuti in modo bipartisan dall’Economist, dai giornali di sinistra, da Obama e Putin, dall’Fmi, dai governi populisti e popolari del mondo intero – sono incontrovertibili. Un doppio mandato, dal 1° gennaio 2003 al 1° gennaio 2011, in cui la quadratura del cerchio pareva acquisita: da una parte crescita vigorosa, inflazione sotto controllo, variabili macrofinanziarie in ordine. Dall’altra occupazione in forte crescita, povertà in caduta verticale, con un record strabiliante. Trenta milioni di poveri usciti dalla miseria ed entrati trionfalmente nella classe “C”, quella classe media brasiliana che i sociologi hanno sempre ritenuto troppo esigua.
Apprezzato dagli industriali, osannato dagli economisti, rispettato dai finanzieri, Lula, ex operaio metalmeccanico aveva superato “il dilemma crescita o distribuzione”, riuscendo a distribuire la ricchezza continuando a favorire la crescita. Un’operazione che non era riuscita a nessun altro, dal Dopoguerra in poi.
Le sue parole, negli anni d’oro, sono state queste: «La gente riconosce che non vi è nulla di magico nell’economia, non vi sono annunci sorprendenti che salveranno l’umanità in breve tempo». E così il governo del metalmeccanico con nove dita, il decimo è rimasto sotto una piastra, recitava un mantra di sviluppo e stabilità: crescita economica basata su equilibrio fiscale, prezzi stabili, riduzione della vulnerabilità esterna da una parte e una forte politica sociale dall’altra.
Tutto vero, quasi tutto vero. Perché “Os ventos alisios”, i venti Alisei hanno aiutato eccome la congiuntura brasiliana. I prezzi delle commodities agricole e del petrolio sono stati alti per un lungo settennio, favorendo, eccome le gesta di Lula. La crisi internazionale del 2008, pur con qualche ritardo temporale non ha risparmiato il Brasile.
Le prospettive? Poco rosee, almeno nel breve periodo. Il 2016 si conferma un annus horribilis per il gigante latinoamericano con una contrazione del Pil vicina al 3,5% rispetto al 2015. Un’implacabile nemesi storica mostra un Brasile sfibrato dalla recessione, con un’inflazione alta e una grave instabilità politica.
Tuttavia una luce in fondo al tunnel c’è, il Brasile è un grande Paese agroindustriale. Un finanziere svizzero, poche settimane fa, a Ginevra, indicava questa strada ai policy makers di mezzo mondo: «Come superare la crisi? Vendi banche e compra formaggio». 

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